La crisi dell’automotive si avverte anche nello stabilimento Bosch di Modugno, un simbolo importante per l’industria automobilistica italiana, già dolorosamente colpita dalla crisi di quello Stellantis di Mirafiori. Il sito produttivo di Modugno, infatti, è fondamentale per il territorio di riferimento, in quanto posizionato in una regione, la Puglia, ove la perdita del lavoro può realmente rappresentare un dramma.
La Bosch di Modugno, in particolare, è considerata ormai da molti anni “la spina dorsale” dell’economia locale, vantando migliaia di addetti. Una presenza importante, che alimenta tutto un sistema economico. Specializzata nella produzione di componenti per i motori a combustione interna, si trova a dover fare i conti con la transizione alla mobilità sostenibile. Un passaggio che si sta rivelando molto complicato per l’azienda.
La Bosch di Modugno sta pagando la transizione energetica
Bosch si trova a vivere le stesse difficoltà di molte aziende del settore automobilistico. Il passaggio ad un modello produttivo basato sull’auto elettrica non è certo indolore, comportando grandi mutamenti nei siti produttivi. La minor domanda di motori termici si va naturalmente a riflettere su quelle fabbriche che erano espressamente rivolte ai motori a combustione interna.
La transizione tecnologica in atto, si traduce in un inevitabile stato di crisi, tale da comportare processi di ristrutturazione che possono rivelarsi particolarmente dolorosi. Soprattutto in quei territori che sono legati da un punto di vista economico ad un determinato sito produttivo. Come è, appunto, il caso di Modugno.
Lo stabilimento Bosch locale, del resto, è ormai da anni interessato da processi di ristrutturazione. La stessa azienda non ha mai mascherato la propria intenzione in tal senso. Del tutto normale, quindi, lo stato di preoccupazione che pervade non solo i lavoratori, ma anche il tessuto delle imprese locali legate ad esso.
Cosa si prospetta, per il futuro di Modugno
Per cercare di governare i processi di ristrutturazione, azienda e sindacati hanno dato vita a numerose trattative, tese a ridurre il possibile impatto sociale dei vari adattamenti. Anche la politica si è attivata per cercare di dare sbocchi a chi ha dovuto lasciare la fabbrica. In particolare con programmi di formazione industriale tesi a dare strumenti tali da rendere più facile agli esuberi la ricerca di un posto di lavoro.
Da parte sua, Bosch ha cercato alternative per riconvertire la produzione dello stabilimento. Le biciclette elettriche sono un esempio, in tal senso. Anche perché l’azienda non è intenzionata a chiudere il sito produttivo. A tal proposito, Renato Lastaria, general manager di Bosch nel nostro Paese ha affermato, nel corso di un incontro stampa tenutosi a Milano: “Dobbiamo trovare una nuova identità industriale per Bari, assicurando al sito un futuro a medio e lungo termine. La strategia è basata sulla riqualificazione del personale per esigenze interne e per l’esterno. Ma i nuovi prodotti richiedono meno addetti, ci sarà un adeguamento del personale in modo volontario e incentivato“.
In questo quadro va quindi vista la riduzione del personale nell’intero stabilimento di Modugno, indicata del resto dal contratto siglato tra azienda e sindacati lo scorso anno. Saranno quindi 700 le uscite, che dovranno essere ultimate nell’arco di un quinquennio.
L’obiettivo è salvare 1.600 posti di lavoro in bilico
Quindi, la buona notizia è che lo stabilimento Bosch di Modugno non chiuderà i battenti. Una decisione resa possibile anche dalle proteste dei sindacati locali, sfociate in una manifestazione del passato 29 marzo in Via Gentile conclusasi di fronte alla sede della Regione Puglia. La protesta, in particolare, era stata causata da un piano industriale presentato nel luglio del 2022, reputato del tutto inadeguato.
La ricerca di nuovi prodotti in grado di aggiungersi a quelli destinati al settore automobilistico è quindi passata in sottordine. Il problema, però, è rimasto sul tavolo, tanto da spingere i sindacati a chiedere l’istituzione di un tavolo di crisi presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Con un obiettivo ben preciso: trovare al più presto una soluzione concreta in grado di salvare i 1.600 posti di lavoro ancora oggi in bilico.
Indicative in tal senso le parole di Ciro D’Alessio, segretario generale della Fiom Cgil di Bari: “Che lo stabilimento non verrà chiuso lo sappiamo già, c’è un accordo con l’azienda fino al 2027 sottoscritto già da un anno e che prevede che non si possa licenziare. Quello che la Bosch ci deve dire è come intendono rilanciare la produzione, quali prodotti verranno messi in campo per l’impianto di Bari. Sul tema per il momento zero risposte”.
La posizione di Bosch
Alle parole di D’Alessio, hanno fatto eco quelle pronunciate da Markus Forschner, il CFO del gruppo, rilasciate nel corso della conferenza stampa sui risultati finanziari 2023. In quella occasione il dirigente ha affermato: “Tutti gli adeguamenti del personale necessari avverranno senza licenziamenti e solo dopo consultazione con le parti sociali. Ridurre i costi va a beneficio della redditività ed assicura la sostenibilità economica”.
Parole quindi rassicuranti, almeno sulla carta. La speranza è che le difficoltà sempre più pronunciate del mercato non le rendano inutili, anche se i furori ideologici dell’UE in direzione dell’auto elettrica potrebbero ben presto dover fare i conti con il sostanziale rifiuto del mercato verso questo modello di mobilità. Basta in effetti guardare quanto detto al riguardo da Luca de Meo, il CEO di Renault, qualche giorno fa.
Paventando multe miliardarie a danno delle case automobilistiche per il mancato conseguimento degli obiettivi ambientali in vista del 2025, de Meo ha indicato proprio la dannosità di un fanatismo ideologico che non tiene conto di molti fattori. Resta da capire se la Commissione Europea si dimostrerà ricettiva di fronte a queste rimostranze, o continuerà a fare orecchie da mercante.
La situazione potrebbe presto surriscaldarsi
Ove si verificasse la seconda ipotesi, però, la situazione potrebbe diventare praticamente ingovernabile. Basta infatti ascoltare i rulli di tamburo dei sindacati tedeschi, pronti ad un autunno caldo a difesa dei posti di lavoro Volkswagen. O dare uno sguardo a quanto sta accadendo in casa Lega, ove Matteo Salvini afferma la sua intenzione di contrastare il bando alle auto termiche nel 2025. Una posizione sposata dal Ministro alle Imprese e al Made in Italy, Adolfo Urso.
In questo quadro, e con un elettorato sempre più critico verso i partiti tradizionali, le prossime settimane potrebbero quindi iniziare a dare risposte probanti. Molto diverse da quelle che si prospettavano qualche anno fa, quando l’auto elettrica sembrava ormai diventata una sorta di mantra.