In tempi di Coronavirus conviene fare un tuffo nel passato, ricordando storie poco note ma di portata impressionante. Come quella dell’Autodelta e della Giulia TZ. La storia è di quelle appassionanti e sicuramente d’altri tempi, quella che coinvolge uomini e macchine del Biscione. La storia che vi raccontiamo comincia negli Anni ’50, quando dopo il ritiro dalle competizioni (nel 1951) in Alfa Romeo non avevano più intenzione di impegnare forze e denaro su un progetto ufficiale per gare automobilistiche da praticare con vetture strettamente derivate dalla serie. Ma negli Anni ’60 il furor di popolo attorno all’Alfa Romeo e alle sue derivate dalla serie era eccezionale. Le Giulietta vincevano e infiammavano i cuori, ma lo facevano grazie a preparatori esterni.
La costola Autodelta
La volontà della direzione di Alfa Romeo era quindi chiara. Bisognava quindi capire come cominciare a muoversi, tanto che il reparto esperienze del Biscione cominciò a sondare l’eventuale partecipazione di aziende come Abarth e Zagato. Gli uomini del reparto avevano infatti in mente di dare vita ad una vettura altamente competitiva, derivata dall’ottima base Giulia e con utilizzo destinato alle competizioni. Ma il matrimonio non riusciva e non c’era verso di formalizzarlo.
Fu all’interno di tale contesto che due uomini di gran talento, come Carlo Chiti e Ludovico Chizzola, decisero che potevano mettersi in proprio. Si poteva dare vita ad una struttura autonoma utile per formalizzare il progetto in essere, potendo comunque contare sul supporto ufficioso di Alfa Romeo. L’atto notarile datato 4 marzo 1963 fissava l’avvio del processo creativo della Delta Auto, come indicato proprio sulla scrittura ufficiale, che avrebbe iniziato le operazioni presso la sede di via Galileo Galilei al numero 9/3 in Tavagnacco solamente 11 giorni più tardi. La sede, in provincia di Udine, trovava posto in alcuni locali annessi ad una concessionaria Innocenti già di proprietà dell’Ingegnere Ludovico Chizzola. Sarebbe forse stato più logico fissare la sede a due passi da Arese, ma la volontà di lavorare in pace e nella più completa segretezza (ma anche per distaccarsi dal marchio) permisero all’Autodelta di fissare altrove la propria sede. Si può quindi cominciare ad operare sullo sviluppo del progetto 105.11, ovvero quello che poi diverrà la Giulia TZ.
Se il gran capo di Alfa Romeo, Giuseppe Luraghi, aveva pensato che l’attività ufficiale nelle corse non faceva più per l’Alfa ora due uomini gli avevano fornito una costola preziosa.
La rinascita sportiva
È ovvio quindi che la rinascita sportiva di Alfa Romeo si può fissare proprio al 1963 e all’approdo nel mondo delle competizioni automobilistiche dell’Autodelta di Chiti e Chizzola. A 400 chilometri di distanza da Milano si dà vita ad un progetto straordinario che riporterà l’Alfa Romeo al vertice della massima sportività.
La società che poteva contare su un capitale iniziale di 1 milione di lire, equamente suddiviso tra i due soci, puntava su un marchio divenuto leggenda nel cuore degli appassionati: il logo col triangolo evidenziava la triade dei componenti al vertice del nuovo reparto, oltre ai due citati c’era infatti anche Gianni Chizzola (fratello di Ludovico). D’altronde se guardassimo alla delta greca maiuscola, questa è parecchio simile ad un triangolo se non uguale. La genesi del nome appare quindi parecchio immediata.
Il completo excursus storico
Abbiamo già citato il 1951. Proprio quell’anno fu quello del primo titolo mondiale in Formula 1 per Juan Manuel Fangio, l’argentino lo aveva vinto a bordo di una splendida Alfetta 159. Si trattava del secondo successo mondiale consecutivo per il Biscione, che già nel 1950 aveva trionfato con Nino Farina. È quindi il 1951 l’anno in cui Giuseppe Luraghi decide che l’Alfa Romeo concluderà la sua attività ufficiale nelle corse per dedicarsi esclusivamente alla produzione di serie: la decisione è importante, per certi versi spiazzante soprattutto per gli appassionati del marchio. Ma Luraghi approda in Alfa per fissarne il salvataggio, i conti infatti navigano su cattive acque e lo spettro del fallimento si trova dietro l’angolo.
L’Alfa Romeo, all’indomani del secondo conflitto mondiale, produceva poche vetture in accordo con qualche motore destinato all’aviazione e non possiede un piano industriale ben delineato. Sembra quasi all’arrembaggio. Si intuisce ben presto che saranno le vetture di serie il vero motore trainante dell’economia del futuro, a patto di proporre modelli appetibili da indirizzare verso grossi numeri in termini produttivi. Col Portello che diventa il luogo ideale per la produzione automobilistica, il DNA non si dà pace: l’Alfa Romeo non può dimenticare le competizioni. Lo stesso Luraghi ha passione e intuisce (pure stavolta) che le competizioni possono essere intese come un grande spot pubblicitario, bisogna riconquistare in questo modo gli appassionati. La Giulia fa incetta di successi, ma bisogna fare di più: la nuova idea si chiama Giulia TZ. Nel frattempo nel 1963 era nata l’Autodelta in provincia di Udine, conviene affidare a Carlo Chiti la gestazione della creatura.
Il genio di Carlo Chiti
Dici Autodelta e pensi a Carlo Chiti. Non ci sono dubbi, la squadra corse Alfa Romeo è indissolubilmente legata all’ingegnere aeronautico pistoiese. Si devono proprio a lui i progetti più interessanti dell’Autodelta, fino al ritorno di Alfa in Formula 1. È un essere geniale Chiti, difficile da inquadrare ma fortemente intelligente. Al Portello vi giunge per avvicinarsi alla sua futura moglie, di stanza a Milano; qui viene destinato al comparto dei motori aeronautici di Alfa Romeo. Quando il settore aeronautico viene trasferito a Napoli, Chiti accetta di dedicarsi alle automobili e ben presto sarà affiancato a Fangio per gestire l’attività sportiva del Biscione.
Si innamora così delle corse e di quella ricerca sfrenata che sfociava nell’immediatezza di riscontrare soluzioni applicabili nel più breve tempo possibile. Pane per i suoi denti. Una volta disse anche: “sono un tecnico pacifico che è finito nel mondo irrazionale, frenetico e contraddittorio delle competizioni”. Decide che le corse diventeranno il pilastro portante della sua vita da ingegnere. Dall’Alfa Romeo passa in Ferrari divenendo direttore tecnico e conducendo Phil Hill al titolo mondiale nel 1961, dopodiché si dedica all’ATS per poi costituire l’Autodelta, quasi a voler chiudere un cerchio che lo riporta sempre e per sempre al marchio del Biscione. Intuisce che il regolamento per le vetture turismo da competizione permette l’introduzione di vetture coupé. Meglio quindi dedicare la GT alle competizioni, invece che la Giulia berlina, più agile e leggera della sorella. Ne deriveranno le note GTA e GTAm che trionfano sulle piste di mezzo mondo.
Nasce la Giulia TZ
Dal marzo 1963 al maggio 1963 passano veramente pochissime settimane, tutte utili a produrre la prima Giulia TZ della storia! L’Autodelta sfreccia e nella prima fase sperimentale si assemblano e modificano componenti provenienti da varie parti. Le Giulia TZ, pronte allo sbocciar dei fiori, vengono assemblate su meccanica Alfa Romeo di Milano, carrozzerie della Zagato di Rho, telai Ambrosini di Passignano sul Trasimeno e fusioni in electron della Gilera. Le Giulia TZ cominciano a comparire nelle competizioni turismo riservate alle GT e cominciano anche a vincere. Se ne vendono alcune centinaia per formalizzare l’omologazione necessaria, viaggiano alla grande con piloti di gran manico come Bandini e Baghetti. Le TZ vincono nella Coppa FISA (già a novembre del ’63 quattro TZ terminano nei primi quattro posti a Monza con Bandini, Bussinello, Baghetti e Sanesi) e anche a Le Mans (primo e secondo posto di classe nel 1964) ma sbaragliano pure la Targa Florio, la 12 Ore di Sebring e la 1000 km del Nurburgring. C’è spazio per loro anche al Tour de France e alla Coupe des Alpe.
Tutte le TZ derivate dalla serie avevano la targa con la sigla di provincia Udine (UD). Un dato curioso che ne certifica la provenienza a distanza dal Portello. Le proporzioni della Giulia TZ la rendono caratteristica, unica con quella coda troncata di netto dritta come un muro. L’anteriore armonioso e arrotondato collima con gli spigoli netti del posteriore. L’idea è quella di progettare un telaio tubolare (TZ significa proprio Tubolare Zagato) affidando il compito realizzativo alla Ambrosini d’Umbria. L’azienda risulta altamente specializzata in costruzioni aeronautiche ed è in grado di fornire un traliccio di tubi da 20 e 30 millimetri di diametro. Un elemento estremamente rigido e dal peso ridicolo: meno di 60 chilogrammi alla bilancia.
Bella e veloce
L’impostazione tecnica della Giulia TZ derivava da un primordiale progetto di Giuseppe Busso che aveva sviluppato in anticipo una biposto 1.300 cc con motorizzazione strettamente derivata dalla Giulietta: doppia accensione, albero a gomiti su cuscinetti a rulli e carter secco. Nel 1961, con l’avvento della Giulia, la motorizzazione rinnovata era portata invece a 1.600 cc.
La carrozzeria veniva affidata a Zagato che dalle sapienti mani di Ercole Spada sviluppò inizialmente una spider per poi rendersi conto che la carrozzeria chiusa da GT possedeva un più interessante appeal dal punto di vista delle prestazioni. Ne derivò in questo modo una revisione stilistica che condusse alle classiche linee tondeggianti della TZ, davanti, che confluivano nella coda tronca. Poco prima della presentazione ufficiale alcune prove condotte da Elio Zagato, Ercole Spada e Guido Moroni individuarono che il labbro della coda inizialmente rivolto verso l’esterno andava rivolto verso l’esterno. In questo modo si migliorava la velocità massima di quasi 2 km/h, contribuendo anche a stabilizzare meglio il retrotreno.
L’Autodelta produceva 5 Giulia TZ ogni settimana, escludendo i telai 001 e 002 che erano stati realizzati presso la Direzione Progettazione ed Esperienze dell’Alfa Romeo. Se uno dei classici problemi del bialbero era costituito dall’erogazione in basso, sulla Giulia TZ si decide di liberare lo scarico utilizzando il noto 4in1 Alfa per il sistema dei collettori di scarico in accoppiata alla cilindrata da 1.600 cc. A questo si aggiungeva un tubo di scarico dritto, largo circa 10 centimetri di diametro, che correva per tutta la lunghezza della TZ. In soccorso di una migliore erogazione venivano anche i condotti di aspirazione lappati lunghi circa 20 centimetri. Il posizionamento del motore era chiaramente anteriore in posizione longitudinale verticale con quattro cilindri in linea e due valvole per cilindro in accordo con due alberi a camme in testa con comando a doppia catena. L’alimentazione veniva affidata a due carburatori a doppio corpo. I cavalli salivano a circa 160 rispetto ai 120 della variante di serie. La trazione è posteriore e il cambio a cinque marce.
La particolare coda tronca
Forse la caratteristica più nota della Giulia TZ è la sua particolare coda tronca. Per raggiungere tale compromesso, in Zagato decisero di sfruttare alcuni studi condotti dall’aerodinamico tedesco Wunibald Kamm. Per comprovare l’autorevolezza dello studio si decise di provare una Giulietta con coda tronca, detta SZ. Venne dimostrato a Monza che questa risultava più veloce di una decina di chilometri orari rispetto alla canonica variante con coda a goccia. Proprio l’aerodinamico tedesco Kamm si accorse che, vista la difficoltà di applicare una conformazione a goccia allungata sulle Gran Turismo, tagliando la coda della vettura in un determinato punto alla corretta distanza dalla sezione anteriore si ottenevano eccezionali vantaggi aerodinamici. Non è un caso se da quel momento in poi quella coda divenne Kammback.
La Giulia TZ era velocissima, diventando ben presto imbattibile nella categoria GT fino a 1.600 cc; diverse volte riusciva a battere persino le 2.000 cc. L’unico neo era individuato negli stretti pneumatici, elemento modificato nel 1965 con l’introduzione della TZ2. Quest’ultima poteva contare su pneumatici più larghi oltre che su una carrozzeria più bassa e profilata grazie anche al nuovo carter secco installato più in basso. Ma le TZ2, sebbene vincenti, furono costruite in pochissime unità (circa 6) perché poi in Autodelta cominciarono a dedicarsi allo straordinario prototipo 33.
Infine, la Giulia TZ poteva comunque contare su un impianto sospensivo a ruote indipendenti sia davanti che dietro con bracci trasversali, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici, barre stabilizzatrici e dietro il puntone obliquo. I freni, idraulici con servofreno, sono a disco su tutte quattro le ruote; dietro sono installati internamente allo scopo di ridurre le masse sospese.
Apparato statale
C’è un fatto che comincia a introdurre tensioni in Autodelta, quindi di conseguenza anche in Alfa Romeo: la politica. Proprio l’Alfa Romeo era un’azienda pubblica a quel tempo, rimanendo tale fino alla cessione al Gruppo Fiat del 1986. Apparteneva quindi allo Stato Italiano tramite Finmeccanica che risultava l’holding finanziaria dell’IRI che a sua volta era il proprietario del Biscione. Carlo Chiti e il buon Luraghi hanno spesso a che fare con le solite vicende politiche, interdizioni e veti, tanto che devono giustificare di volta in volta scelte e costi alla politica del tempo. Una situazione che porta Carlo Chiti nella veste di difensore del proprio ruolo di direttore sportivo della squadra corse di Alfa Romeo.
È una convivenza difficile, un elemento che con la passione degli uomini dell’Autodelta (e quel tempo sono già un centinaio) non c’entra proprio niente. Alla fine di novembre del 1964, soltanto un anno dopo la fondazione, l’Autodelta diventa una SpA e trasferisce i suoi uffici amministrativi e commerciali a Settimo Milanese, a due passi dall’Alfa Romeo. La volontà è di Luraghi che vuole avvicinare la struttura al Portello.
La fine
Le protagoniste uniche della storia dell’Autodelta sono e rimangono le vetture da corsa. Dopo le Giulia TZ (TZ1 e TZ2) si pensa ai prototipi per la conquista dei titoli mondiali. Si raggiungono traguardi impressionanti, spesso però con la fatica di dover rapportare obiettivi e ragioni alla politica da cui dipendeva l’Alfa Romeo. Molte occasioni furono sprecate proprio a causa di questa situazione sempre pendente dalla macchina dello Stato. Ma questa è un’altra storia.
Nel frattempo, nell’ottobre del 1964, Alfa Romeo e Autodelta danno vita ad una rinnovata convenzione che oltre alla realizzazione dei nuovi prototipi permette all’atelier di Chiti di elaborare meccaniche e di partecipare direttamente alle competizioni. Finalmente arriva il giusto riconoscimento ad una struttura al top. Ma con lo spostamento delle operazioni a Settimo Milanese, le targhe UD non si vedranno mai più sopra un’Alfa. Se Chiti continuò a nutrire la passione necessaria per la sua Autodelta, non fu lo stesso per Chizzola il quale non raggiunse mai la Lombardia. In forte contrasto con la nuova idea di reparto corse che si stava instaurando ad Arese. La liquidazione non fu poi lontana: nel 1966 arrivò il colpo di grazia e l’Autodelta divenne semplicemente Reparto Corse Alfa Romeo. Le vetture da corsa verranno comunque contraddistinte dall’iconico logo triangolare con fondo a scacchi e la scritta Autodelta. Ma non è la stessa cosa.
La passione dell’Autodelta cessa definitivamente quando Carlo Chiti, nel 1984, se ne va. La politica vince sull’uomo e su una realtà dal fascino irripetibile. Dal lontano 1963 sono passati moltissimi anni ormai, ma quella dell’Autodelta è una storia straordinaria. Il valore sportivo dell’Alfa Romeo di Luraghi, Chiti e tantissimi altri aveva consentito di conferire al Biscione quell’aura di perfetta simbologia della competizione. Un prestigio lontano che vige ancora nell’idea dei cultori del marchio. Un’idea che forse oggi manca al marchio del Biscione.