Il Parlamento Europeo si trova a dover fare i conti con la crisi dell’automotive in Europa. Una crisi estremamente pericolosa, considerato il peso del settore e i tanti posti di lavoro ad esso collegati. Soprattutto in un momento in cui i partiti più critici verso il modello di sviluppo e sociale dell’Unione Europea mietono consensi elettorali. Basta in effetti dare un rapido sguardo ai risultati delle recenti regionali tedesche, con AFD e BSW in straordinaria crescita, per capire la delicatezza del momento.
Per dare risposte in tal senso, ora si potrebbe puntare sui fondi coesione. Ovvero sullo strumento che è stato istituito nel 1994 al fine di finanziare progetti a favore dell’ambiente e della rete trans-europea negli Stati membri il cui reddito nazionale lordo (RNL) pro capite è inferiore al 90 % della media dell’UE. A sostenere questa tesi è Vasco Alves Cordeiro, presidente del Comitato europeo delle regioni.
Automotive, la soluzione potrebbe essere rappresentata dai fondi di coesione
La crisi in cui versa l’automotive in Europa, potrebbe essere affrontata usando i fondi di coesione. L’idea è stata avanzata da Vasco Alves Cordeiro, presidente del Comitato europeo delle regioni. È stato lui ad affermare che la politica di coesione deve essere disponibile per tutte le regioni e non va considerata una “politica della carità” per quelle meno sviluppate.
Cordeiro ha poi proseguito affermando che le regioni dell’automotive, dotate di un tessuto imprenditoriale sviluppato, hanno bisogno di condurre la transizione climatica. Per farlo e riuscire a superare una sfida sempre più impegnativa, devono avere accesso ai fondi di coesione.
Parole che sono state pronunciate nel corso di una audizione in commissione per lo sviluppo regionale del Parlamento europeo, durante la quale Cordeiro ha tirato le somme sulle sfide che attendono la futura politica di coesione dopo il 2027.
La politica di coesione deve essere disponibile da tutte le regioni
Nel corso della prevista audizione, il numero uno del Comitato europeo delle regioni ha indicato una serie di elementi interessanti, per altri motivi. Quello che, però, sarà stato accolto con maggior interesse dal settore automobilistico europeo, è proprio quello relativo all’utilizzazione dei fondi destinati alla coesione.
Una proposta di questo genere, in effetti, sembra andare nella direzione di creare un quadro di forti investimenti pubblici per ovviare ai tanti problemi posti dall’indebolimento del mercato. Un indebolimento che si fa sentire soprattutto per le auto elettriche. Il vero e proprio rifiuto da parte dei consumatori europei, con poche eccezioni, nei confronti della mobilità green, sta non solo mettendo in forse il conseguimento degli ambiziosi obiettivi indicati a livello ambientale, ma contribuendo alla frana dell’automotive europeo.
Basta in effetti guardare quanto sta accadendo alla Volkswagen e a Stellantis, le cui dirigenze non sembrano in grado di affrontare la crisi se non con una politica di tagli che potrebbe forse salvare i conti, ma non certo aiutare l’UE a proporsi come un fattore di crescita sociale.
Automotive e aiuti pubblici: la strada sembra segnata
La proposta relativa ai fondi di coesione, arriva in un momento abbastanza particolare. Testimoniato dal rapporto “The future of European competitiveness”, elaborato da Mario Draghi. Uno studio nel quale l’ex numero uno della BCE ha indicato le linee lungo le quali si dovrebbe dipanare un vero e proprio piano d’azione industriale per il settore.
Proprio al suo interno si indica la strada degli aiuti alle imprese. Aiuti massicci, senza i quali è complicato pensare di poter andare verso l’elettrificazione senza mettere a repentaglio l’intero automotive continentale. In assenza dei quali potrebbe diventare regola quanto sta accadendo in Germania e Italia, ove si prospettano licenziamenti di massa per cercare di riportare sotto controllo i conti.
Resta però del tutto evidente la mancata considerazione di un dato di grande importanza, ovvero l’assenza di un mercato ricettivo. Le auto elettriche continuano a costare troppo, mentre i livelli salariali, a partire da quelli italiani, sono insufficienti. Ma sembra che questo aspetto non sia molto considerato dalle pareti di Bruxelles.