La crociata degli Stati Uniti contro le auto connesse provenienti dalla Cina potrebbe presto allargarsi all’Europa. Anche se resta da capire se anche lungo il continente europeo, ove sono molte le fabbriche aperte dai produttori cinesi, sarà possibile giustificare un provvedimento di questa portata con esigenze di sicurezza come quelle francamente ridicole che stanno caratterizzando il bando promosso dall’amministrazione Biden nei confronti di software e hardware prodotti nel Paese del Dragone. Intanto, però, un altro fronte di dissidio potrebbe aprirsi tra UE e Cina. Giustificando l’invito fatto dal governo di Pechino alle proprie aziende: non investite più in Europa.
Auto connesse, come al solito l’UE si accoda agli USA
Come già accaduto in altre occasioni, l’Unione Europea a livello politico si dimostra una semplice appendice del governo statunitense. Anche a rischio di andare contro i propri interessi, come potrebbe accadere per la questione dei software e hardware delle auto connesse prodotte dalle aziende cinesi.
Anche Bruxelles, infatti, avrebbe preso in considerazione l’ipotesi di introdurre ostacoli alle tecnologie provenienti da paesi considerati “nemici”. Anche se sarebbe il caso di capire perché la Cina sarebbe tale. E, se lo fosse, perché sino ad ora si è permesso ai produttori di quel Paese di aprire stabilimenti che danno lavoro a decine di migliaia di lavoratori europei. Ma forse la classe politica di Bruxelles è troppo prona ai desiderata di Washington per capirlo. Salvo poi sorprendersi quando gli elettori votano le estrema di destra e sinistra, per protesta.
A esprimersi sulla questione è stata la danese Margrethe Vestager, che all’interno della commissione europea sovrintende le questioni legate alla digitalizzazione. Proprio lei ha infatti annunciato che “è legittimo esaminare se quel tipo di tecnologia possa essere o meno utilizzata in modo improprio quando si tratta di questioni di sicurezza”. E gli argomenti, non a caso, sono gli stessi del governo statunitense: le auto connesse sarebbero in grado di registrare e comunicare dati sensibili. Ragione sufficiente per spingere la UE ad esaminare la questione, anche con i suoi esperti di sicurezza economica.
La Cina è un pericolo, ma se investe nell’UE va bene
Dalle dichiarazioni di Vestager esce fuori un quadro a dir poco confuso, anche se non è una novità per la classe politica europea. La Cina sarebbe un “nemico”, anche se non risultano atti offensivi di qualsiasi genere del Paese orientale nei confronti dell’Unione Europea. Talmente nemica da investire per l’apertura di fabbriche in cui costruire e assemblare le proprie auto elettriche. Investimenti preziosi che danno lavoro a un gran numero di addetti che altrimenti, considerata la crisi dell’automotive europeo, rimarrebbero a casa.
In questo panorama, resta solo da capire se l’Italia vorrà continuare a fare la parte del servo sciocco e ostinarsi nei pericolosi equilibrismi che ne hanno contraddistinto l’operato negli ultimi anni. Il nostro Paese, infatti, sta trattando con Dongfeng per l’apertura di uno stabilimento in Italia. Il governo cinese lo sa benissimo e infatti, per dare il suo nulla osta, chiede all’Italia di adottare Huwaei in qualità di fornitore di servizi di telecomunicazioni in cambio.
Forse qualcuno non ha capito che le trattative prevedono il canonico do ut des. Sembra difficile pensare che il governo di Pechino, preso a pesci in faccia su dazi e auto connesse, possa a quel punto aderire all’ipotesi di investimenti lungo il Belpaese. Soprattutto dopo l’abbandono della Via della Seta da parte del governo Meloni. Molto più produttivo investire in Ungheria, ove Orban sta mostrando una capacità diplomatica del tutto sconosciuta all’insipida classe politica italiana. Attirando investimenti cinesi che sono sempre più preziosi in un momento economico come l’attuale.
Auto connesse: cosa accadrà ora
Nel corso delle prossime settimane, i funzionari europei per la sicurezza informatica si incaricheranno di presentare una bozza con le misure proposte sul tema. Il documento in questione potrebbe essere non vincolante, affidando quindi ai singoli governi la realizzazione o meno delle misure proposte.
In questo clima, le aziende europee, come del resto quelle statunitensi, hanno già fatto conoscere il proprio pensiero al riguardo. Che è di grande scetticismo, in quanto gli effetti potrebbero essere negativi per loro. Nell’impossibilità di ricorrere a software e hardware cinesi, sarebbe necessario trovare nuovi fornitori.
Ma, soprattutto, il timore è che Pechino possa reagire. Un timore che diventa terrore nel caso dei marchi tedeschi. Basta infatti vedere i profit warning emanati nel corso degli ultimi giorni per capirne il motivo. Ormai Mercedes, BMW e Volkswagen dipendono per circa un terzo dal mercato automobilistico cinese, il più grande a livello mondiale. Le ritorsioni della Cina sarebbero un colpo di maglio per loro.