Rispetto a certi nostri vicini di casa europei, le auto elettriche hanno preso poco piede in Italia, almeno finora. Tra i punti critici lamentati dai conducenti spicca, manco a dirlo, l’elevato prezzo d’acquisto. In un Paese come il nostro dove il reddito medio risulta basso, o comunque inferiore in confronto agli Stati più sviluppati, non si tratta di una questione di poco conto. Ma sarebbe troppo frettolosi liquidare il tutto con una critica alla velocità del processo di rifornimento. In realtà, diversi altri fattori trattengono i conducenti nel dare loro una chance. Alcuni sono figlie del pregiudizio, tipo il rischio di rimanere a piedi.
Ormai le compagnie hanno compiuto dei tali progressi da scongiurare sul nascere un’eventualità del genere. Altri poggiano su fondamenta concrete. Ed è qui che scendono in campo i due nostri portacolori, Antonio Bertei e Marco Lagnoni. Professore associato il primo, ricercatore in Ingegneria Chimica il secondo, entrambi prestano servizio presso l’Università di Pisa. Dalle loro brillanti capacità di intuizione è nato un progetto dall’enorme potenziale.
A dare una mano pure degli esponenti di rinomati istituti internazionali, tra cui le Università di Londra e Pechino, nonché del celeberrimo MIT (Massachusetts Institute of Technology). Il lavoro compiuto, portato avanti in stretta sinergia, ha portato alla nascita di uno slogan: “aspettare per essere più veloci”. Il riferimento va alla tecnica unica e originale per velocizzare il processo di ricarica delle auto elettriche. Una questione annosa, che si trascina da ormai tanto tempo. Fino a oggi nessuno ha saputo dare una soluzione pienamente soddisfacente al problema. Il motivo? La prospettiva errata data al processo di rifornimento degli accumulatori, stando almeno alla tesi perorata dal team di studiosi. Questo è almeno quanto sostengono i diretti interessati, sicuri di avere tra le mani una potenziale pepita d’oro. Prima di cantare vittoria serviranno dei test approfonditi, tuttavia il sentiero pare essere stato tracciato.
Auto elettriche: la vera debolezza del litio
I nomi di Bertei e Lagnoni forse vi suoneranno familiari, giacché in passato avevano fatto notizia con i catalizzatori litio-aria. Il progetto, portato avanti con alcuni membri delle Università di Oxford e Nottingham, mirava ad affrontare le basse velocità di ricarica associate. Adesso sempre di ricarica si parla, ma sotto una differente prospettiva, altrettanto interessante.
Ostinarsi a fingere che non ci siano problemi nelle auto elettriche sarebbe un po’ come mentire a sé stessi. Senza nulla voler togliere ai vantaggi sulla mobilità, in termini di emissioni di anidride carbonica e polveri sottili nell’ambiente, esistono pure delle falle. E la lentezza del processo di ricarica è uno dei temi chiave. Di passi in avanti ne sono stati compiuti, ad esempio da Tesla con la sua rete di Supercharger. Ciononostante, la strada da percorrere rimane lunga e una chiave di svolta definitiva deve essere trovata. Forse è la volta buona, anche perché interessa la longevità delle batterie. Ancora oggi l’aspettativa di vita degli accumulatori risulta piuttosto bassa e, a quanto pare, i due fattori sono correlati. La sfida dei ricercatori consisteva nell’osservare il processo di placcatura al litio della grafite. Il nome identifica il deposito involontario del litio metallico sulla superficie dell’anodo di grafite.
Il litio finisce per accumularsi, creando un volume destinato man mano a crescere. E, invece, di essere utilizzabile nella batteria avviene ciò che è uno spreco a tutti gli effetti. Più le dimensioni crescono, più il fenomeno degrada. E la conseguenza diretta consiste nell’impossibilità di dare vita a sistemi di ricarica ultra-veloce. Il difetto strutturale, evidenziato dagli addetti ai lavori, deve essere affrontato con il riassorbimento del litio da parte dell’elettrodo. Così facendo, si andrebbe a rallentare l’invecchiamento degli accumulatori. Per determinare una soluzione al passo coi tempi, gli operatori si sono prodigati di collaudare un modello computazionale. Ovvero hanno usato i computer per studiare e simulare il comportamento di sistemi complessi, in modo da incrementare le conoscenze circa il funzionamento e di accertare le politiche di gestione da attuare.
I possibili sviluppi della scoperta
Il rapporto è stato pubblicato tra le pagine della pubblicazione scientifica Nature Communications (col titolo Multiscale dynamics of charging and plating in graphite electrodes coupling operando microscopy and phase-field modelling), in cui vengono fornite delle ulteriori specifiche a tal proposito. Oltre a Lagnoni, pure Bertei ha fornito dei chiarimenti, sottolineando come le indagini eseguite abbiano permesso di quantificare con esattezza i meccanismi di invecchiamento durante la ricarica rapida delle batterie al litio aventi elettrodi in gradite. Le criticità sono, appunto, da ricercare nelle idee alla base del trattamento.
A causa delle metodologie messe in pratica, è concreto il rischio di determinare una deposizione al litio metallico sulla superficie dell’anodo di grafite (elettrodo negativo). L’effetto è quello in precedenza evidenziato, ovvero la perdita irreversibile di litio. Che verrebbe disperso per il processo di placcatura. Ne è la conseguenza la perdita delle performance sotto il profilo energetico e la compromissione della sicurezza degli accumulatori. Almeno in maniera parziale, il fenomeno è modificabile.
L’analisi delle modalità di riassorbimento ha mostrato dei margini di intervento nella tecnica di riassorbimento, nonché di definire in modo esatto il funzionamento della batteria. I modelli fisici-matematici evoluto, e le informazioni aggiuntive frutto di analisi sperimentali avanzate, hanno dato il là a una conclusione. Alla quale forse le parti non sarebbero mai giunte, se non avessero condiviso gli stessi valori e lo stesso bagaglio formativo. A conti fatti, la soluzione consiste nello stabilire delle pause a livelli di ricarica predefiniti. Da lì l’espressione “aspettare per essere più veloci”, che è molto meno paradossale di quanto si sarebbe potuto pensare in principio. Qualora i futuri esami dovessero conferma la bontà dell’intuizione, allora i produttori di auto elettriche avrebbero davanti a sé una grande opportunità.
A lungo i clienti si sono lamentati della lentezza della ricarica. E disporre di un sistema di ricarica ultra-veloce consentirebbe di superare le criticità di parecchi conducenti. Dissuasi dall’acquisto proprio per via dei lati negativi. E poi non bisogna dimenticare il secondo motivo di interesse del progetto attuato, ovvero l’aumento della longevità delle batterie. Il relativo smaltimento risulta, del resto, un grosso problema e poterne allungare la vita permetterebbe di attenuare i disagi. E ridurre, dunque, il bisogno di produrre in maniera imperterrita nuovi accumulatori. Che non sono affatto innocui sull’ambiente, come dimostrato anche da un recente studio pubblicato dall’Università di Harvard.
Nell’elaborato si evidenzia il forte impatto sul Pianeta nella realizzazione, al punto da rendere più convenienti le vetture a benzina se la vettura viene usata poco. Il limite di percorrenza quantificato affinché le bev siano meno inquinanti è pari almeno a 45 mila km. Un intervallo parecchio lungo, che il conducente medio impiega un decennio a maturare. La scoperta degli autori è servito a sottolineare l’importanza di sostenere l’acquisto dei veicoli soprattutto da parte dei lavoratori, obbligati a usarli ogni giorno nella tratta casa-lavoro, a maggior ragione per le fasce meno abbienti della popolazione.