C’era una volta, negli anni Ottanta, un’Alfa Romeo che osava. Parliamo proprio la stessa casa automobilistica che oggi fa sognare con le Giulia e le Stelvio, queste però in fase di evoluzione radicale. Eppure, nel 1988, il Biscione si lanciò in una follia tecnologica degna di un film di fantascienza: la 33 Ibrida.
Siamo ben lontani da quello slogan “ibrido è meglio” del 2000. Con questa Alfa Romeo parliamo di un’avant-garde meccanica capace di anticipare persino la blasonata la Toyota Prius di almeno dieci anni, senza nemmeno la fanfara giapponese.
In collaborazione con Ansaldo, Alfa Romeo prese una paciosa 33 Giardinetta, quella wagon che oggi molti snobbano ma che all’epoca era davvero spaziosa, e le infilò due motori. Uno termico, il classico boxer 1.5 da 95 CV, e uno elettrico trifase da 16 CV, non proprio uno scherzo per l’epoca.
L’idea di Alfa Romeo era semplice quanto folle: farli lavorare insieme, in perfetta armonia, o almeno secondo i piani iniziali. Il motore elettrico era montato sopra il boxer e si connetteva al cambio tramite una cinghia dentata. In questo modo si poteva guidare a benzina, in elettrico puro o in modalità combo. Praticamente un mild hybrid ante litteram, senza neanche saperlo.
Certo, non tutto era rose e fiori sulla 33 ibrida: in elettrico faceva solo 5 km e non superava i 60 km/h, ma in città era già abbastanza per non risultare insopportabile. Le batterie al nichel-cadmio pesavano 150 kg e stavano sotto il bagagliaio, ma il corpo vettura non venne stravolto. Si sarebbe dovuta mettere insieme una flotta di eco-taxi italiani. Ma come tutte le cose troppo avanti per i tempi, l’idea finì nel cassetto. Solo tre esemplari vennero prodotti, poi arrivederci e grazie.
E oggi? A Pomigliano d’Arco il CEO Alfa Romeo ha promesso nuovi modelli compatti su piattaforma STLA Small, pronti per ogni tipo di alimentazione. Chissà, magari con un pizzico di quell’audacia anni Ottanta che ci ha regalato l’unica wagon ibrida col boxer al mondo.