Ha di recente destato notevole attenzione da parte dell’opinione pubblica una sentenza della Corte di Cassazione relativa agli autovelox. Una sentenza segnalata da un gran numero di media con grande enfasi. Enfasi che sembra però andare contro quanto effettivamente deciso, rischiando di ingenerare non solo confusione, ma anche false speranze tra gli utenti delle arterie stradali tricolori.
La sentenza della Cassazione è stata pubblicata il passato 31 agosto, facendo seguito ad una causa intentata dall’Unione dei Comuni di Ferrara contro un automobilista. Quest’ultimo, infatti, dopo aver ricevuto una multa per eccesso di velocità si era rivolto al giudice di pace. Dopo il parere contrario di questi aveva deciso di proseguire la propria battaglia rivolgendosi al tribunale del capoluogo emiliano, che gli aveva dato ragione. A questo punto era stato l’organismo che riunisce i comuni del ferrarese a ricorrere alla Suprema Corte. Andiamo a vedere come è finita esattamente la questione.
Autovelox, cosa dice esattamente la sentenza della Cassazione
La sentenza pronunciata dalla Cassazione il passato 31 agosto, ha in pratica posto fine alla querelle che ha visto contrapposti l’Unione dei Comuni e un automobilista che era stato sanzionato su segnalazione dell’autovelox. Una segnalazione costatata cara all’interessato, che si era visto comminare non solo una multa da 550 euro, ma anche la perdita di punti sulla patente.
Secondo l’interessato, la sanzione era resa illegittima dal fatto che dalla segnalazione del limite di velocità al dispositivo incriminato ci fosse meno di un chilometro. Una tesi contestata dall’Unione dei Comuni, secondo la quale la distanza minima di un chilometro si renderebbe necessaria soltanto nel caso in cui quello fosse il primo avvertimento stradale della presenza dell’autovelox.
Una tesi, quest’ultima, sonoramente bocciata dalla Suprema Corte. Il dispositivo della sentenza, infatti, afferma che affinché una multa sia legittima occorre soddisfare due requisiti: distanza e visibilità. Soddisfazione che deve avvenire in entrambi i casi in maniera autonoma e distinta. In parole povere, la sanzione elevata da un autovelox mal segnalato e, soprattutto, posto a distanza non congrua dal cartello che segnala il limite di velocità può essere oggetto di annullamento.
Ancora la Cassazione spiega poi che il dispositivo dev’essere segnalato con diverse formule chiare. In particolare, i cartelli devono essere leggibili, non presentare graffiti o alterazioni e caratterizzati da dimensioni in grado di facilitarne la lettura. E, ancora, una volta terminato il tratto monitorato è necessaria la presenza di un ulteriore segnale in grado di avvisare in relazione alla fine del controllo. Il cartello dev’essere poi reiterato dopo ogni intersezione e l’apparecchio non può essere posizionato a meno di un chilometro dal cartello che indica il limite di velocità.
Visibilità degli autovelox: non è una novità
Occorre sottolineare come il recente pronunciamento della Corte di Cassazione non rappresenti una vera e propria novità. Già lo scorso anno, infatti, la stessa aveva affermato che gli autovelox devono essere visibili. Una sentenza che aveva in pratica stigmatizzato il camuffamento degli autovelox all’interno delle auto a disposizione della polizia stradale. Inoltre, sono da considerare illegittimi anche i rilevatori nelle vetture non istituzionali ferme nelle piazzole di sosta o nascoste nella vegetazione, oppure senza lampeggiante blu acceso sul tetto (sentenza n. 4007 del 2022).
Se le sentenze della Cassazione sembrano molto chiare, aprendo la strada ai prevedibili ricorsi di coloro che si sentono danneggiati, a torto o a ragione, è anche per la latitanza della politica. La materia degli autovelox potrebbe essere risolta in maniera organica tagliando definitivamente la testa al toro. Dopo la riforma del Codice della Strada, risalente al 2010, era infatti lecito attendersi un decreto in tal senso. Compito che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non è mai riuscito a condurre in porto. Il provvedimento è stato infatti reso impossibile dalle resistenze dei comuni in sede di conferenza unificata.
In mancanza di un chiarimento definitivo della materia, gli enti locali hanno continuato a fare degli autovelox uno strumento punitivo, più che educativo. Affidandogli il compito di reperire quelle risorse che i continui tagli derivanti dalle politiche di bilancio pretese dall’UE hanno reso sempre più aleatorie. Spingendo di conseguenza molti utenti autostradali a vivere come una vessazione la loro presenza sul territorio.
Il segnale di Cadoneghe è abbastanza eloquente
Per capire meglio il sentimento negativo nei confronti degli autovelox basta in effetti ricordare quanto accaduto di recente a Cadoneghe, in Veneto. Nel piccolo centro dell’hinterland di Padova, infatti, è stato fatto esplodere uno dei due dispositivi adottati dall’amministrazione locale.
L’esplosione che ha in pratica tolto di mezzo l’autovelox è stata accolta sui social alla stregua di un vero e proprio atto di giustizia. Un sentimento il quale può essere spiegato con un semplice dato: 24mila sanzioni emesse in un solo mese, per un corrispettivo pari a circa 4 milioni di euro.
Dati tali da far capire come queste macchinette siano ormai concepite con un solo reale intento: fare cassa a danno degli automobilisti. Perdendo così il significato che avrebbe dovuto ispirarne la presenza, ovvero porre un freno agli automobilisti spericolati, impedendo loro di rappresentare un pericolo per la comunità.
Ora l’ANCI prepara la controffensiva
Quanti sono gli autovelox in Italia? Il numero fa in effetti impressione: oltre 11mila. Un dato che fa del nostro Paese ancora una volta il leader in un campo minato, a livello continentale. A rendere surreale la questione contribuisce poi un altro dato di fatto: molti di essi non sono stati installati in maniera regolare.
Per farlo, occorre infatti un decreto del prefetto, il quale deve a sua volta essere emanato esclusivamente dopo la convocazione di una conferenza dei servizi che veda la presenza di Polstrada, polizia locale e istituzioni. Tale conferenza, peraltro, è obbligata a valutare elementi come i flussi di traffico, la presenza di spazi idonei per le postazioni e la frequenza di incidenti. Ogni macchinario deve poi essere omologato e sottoposto a taratura e verifica annuale.
Troppi autovelox non rispettano queste condizioni. Arrivando a veri e propri casi limite come quello di Ciampino, ove il dispositivo posizionato sull’Appia Nuova non ha mai ricevuto il lasciapassare dell’ANAS. Nonostante ciò, ha erogato dal 2018 ben 42mila sanzioni. Come stupirsi, di fronte a queste notizie, dell’avversione di un gran numero di nostri connazionali nei confronti degli autovelox?