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3 barchette Ferrari che ogni collezionista vorrebbe

Vivere le emozioni di una “rossa” senza tetto è come concedersi un tuffo nella storia più nobile.

Ferrari Monza SP1 ed SP2
Ferrari Monza SP1 ed SP2

Nella storia Ferrari le auto scoperte hanno svolto un ruolo di notevole importanza. Aveva questa configurazione il primo modello del marchio, la 125 S del 1947. Nello specifico era una “barchetta”, anche se tale appellativo giunse con la successiva 166 MM. Ad affibbiare il simpatico soprannome ci pensò Gianni Agnelli. Per l’avvocato, la carrozzeria di quest’ultima vettura, da lui acquistata in un esemplare personalizzato, si offriva agli sguardi con linee da barchetta rovesciata. Il termine divenne poi identificativo di una tipologia di auto, completamente prive di capote e con parabrezza di ridottissime dimensioni o totalmente assente.

Molte Sport della casa di Maranello ebbero questa configurazione, ma non sono mancati i modelli stradali dotati di tale filosofia e architettura visiva. Oggi passiamo in rassegna tre barchette, la cui presenza, singola o di gruppo, è in grado di impreziosire qualsiasi collezione, anche la più esclusiva. Ovviamente, molte più “rosse” avrebbero meritato uno spazio in questa lista, ma una selezione si è imposta, basata in questo caso sulla gradevolezza visiva. Se lo gradite, seguiteci nel nostro viaggio alla scoperta delle opere d’arte del “cavallino rampante” scelte.

Ferrari 166 MM

Ferrari 166 MM
Una Ferrari 166 MM Touring Barchetta

Impossibile parlare di barchette Ferrari senza occuparsi del modello che ottenne per primo questo nome (o meglio questo soprannome). Stiamo parlando di una delle opere iniziali del “cavallino rampante”, perché questa vettura Touring prese forma nel 1948, a breve distanza temporale dalla nascita della 125 S, che nel 1947 diede il via all’avventura del marchio emiliano, come produttore di automobili a sua firma.

Nella sigla dell’auto ci sono due “emme” accostate: un tributo al successo raccolto poco prima del suo avvento, alla Mille Miglia, dalla 166 C di Biondetti e Navone. Il codice numerico fa invece riferimento alla cilindrata unitaria, come su un gran numero di “rosse” della storia. Prodotta fino al 1953, nelle versioni aperta e chiusa, la Ferrari 166 MM raggiunse l’apice del suo splendore nella prima veste, che entrò anche nel cuore di Gianni Agnelli. A tal punto che l’avvocato si concesse un esemplare della specie, personalizzato con gusto, facendo appello alla magia di una livrea bicromata, tono su tono, di grande presa scenica.

Fu proprio il noto industriale torinese ad affibbiarle l’appellativo di barchetta. Le forme della vettura emiliana, infatti, evocavano in lui quelle di una piccola imbarcazione…rovesciata. Presentata al Salone dell’Auto di Torino del 1948, la 166 MM fece subito presa nel cuore dei visitatori e dei potenziali clienti, attratti dalle sue doti estetiche e ingegneristiche. Lo stile, in qualche modo, richiamava quello della 125 S, ma risultava più ricercato nelle sue alchimie generali. Per dare forma al modello, la carrozzeria milanese Touring si avvalse del metodo costruttivo “Superleggera”, che produceva buoni dati alla bilancia, pur in presenza di ottime doti di resistenza.

A dominare la scena visiva ci pensava, come sulla prima “rossa”, la grande calandra cromata frontale, qui con trama a rete. Oltre che gradevole sul piano visivo, la Ferrari 166 MM era anche molto efficace sul fronte dinamico. Numerosi i successi in gara, il cui arrivo fu un potente strumento di marketing per Enzo Ferrari e le sue produzioni. Così il “cavallino rampante” iniziò la sua ascesa verso l’Olimpo della categoria. Nel 1949 giunsero due vittorie di grandissimo spessore. La prima fu messa a segno da Biondetti e Salani alla Mille Miglia. Poco dopo fu il turno del secondo successo, raccolto dal mitico Luigi Chinetti alla 24 Ore di Le Mans.

L’importatore negli USA del brand emiliano non disputò, ovviamente, da solo la sfida della Sarthe, ma il suo compagno di squadra Peter Mitchell-Thomson (Lord Seldsdon) si mise al volante soltanto per una trentina di minuti. Fu un’impresa eroica, in tutti i sensi, entrata con merito nell’antologia del motorsport. Sotto il cofano anteriore della 166 MM trovava accoglienza un motore V12 da 2 litri di cilindrata, con 140 cavalli di razza esercitati su un peso di 650 chilogrammi. Facile intuire il tenore delle performance, ben rappresentato dalla velocità massima nell’ordine dei 200 km/h. L’energia dell’unità propulsiva giungeva al suolo, sulle ruote posteriori, tramite un cambio manuale a 5 rapporti, praticamente indistruttibile, come il resto della meccanica. Anche l’affidabilità al top concorse alla luminosa carriera agonistica del modello.

Ferrari 250 Testa Rossa

Ferrari 250 Testa Rossa
Screen shot da video Petrolicious

Lei è la regina delle barchette, in assoluto. Stiamo parlando di un’auto a dir poco leggendaria, per il suo fascino stilistico e per la scia infinita di successi raccolti in gara. Definirla un’icona è riduttivo: questa “rossa” è una pietra miliare nella storia del marchio emiliano.

Incredibile lo splendore delle forme con cui è stata plasmata la carrozzeria, specie nella prima serie. Sembra studiata per i concorsi di eleganza, ma è nata pensando soltanto all’efficienza e ai bisogni del motorsport. Qui ha brillato come una stella, mettendo a segno tre titoli mondiali marche, nel 1958, 1960 e 1961. Innumerevoli i successi raccolti in gara da questa meravigliosa creatura, veloce e affidabile, oltre che bellissima.

Il merito delle sue alchimie espressive va ascritto all’estro creativo di Scaglietti che, nelle officine di Modena, seppe trasformare le lastre di alluminio in una scultura a quattro ruote, capace di catturare il cuore, in ogni angolo del mondo. La fantastica carrozzeria vestiva con grazia davvero unica il telaio tubolare in acciaio, legato alla tradizione del “cavallino rampante”.

Come dicevamo, dal punto di vista estetico la Ferrari 250 Testa Rossa più affascinante è stata quella della prima serie, con le sue caratteristiche feritoie di raffreddamento dei tamburi, che conferivano al modello una personalità unica e distintiva. Sotto il cofano anteriore, sapientemente modellato, trovava accoglienza un motore V12 da 3.0 litri di cilindrata, in grado di sviluppare una potenza massima di 300 cavalli a 7.200 giri al minuto. Questo cuore, alimentato da 6 carburatori Weber doppio corpo, liberava la sua energia con sonorità meccaniche inebrianti, entrate anch’esse nella storia.

Di grandissima portata la spinta conferita dall’unità propulsiva alla Sport emiliana, grazie anche al peso ridotto, di appena 800 chilogrammi. Il suo fulgido destino agonistico fu annunciato dal successo raccolto nella gara di esordio, la 1000 km di Buenos Aires del gennaio 1958, con Hill e Collins. Incredibile il ruolino di marcia della Ferrari 250 Testa Rossa, che mieteva vittorie dappertutto, come un vero rullo compressore. È stata una delle più grandi regine delle corse di tutti i tempi.

Ferrari Monza SP2

Ferrari Monza SP2

Qui le lancette del tempo si spostano quasi ai nostri giorni, perché il modello in esame è nato nel 2018. Si tratta di un capolavoro. Come riferito in un altro post, questa è dal punto di vista formale la più pura tra le vetture ad alto indice di carisma disegnate da Flavio Manzoni. Esiste pure in versione monoposto, battezzata Monza SP1, ma esteticamente preferisco la Ferrari Monza SP2, ancora più equilibrata sul piano stilistico.

A suo favore gioca anche la possibilità di condividere le esperienze dinamiche con un passeggero, cosa non fattibile sull’altra, insieme alla quale ha aperto una nuova gamma molto esclusiva, quella delle Serie Icona. Si tratta di una famiglia di modelli in tiratura limitata, di altissimo lignaggio, che celebrano i modelli del “cavallino rampante” più carismatici del passato.

Nello stile della carrozzeria della Ferrari Monza SP2, meravigliosamente plasmata, aleggiano gli influssi stilistici delle 750 Monza e 860 Monza. Il richiamo è ben lontano dai classici remake, ma si coglie nell’aria, pur se la tela stilistica è proiettata verso la modernità, con alchimie specifiche di grande intensità. Secondo me questa è la “rossa” dell’era Manzoni che meglio di tutte le altre può reggere il confronto con le opere di Pininfarina, sul fronte dell’armonia espressiva.

Si starebbe ore a guardarla, senza mai stancarsi. Tutto, nei suoi tratti, scorre in modo fluido e plastico. Nessun dettaglio è fuori posto. Anche qui siamo al cospetto di un capolavoro, questa volta dell’era moderna. Godibile nella sola dimensione en plein air, la Ferrari Monza SP2 attualizza nel migliore dei modi il tema delle barchette. La tela scenica è dominata dal lungo cofano anteriore, che accoglie al suo interno un gioiello ingegneristico: stiamo parlando di un motore V12 da 6.5 litri di cilindrata, in grado di produrre la bellezza di 810 cavalli della miglior specie.

Formidabile l’erogazione, condita da musicalità meccaniche che conquistano i sensi, in tutte le dimensioni emotive. Superfluo dire che le prestazioni sono del più alto livello, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 2.9 secondi e da 0 a 200 km/h in 7.9 secondi. La velocità massima si spinge oltre quota 300 km/h. Cifre pazzesche per una barchetta, ma non sufficienti ad illustrare, nel loro pieno fulgore, i brividi di piacere regalati da questa opera d’arte del “cavallino rampante”, degna discendente delle nobili ed iconiche progenitrici.