L’annuncio di una commissione d’inchiesta sui prezzi troppo bassi praticati in Europa dai produttori cinesi di auto elettriche ha provocato non poche fibrillazioni. In particolare, la posizione dell’Unione Europea sembra quella tesa a stigmatizzare gli aiuti statali di Pechino. Grazie ad essi, infatti, i marchi del Dragone sarebbero in grado, almeno questa è la tesi di Bruxelles, di praticare prezzi che rischiano di buttare fuori dal mercato le aziende concorrenti.
Dopo l’annuncio, l’intero settore automobilistico cinese si è naturalmente ritrovato sotto osservazione. Mentre molti osservatori cercano a loro volta di capire se l’UE abbia ragione o meno. A cercare di dare una risposta sull’effettiva consistenza degli aiuti denunciati dalla Commissione europea è ora un fornitore di informazioni relative alla Cina, Nikkei Asia. Andiamo a vedere cosa ha scoperto, proprio sulla questione dei sussidi statali cinesi alle aziende dell’automotive.
Aiuti di stato per le auto elettriche cinesi: a quanto ammontano realmente?
CATL, acronimo di Contemporary Amperex Technology, sarebbe l’azienda cinese più generosamente aiutata dal governo di Pechino. I sussidi ricevuti hanno toccato il livello di 2,85 miliardi di yuan nell’arco di sei mesi, un importo che è quasi il triplo di quanto ricevuto un anno prima. Per capire meglio, si tratta del corrispettivo di circa 366 milioni di euro. L’azienda non ha mai diffuso particolari sulla questione.
Altro beneficiario degli aiuti di Stato cinesi è poi Eve Energy, considerato uno dei principali concorrenti dell’azienda quotata a Shenzhen. La società di stanza nel Guangdong, infatti, ha sua volta beneficiato di poco più di un miliardo di yen , 1,08 per la precisione (138 milioni circa di euro), godendo però di un notevole aumento in tal senso. Nell’anno precedente, infatti, il contributo pubblico si era fermato a circa un quarto. La stessa azienda ha comunque svelato i particolari della sovvenzione ottenuta all’interno di una dichiarazione resa alla Borsa di Shenzhen. Tra le quasi 60 singole voci di sovvenzione è stato possibile ravvisare l’apporto non solo dello Stato, ma anche degli enti locali.
Per quanto concerne invece le case automobilistiche, che è in fondo l’aspetto su cui sta concentrando la sua attenzione l’Unione Europea, il maggiore beneficiario degli aiuti governativi è risultato SAIC Motor, azienda quotata a Shangai. Ha infatti ricevuto oltre 2 miliardi di yuan (poco meno di 260 milioni di euro), con una crescita pari quasi al doppio rispetto ai sussidi di un anno prima. SAIC si sta facendo notare per il tentativo di produrre anche auto con motori termici. Per riuscirci ha dato vita a collaborazioni separate con General Motors e Volkswagen.
Per quanto riguarda BYD, che ha di recente portato il suo modello Seal al salone dell’auto di Monaco di Baviera, il leader cinese nelle vendite di veicoli elettrici, si è fermato invece a 1,78 miliardi di yuan (poco meno di 230 milioni di euro), in questo caso quasi tre volte quanto ricevuto nel corso dell’anno precedente. Quello che nel corso dell’anno dovrebbe sostituire la Volkswagen come maggior marchio in termini di vendite in Cina, si è fatto notare negli ultimi mesi anche per il ruolo assunto nel commercio di smartphone.
Infine Chongqing Changan Automobile, altra casa che si sta facendo notare all’estero, con una serie di veicoli che stanno conquistando il grande pubblico. Nel suo caso, il “sostegno industriale” erogato da Pechino si è fermato a 856 milioni di yuan (circa 110 milioni di euro).
Tanto rumore per nulla?
Alla luce delle cifre in questione, sembra di poter affermare che la mossa decisa dalla Commissione europea, il varo di un’inchiesta sui prezzi troppo bassi delle auto cinesi, potrebbe alla fine rivelarsi del tutto spropositata, rispetto alla realtà. Soprattutto se si confrontano le stesse coi 360 miliardi di dollari stanziati dagli Stati Uniti all’interno del loro Inflaction Reduction Act (IRA), di cui godranno largamente anche le case automobilistiche, a partire da Tesla, che ha già annunciato l’intenzione di farlo.
Proprio il caso di Tesla è emblematico al riguardo. La casa californiana, infatti, ha di recente deciso di abbandonare l’idea di costruire uno stabilimento in Germania, che avrebbe comportato sussidi statali per oltre un miliardo di euro. Elon Musk ha deciso di rinunciarci per usufruire di quelli più pingui prospettati dal recente provvedimento approvato da Biden. Cifre quindi largamente superiori a quelle per cui adesso i brand cinesi si trovano sotto inchiesta.
Ora sarà l’indagine della Commissione Europea a stabilire se i prezzi giudicati esageratamente bassi delle auto elettriche cinesi derivino dagli aiuti di Stato. Ove decidesse di accettare la tesi verrebbero elevati dazi nei confronti dei modelli in questione. Intanto, però, la Cina ha già provveduto a rendere nota la sua posizione, facendo capire che ritiene la mossa di Bruxelles alla stregua di puro e semplice protezionismo. E, soprattutto, lasciando intendere di non aver intenzione di tirarsi indietro di fronte alla prospettiva di una guerra commerciale.
Occorre comunque sottolineare che la questione non attiene esclusivamente all’economia, estendendosi anzi alla geopolitica. Tanto da lasciare prevedere che le decisioni finali avranno un sapore esclusivamente politico. E, soprattutto, saranno prese non tanto a Bruxelles, quanto a Berlino o Parigi. Ovvero presso i due Paesi europei più direttamente interessati.
Le posizioni di Francia e Germania sono destinate alla collisione
La Germania e la Francia potrebbero presto entrare in collisione sulla questione delle auto elettriche cinesi. In molti stanno avanzando questo pronostico dal momento in cui Ursula Von der Leyen ha reso pubblica l’intenzione di aprire un’inchiesta sulle auto elettriche cinesi.
Un pronostico che sembra destinato ad avverarsi, proprio per i differenti interessi dei due Paesi. La Germania, infatti, esporta molte auto in Cina. In particolare, la Volkswagen riversa circa il 40% della sua produzione sul territorio del gigante asiatico. La possibile ritorsione di Pechino andrebbe quindi a colpire al cuore la sua industria automobilistica.
La Francia, al contrario, non vanta quote particolarmente significative in Cina ed è molto più interessata al mercato domestico, ovvero quello europeo. Potrebbe quindi decidere di spingere sul pedale dell’acceleratore e propugnare misure forti contro i produttori cinesi. Capofila di questa impostazione potrebbe rivelarsi la Renault, che per bocca di Luca De Meo, il suo amministratore delegato, ha di recente affermato la necessità di fare presto per approntare politiche di contenimento verso i modelli asiatici.
Proprio nelle ultime ore, però, è emerso un fatto molto interessante. Il governo di Parigi, infatti, avrebbe deciso di rimodulare gli incentivi destinati alle autovetture. Nel farlo, avrebbe deciso di concederli soltanto alle case che producono senza impattare sull’ambiente. Una decisione che andrebbe a colpire proprio le case cinesi, poiché il gigante orientale produce con largo impiego di carbone. Escludendo i modelli in questione dagli incentivi statali si inizierebbe a porre ostacoli sul cammino delle case cinesi, senza dover arrivare ai ferri corti prospettati da un’inchiesta.