Dopo l’annuncio di Ursula Von der Leyen, relativo all’apertura di un’inchiesta sui costi troppo bassi delle auto elettriche cinesi, in molti si attendevano una immediata risposta da parte di Pechino. Una attesa che non è andata delusa, considerato come il governo del Dragone abbia fatto capire senza mezzi che la decisione dell’Unione Europea potrebbe avere un impatto negativo sulle relazioni economiche e commerciali tra le due parti.
Paradossalmente, l’argomento che è stato utilizzato per argomentare la risposta, è stato preso in prestito dalla dottrina liberista, ovvero la più lontana dal punto di vista ideologico dal dirigismo cinese. Il Ministero del Commercio cinese, in una nota pubblicata nella giornata di giovedì, ha infatti bollato la decisione dell’UE alla stregua di un rigurgito protezionistico. Le parole precise adoperate per l’occasione sono le seguenti: “L’indagine rappresenta un puro atto protezionistico che sconvolgerà e distorcerà gravemente l’industria automobilistica globale e la catena di fornitura, compresa l’UE, e avrà un impatto negativo sulle relazioni economiche e commerciali Cina-UE”.
Proprio su quest’ultimo punto, il documento suona estremamente chiaro: “La Cina presterà molta attenzione alle tendenze protezionistiche dell’UE e alle azioni di follow-up, e tutelerà fermamente i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi”.
Auto elettriche cinesi: cosa sta accadendo
Il prologo di quanto sta accadendo è da ricercare nell’annuncio da parte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, relativo all’apertura di un’indagine nei confronti della Cina. L’accusa verso il gigante orientale è quella di inondare i mercati globali con auto elettriche caratterizzate da prezzi artificialmente bassi. A tenerli su livelli estremamente contenuti gli ingenti sussidi statali generosamente donati dal governo di Pechino.
L’indagine, stando a quanto dichiarato da una persona a conoscenza della questione a Bloomberg, potrebbe richiedere sino a nove mesi prima di essere chiusa. E, soprattutto, potrebbe sfociare nell’apposizione di dazi simili a quelli elevati negli Stati Uniti nei confronti delle auto elettriche cinesi. In pratica, si tratterebbe di un’aggiunta del 27,5%, tesa con tutta evidenza a rendere meno proibitiva la resistenza dell’industria automobilistica locale.
Un’ipotesi vista letteralmente come fumo negli occhi dal governo cinese. Tanto da spingerlo a minacciare ritorsioni ove l’UE intendesse andare avanti sulla strada intrapresa. Una minaccia non proprio da prendere alla leggera, alla luce di passate risposte di Pechino in occasioni analoghe.
Auto elettriche: l’accusa dell’Unione Europea
I funzionari dell’UE ritengono che le case cinesi stiano abbassando i prezzi dei modelli elettrici di circa il 20% nel mercato europeo. Lo farebbero spinti da una precisa motivazione: aumentare la pressione sui marchi europei obbligandoli producano veicoli elettrici a basso costo. La Commissione Europea ha ricordato a sua volta che la quota cinese di veicoli elettrici venduti in Europa è salita all’8% e potrebbe raggiungere il 15% nel corso del 2025.
Secondo quanto riferito dal think tank statunitense Center for Strategic and Internal Studies (CSIS), nel 2022 il 35% di tutte le auto elettriche esportate proveniva dalla Cina. Un dato reso ancora più notevole dalla crescita di dieci punti percentuali rispetto all’anno precedente. Alla luce di questi dati è abbastanza comprensibile il timore di una vera e propria invasione cinese, del resto preventivata dagli analisti di UBS. Secondo loro, infatti, nel 2030 i produttori cinesi deterranno il 32% dell’intero mercato globale.
Il modo scelto dall’UE per alzare le barricate, sembra però il peggiore possibile. Soprattutto alla luce del fatto che il mercato cinese potrebbe diventare off limits per le imprese europee, ove il contrasto si esacerbasse. Anche alla luce dell’evidente fastidio di Pechino di fronte alla decisione di alcuni governi, compreso quella italiano, di abbandonare la Via della Seta.
La ritorsione cinese non è un’ipotesi azzardata
Sin dal primo momento, gli analisti avevano avvertito Bruxelles che un’indagine di questo genere avrebbe suscitato l’immediata reazione della Cina. I produttori locali, infatti, affermano senza mezzi termini come il loro vantaggio nel settore non deriva dai sussidi (di cui godono a vario livello anche i concorrenti), bensì da una serie di caratteristiche che si stanno rivelando vincenti.
Chi ha ragione? Stando ad un altro recente studio di UBS, proprio la Cina. Gli analisti della banca, infatti, hanno smontato pezzo per pezzo una BYD Seal, approdata di recente al salone dell’auto di Monaco di Baviera, scoprendo con una certa sorpresa una serie di caratteristiche che ne fanno un competitore estremamente temibile per la Tesla Model 3.
Al di là della questione relativa alle ragioni dell’una o dell’altra parte, l’ipotesi di una ritorsione da parte cinese aleggia alla stregua di un convitato di pietra sulla querelle. Secondo gli analisti dell’Eurasian Group, infatti, se Bruxelles alla fine dovesse decidere di imporre dazi contro i veicoli elettrici cinesi sovvenzionati, Pechino non avrebbe eccessive remore nell’imporre contromisure tese, con tutta evidenza, a danneggiare le industrie europee.
Altri analisti, a loro volta, hanno invece concentrato la propria attenzione sulle possibili conseguenze sul versante delle batterie. Secondo loro, infatti, l’indagine potrebbe rallentare l’espansione della capacità da parte dei fornitori cinesi di batterie. Al tempo stesso, non ci sarebbero grandi rischi per i brand cinesi dediti ai modelli green, in quanto gli stessi potrebbero concentrare gli sforzi su altri mercati, a partire dal sud-est asiatico, in grande crescita.
Le preoccupazioni di Pechino
Nonostante le rassicurazioni, qualche rischio per i produttori cinesi di auto elettriche persiste comunque. In particolare, ad essere danneggiata potrebbe essere la percezione dell’opinione pubblica verso i marchi in questione. Ad affermarlo sono stati gli analisti di Bernstein, i quali hanno aggiunto che gli sforzi tesi all’esportazione di modelli ecologici derivano dal rallentamento della domanda interna. Ove fosse compromesso il mercato europeo, ne potrebbe derivare una pericolosa crisi di sovrapproduzione.
La China Passenger Car Association, che rappresenta a sua volta le case automobilistiche, ha affermato a sua volta che il boom delle esportazioni non è dovuto agli ingenti sussidi ricevuti, bensì dalla grande competitività della catena di approvvigionamento cinese. Un fattore del resto riconosciuto dall’amministratore delegato di Renault, Luca De Meo, in una recente chiacchierata con la stampa italiana, all’IAA Mobility 2023.
Il dato che balza agli occhi è che soltanto ora che i produttori cinesi si stagliano all’orizzonte alla stregua di una minaccia competitiva, l’Occidente reagisce. Una reazione che, però, avviene nel modo peggiore.
In una nota a commento della questione, pubblicata su WeChat, il segretario generale dell’APC, Cui Dongshu, ha peraltro ricordato un altro fatto di non poco: il prezzo delle auto esportate dalla Cina in Europa è di solito doppio rispetto a quello praticato in patria.
Per quanto riguarda le case direttamente interessate, Nio e Geely hanno rifiutato di commentare l’indagine dell’UE, mentre BYD, Xpeng e SAIC non hanno per ora risposto alle richieste di commento. Evidente l’intenzione di non giungere ai ferri corti con l’UE.