Con ovvi meriti in questi ultimi cinquant’anni quando si parla di auto bellissime, la più bella è forse senza dubbio alcuno la splendida l’Alfa Romeo Tipo 33 Stradale sebbene in ogni caso definire la 33 Stradale “bella” è uguale alla volontà di fornire un giudizio pressoché approssimativo su una qualche cosa da prendere in considerazione. Si può invece aggiungere con fermezza che laddove si posiziona un’Alfa Romeo Tipo 33 Stradale, tutto quello che in quel momento la circonda diverrà immediatamente l’elogio della banalità. Gli occhi sono tutti per lei, ovunque. La 33 Stradale è un simbolo dell’Italia dei motori, delle auto uniche e del Biscione che forse (purtroppo) non c’è più.
D’altronde resistere alle curve in lega di Peraluman opera dell’immenso Franco Scaglione è quasi un’impresa, senza dimenticare che al di sotto delle perfette proporzioni esterne si nasconde un’impostazione tecnica che non può essere assolutamente trascurata. Se ne accorsero tutti quando i prototipi per le corse vennero mostrati a Monza e Torino nel 1967.
Genesi e risultati
Mettendo da parte gli ovvi risultati in pista ottenuti dalle Tipo 33 da competizione, il reale significato della Tipo 33 Stradale diventa chiaro se consideriamo i risultati ottenuti in pista dal Biscione e i cambiamenti che hanno portato proprio alla genesi di questa splendida vettura. La casa milanese si era ritirata dai Gran Premi dopo aver vinto il mondiale di Formula 1 nel 1951 con la “Alfetta” 159 e se consideriamo soltanto una manciata di prototipi che si susseguirono da lì a poco, il programma relativo alle corse automobilistiche venne significativamente ridotto quando l’Alfa Romeo pensò di ritirare i team ufficiali dalle competizioni già nel 1953.
Per il resto del decennio e fino all’inizio degli Anni ’60 ciò equivaleva al lavoro del braccio sportivo dell’Alfa Romeo ovvero il Servizio Esperienze Speciali in cui operavano i talentuosi Orazio Satta Puliga e Giuseppe Busso. L’attività era ridotta a pochi prototipi e al supporto di terzi che gareggiavano in serie più piccole con versioni modificate delle vetture di produzione dell’Alfa Romeo, vale a dire Giulietta Sprint e Spider.
In questo contesto si inserisce Giuseppe Luraghi. nominato al vertice dell’Alfa Romeo nel 1960 dopo aver ricoperto una serie di altre posizioni di successo all’interno dell’IRI che risultava a capo del Biscione all’epoca. Luraghi avrebbe riportato il marchio nel motorsport di livello mondiale aprendo la strada al periodo di maggior successo delle corse automobilistiche internazionali a marchio Alfa Romeo. Luraghi aveva compreso l’importanza di portare alla vittoria le vetture a marchio Alfa Romeo per poi tramutare i risultati in pista in chiari riscontri anche in termini di vendite. Non è un caso che in quel periodo nasce anche il mitico reparto Autodelta gestito dall’ingegnere Carlo Chiti.
Telaio già in fase di sviluppo
Il presidente Luraghi aveva compreso le qualità di Chiti e quando venne il momento di riportare l’Alfa Romeo alle corse non ci pensò due volte nell’affidarsi proprio a lui, tanto che l’Autodelta divenne ben presto il reale reparto corse del Biscione. Tuttavia bisogna dire che i membri del Servizio Esperienze Speciali non risultarono eccessivamente entusiasti del fatto che il loro lavoro fosse affidato essenzialmente a Chiti e all’Autodelta, ma Luraghi riuscì a mantenere le tensioni sotto un controllo sufficiente utile per consentire a tutti di rimanere produttivi sicuramente aiutato in maniera non indifferente dal fatto che l’Autodelta era praticamente una struttura a sé stante. L’Alfa Romeo TZ con carrozzeria Zagato e telaio tubolare ha rappresentato il primo progetto sul quale aveva cominciato a lavorare l’Autodelta utile a costituire la base per un programma di corse. Quindi mentre i risultati della TZ e della TZ2 mostravano quelle che erano le reali capacità dell’Autodelta, le Tipo 33 definitive dovevano ancora essere messe in atto.
Tuttavia il telaio che sarebbe stato alla base del primissimo prototipo da corsa Tipo 33 era già in fase di sviluppo all’interno del Servizio Esperienze Speciali da molto tempo prima che Luraghi conducesse al timone Chiti e l’Autodelta per accelerare il processo, cosa che rende attribuibile la genesi della Tipo 33 a entrambi i reparti in un certo senso. Il telaio con la nota conformazione ad H e realizzato in leghe di magnesio può senza dubbio essere considerato il punto di partenza fisico per la Tipo 33, ma si può dire che l’Autodelta avrebbe fatto la maggior parte del lavoro che seguì da lì a poco comprese le costanti evoluzioni che hanno portato a casa un gran numero di trofei.
Per cercare di mantenere questo scopo rilevante per la 33 Stradale, tuttavia, il design del telaio originale della 33 da corsa viene utilizzato per la prima volta per una serie di prototipi di auto sportive carrozzate dalla OSI (Officine Stampaggi Industriali) di Borgaro Torinese, ovvero una struttura messa in piedi da Luigi Segre (ex presidente Ghia) e Arrigo Olivetti. I risultati furono due concept di auto sportive con abitacolo chiuso a tutta lunghezza (presentato al Salone di Parigi nel 1966) e una variante spider parzialmente completata, che può essere vista come una sorta di abbozzo per l’auto da corsa che sarebbe diventata la Tipo 33 Fléron del 1967 utilizzata a sua volta come base per la Stradale completata nello stesso anno.
Il motore era invece una questione differente poiché le vetture carrozzate dalla OSI, denominate Progetto Scarabeo, erano dotate di opzioni Alfa Romeo esistenti mentre l’Autodelta lavorava sul nuovo propulsore da corsa da realizzare ex novo. Non è chiaro se il motore che avrebbe alimentato la 33 Fléron fosse stato originariamente sviluppato totalmente in-house da Busso e co., o se fosse basato su un vecchio propulsore di Chiti che aveva pensato durante la parentesi ATS, ma qualunque sia la reale provenienza il risultato è stato un V8 compatto da due litri dotato di carter secco che si è evoluto rapidamente per adottare l’iniezione di carburante SPICA al posto dei carburatori utilizzati in origine. L’accensione era invece realizzate tramite doppia candela e il V8 disponeva di quattro alberi a camme, un rapporto di compressione di 11:1 e una capacità di girare comodamente oltre i 10.000 giri/min. L’ampio uso di leghe ha amplificato il fattore di leggerezza del piccolo V8 che abbinato al telaio in gran parte in magnesio realizzato in magnesio produceva ottimi riscontri.
I successi arrivano subito
La 33 Fléron partì molto più forte di quanto avesse concluso la stagione 1967 e chiaramente aveva acceso il fuoco che Luraghi aveva sperato. Autodelta aggiornerà e poi scarterà il design del telaio Fléron a favore di quelli più forti e sicuri negli anni e per le varianti della Tipo 33 che seguirono, ma tutte le vittorie di campionato e di gara ottenute grazie a quelle vetture devono ancora molto alla Tipo 33 “originale” ovvero quella che ha generato la loro lunga esistenza. Questo è il motivo per cui la 33 Stradale è così speciale, al di là della sua straordinaria bellezza; nasce da questo stesso periodo ed è direttamente collegata alla genesi della leggendaria storia di successo messa in atto dalla Tipo 33. È un’auto mozzafiato, ma l’ingegneria che si cela sotto le sue eleganti vesti è sicuramente incredibile.
La decisione di Luraghi di riportare l’Alfa Romeo nelle corse è stata messa in atto proprio per riportare il grande pubblico ad acquistare un’Alfa Romeo, ma non aveva intenzione di limitare le opzioni solo ai modelli sportivi. L’idea di coinvolgere Chiti e co. per trasformare la 33 Fléron in un’auto stradale che avrebbe messo l’Alfa Romeo sulla mappa di fianco a grossi costruttori come Ferrari divenne ben presto realtà. L’Autodelta ha allungato e rinforzato il telaio da corsa per l’uso stradale (il che significava meno magnesio e più acciaio, ma il design era ancora direttamente basato su quello della versione da corsa con i serbatoi del carburante installati all’interno dei tubi laterali del telaio e altri tratti caratteristici della 33 da corsa), abbassato la compressione e leggermente depotenziato il V8 per produrre circa 230 cavalli (un calo di circa 40-50 cavalli rispetto alle specifiche da corsa), e si è rivolto a Franco Scaglione per definire la carrozzeria. A detta di tutti, la relazione tra Scaglione e Chiti non era delle più fluide, questo era infatti l’ultimo progetto di Scaglione per l’Alfa Romeo, ma nonostante i diversi conflitti ci vollero solo pochi mesi per completare la prima Tipo 33 Stradale. Quello mostrato per la prima volta nel 1967 era un prototipo interamente in alluminio (invece della lega Peraluman utilizzata per il resto delle carrozzerie della Stradale di produzione). Alfa Romeo possiede ancora oggi la seconda Stradale prodotta che viene conservata presso l’iconico Museo Storico Alfa Romeo di Arese.
La differenza tra la 33 Stradale conservata ad Arese e le altre è il design con quattro proiettori, che è stato visto solo sul primo e sul secondo esemplare, poiché le norme di sicurezza imponevano il design a due luci separate. Del tutto unica per questa vettura, tuttavia, è la ventilazione nella carrozzeria dove l’apertura dietro la ruota posteriore è divisa in due sezioni a differenza di quella della 33 Stradale che seguì con un design ad apertura singola.
Come ci si potrebbe aspettare da auto italiana derivata dalle corse, ci sono solamente piccole differenze da individuare tra i 18 esemplari prodotti della 33 Stradale, principalmente destinate agli interni, ma anche piccole cose come i pezzi di rifinitura del muso sebbene sia piuttosto improbabile ottenere la possibilità di confrontare due qualsiasi fra queste poste di fianco. L’estrema rarità e bellezza basterebbero a rendere l’Alfa Romeo Tipo 33 Stradale amata ogni attimo di più.