La Maserati Biturbo Spyder ha avuto il merito di riportare la carrozzeria aperta sulle vetture dell’era moderna del marchio modenese. Oggi anche lei appartiene al passato, avendo oltre 40 anni di vita sulle spalle. Pur non essendo uno dei modelli più apprezzati del “tridente”, ha lasciato il segno.
Questa vettura sportiva, di dimensioni compatte, si è giovata dell’apporto di Zagato, per assumere la fisionomia a cielo aperto. Appartiene a una famiglia di modelli voluta da Alejandro de Tomaso, per aprire nuove opportunità commerciali. L’idea era buona, ma non divenne vincente per l’approssimazione con cui fu tradotta in materia.
Ad incidere negativamente sulla reputazione della gamma ci pensò la scarsa affidabilità dei suoi modelli, forse imputabile alla fretta con cui si volle avviare il ciclo produttivo. Anche le finiture non erano al top, nonostante l’uso di materiali raffinati. Nel tempo le cose migliorarono, ma ormai il danno di immagine si era compiuto. Recuperare quella tara divenne un problema insormontabile, anche per le migliori discendenti della specie.
La Maserati Biturbo Spyder nacque nel 1984, quando la versione coupé si avviava a compiere il terzo compleanno (essendo stata presentata nel 1982). Riprendeva le linee tracciate da Pierangelo Andreani, capo del centro stile interno, che si ispiravano alla Quattroporte di Giugiaro, ma per assumere la nuova veste scoperta entrò all’opera Zagato.
Come le sorelle chiuse, aveva il motore a doppia sovralimentazione, disposto in posizione anteriore longitudinale, abbinato alla trazione posteriore. Ad animarne la danze provvedeva un V6 bialbero da 2.5 litri di cilindrata, con 192 cavalli di potenza massima. Così fu commercializzata all’estero. Poi l’auto venne offerta anche con un cuore da 2.0 litri, destinato all’Italia, in grado di sviluppare 180 cavalli.
Una Maserati per tutte le stagioni
Con la Maserati Biturbo Spyder, le alte prestazioni e il piacere della guida a cielo aperto furono combinati in modo efficace. Questa fu la prima decapottabile del “tridente” dopo la Ghibli Spyder. Il suo arrivo colmò una lacuna che si era protratta per circa 12 anni. Rispetto alla coupé aveva un passo ridotto a 2.400 millimetri, contro i 2.514 millimetri della sorella coperta.
Nel corso del suo ciclo di vita nacquero diverse altre versioni dello stesso modello, appoggiate alle stesse evoluzioni tecniche ed estetiche delle coupé di era contemporanea. L’unica eccezione fu rappresentata dal motore da 2.8 litri a 24 valvole, che non trovò mai posto sotto il suo cofano. Il ciclo produttivo del modello iniziale giunse al suo epilogo nel 1986, dopo che soli 276 esemplari presero forma.
Al tenore prestazionale del modello concorreva il peso a secco di 1.251 chilogrammi: non troppi per una scoperta, come la Maserati Biturbo Spyder, nonostante la costruzione con monoscocca in acciaio. Per l’Italia il modello era disponibile col già citato V6 da 2.0 litri, che riusciva a sprigionare 180 cavalli a 6.000 giri al minuto. La velocità massima si spingeva a 215 km/h.
Dopo questa versione iniziale giunse la variante “i” del 1986, nata in 297 unità fino al 1988. Qui i cavalli erano 185 a 6.000 giri al minuto, per una punta velocistica di 220 km/h. A chiudere il ciclo ci penso la Maserati Biturbo Spyder i del 1989, prodotta fino al 1992, in 122 esemplari. Il peso crebbe, ma anche la potenza si spinse a nuovi livelli, toccando quota 220 cavalli a 6.250 giri al minuto, per 230 km/h di velocità massima. Chapeau!





Fonte | Maserati