Vent’anni fa, nel 2001, Fiat dava alla luce la Seicento Elettra H2 Fuel Cell ovvero una speciale variante della Seicento di allora con celle a combustibile collegate in serie. Il motore elettrico da 30 kW di potenza veniva alimentato quindi dall’ossigeno derivante dall’aria compressa a 1,3 bar di pressione e dall’idrogeno portato a 1,5 bar di pressione e gestito da un dispositivo denominato Stack.
Una prosecuzione interessante della linea Elettra proposta da Fiat a metà Anni Novanta che nel 1998 aveva introdotto anche la Seicento Elettra dotata di motore elettrico alimentato da batterie al piombo. Tuttavia alla base del progetto c’è uno studio cominciato già nel 1996 grazie ad un interesse economico proposto dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione col CNR, con ENEA e le Università di Roma, Torino e Napoli. La vettura venne presentata alla stampa nel febbraio del 2001 col ministro dell’ambiente Willer Bordon che si mise alla guida della particolare vettura elettrica che disponeva comunque di qualche interessante soluzione.
Interessanti soluzioni
La Fiat Seicento Elettra H2 Fuel Cell metteva da parte il precedente esperimento posto in essere con la variante Elettra che veniva alimentata con batterie al piombo. La soluzione precedente imponeva un’autonomia di soli 90 chilometri per un peso complessivo di circa 1.200 chilogrammi. Si decide quindi di cambiare filosofia e concezione tecnica puntando proprio sulle celle a combustibile.
Ne deriva quindi che la Seicento Elettra H2 Fuel Cell poteva contare ora su un’autonomia di 140 chilometri alla velocità costante di 60 km/h, mentre la velocità massima raggiungeva ora i 100 km/h contro i 90 precedenti. Rimanevano due soli posti a disposizione, ma con un peso alla bilancia ridotto di circa 130 chilogrammi e ricarica delle bombole di idrogeno completabile in circa una decina di minuti.
Il sistema Stack veniva realizzato mediante il collegamento di diverse celle collegate in serie dove gli atomi di idrogeno utilizzavano l’anodo del catalizzatore per escludere un elettrone. Si scomponevano quindi in elettroni e protoni: gli elettroni, rappresentanti l’aliquota negativa, alimentavano il circuito elettrico esterno mentre i protoni (aliquota positiva) attraversavano una membrana per poi raccogliersi sulla superficie del catodo dove potevano ritrovare gli elettroni. Per permettere il corretto funzionamento veniva aumentata la tensione in uscita dal sistema Stack: tramite un convertitore infatti la tensione saliva da 48 Volt a 216 Volt, utili per alimentare il motore elettrico da 30 kW. L’impianto ospitava anche i circuiti ausiliari utili a controllare la pressione e l’umidità di aria e idrogeno oltre a prendersi in carico il necessario recupero dell’acqua prodotta dal sistema durante la ricombinazione di idrogeno e ossigeno e per permettere un corretto raffreddamento dello Stack.
Grande entusiasmo
Il progetto era stato sostenuto dal Centro Ricerche Fiat con grandi risorse profuse presso lo stabilimento di Pomigliano d’Arco. Quando la Fiat Seicento Elettra H2 Fuel Celle venne presentata, Fiat aveva ammesso: “le automobili di domani saranno il risultato di un difficile compromesso tra esigenze diverse e spesso contrastanti: bassi consumi energetici e basse emissioni, grande flessibilità d’uso, costi industriali e di esercizio contenuti. Da qui la duplice scelta della Fiat Auto. Proseguire, da un lato, nel lavoro di affinamento dei tradizionali motori a scoppio alimentati a benzina o a gasolio. E sviluppare, dall’altro: sia vetture con motori a combustione interna ma alimentati da carburanti diversi come il metano; sia auto dotate di sistemi di propulsione alternativi, capaci di annullare del tutto le emissioni. In quest’ultimo campo, l’attenzione dei grandi costruttori automobilistici è oggi prevalentemente orientata verso le celle a combustibile ed in particolare verso quelle a bassa temperatura denominate PEM (Proton Exchange Membrane), che possono produrre elettricità attraverso un processo chimico di ricombinazione di idrogeno e ossigeno”.
Interessante anche il monito che la stessa Fiat forniva già a quel tempo alle istituzioni, su una corretta pianificazione delle infrastrutture necessarie alla mobilità del domani: “l’aspetto più critico per il futuro veicolo a fuel cell, tuttavia, è rappresentato dall’infrastruttura di produzione, distribuzione e stoccaggio dell’idrogeno. Da qui il progetto di installare a bordo dei futuri veicoli un dispositivo chiamato “reformer”, che permetterà di ricavare idrogeno da combustibili idrocarburi. Anche in questo caso, tuttavia, il “reformer” potrà risolvere solo in parte il problema dell’infrastruttura di distribuzione del combustibile. E per di più a scapito di una maggior complessità e costo del sistema di propulsione, di significative perdite di efficienza e di maggiori emissioni di CO2”.