La Cina, tradizionalmente nota per la sua proverbiale “pazienza” strategica, si è trasformata da silenziosa osservatrice a protagonista indiscussa del settore automobilistico globale. Negli anni Ottanta e Novanta, il Paese del Dragone guardava con ammirazione, quasi con gli occhi lucidi, le auto dei grandi marchi occidentali. Non è un segreto che tra Europa e Stati Uniti i prodotti provenienti dalla Cina siano stati a lungo sottovalutati quando non “snobbati”.
Mentre questa attesa (fatta soprattutto di studio) era accompagnata da cittadini che contribuivano al boom economico, con costi umani e legali non indifferenti, la Cina imparava sempre di più. Con l’arrivo di brand come Mercedes, Ford e BMW, attratti da un mercato immenso, Pechino ha imposto una semplice condizione: collaborare con produttori locali tramite joint venture.
La mossa che, di fatto, costituisce una mossa chiave nel futuro industriale del Paese, è stata senza dubbio “ospitale” ma celava chiaramente un piano più ambizioso. Anno dopo anno, decennio dopo decennio, la Cina ha saputo fare tesoro della scelta dell’Occidente di produrre a basso costo presso i suoi stabilimenti.
Per anni, infatti, i produttori occidentali hanno guadagnato enormemente in Cina, approfittando di costi ridotti e una domanda esplosiva. Tuttavia, dal 2010, la situazione ha iniziato a ribaltarsi. Il Paese, dopo aver assimilato competenze e tecnologie, ha messo insieme un’industria automobilistica potente, “mangiandosi” persino alcuni competitori, acquisendo marchi europei come Volvo, Smart e Lotus. Senza contare le partecipazioni e le partnership internazionali da una parte all’altro del pianeta.
Le case automobilistiche cinesi hanno poi sfruttato cicli produttivi più rapidi, prezzi competitivi e un design accattivante, oltre a quelli che l’Ue ha definito ingenti aiuti di Stato, aggiungendo tecnologie all’avanguardia che hanno conquistato i consumatori. La leadership cinese si è dunque consolidata nelle tecnologie emergenti, in particolare nella produzione di batterie per veicoli elettrici. L’inserimento delle aziende cinesi nella grande transizione elettrica è stato, in due parole, da manuale.
I produttori cinesi riescono a sviluppare nuovi modelli in tempi record, spesso dimezzando i tempi necessari ai concorrenti occidentali. Grazie a costi di produzione più bassi, possono offrire auto elettriche con margini di profitto superiori e a prezzi più accessibili. Se gli scorsi decenni fossero passati “passivamente” sulla pelle della Cina, oggi il Paese non sarebbe in grado di dominare il mercato. Per i marchi occidentali, competere con questo modello richiederà una revisione profonda dei processi di sviluppo e una capacità di adattarsi a un ritmo più rapido. Facile a dirsi.