Donald Trump si trova in grande difficoltà nei sondaggi in vista delle presidenziali di novembre. Deve quindi cercare nuovi motivi in grado di risvegliare interesse intorno alla sua campagna. Tra quelli cui si sta dedicando in queste ore, spicca quello relativo al futuro dell’industria automobilistica negli Stati Uniti. Un tema affrontato con promesse audaci, tutte incentrate sull’America First, che però rischiano al minimo di provocare uno scontro frontale con alcuni degli storici alleati di Washington. Andiamo a vedere perché.
Donald Trump, la sua ricetta per l’industria automobilistica è all’insegna dell’America First
Il nuovo vigore impresso da Kamala Harris alla campagna per la Casa Bianca costringe Donald Trump a rincorrere affannosamente. Il candidato repubblicano, però, lo sta facendo assumendo toni sempre più alti, con il risultato di destare grandi preoccupazioni anche all’interno della sua parte politica. Come dimostra il pesante endorsement del falco repubblicano Dick Cheney alla candidata democratica.
Un assunto che può essere facilmente dimostrato dalle ultime dichiarazioni del tycoon sull’industria aumobilistica statunitense. Trump, infatti, propone agevolazioni fiscali per le case automobilistiche straniere disposte a produrre i propri veicoli sul suolo americano. Con un ulteriore corollario, ovvero pesanti dazi per coloro che dovessero osare la penetrazione delle proprie auto sul suolo degli Stati Uniti.
Una strada che, al minimo, è destinata a provocare un ulteriore irrigidimento della Cina, ma non solo. Alla luce delle difficoltà delle case europee, anch’esse potrebbero trovarsi presto in attrito con chi minaccia di preparare ulteriori barriere commerciali. Prefigurando un ritorno al protezionismo che, per inciso, non farebbe bene neanche a Washington.
Il candidato repubblicano vuole le case tedesche negli Stati Uniti: che ne dirà Berlino?
Secondo molti osservatori, Berlino rappresenta una sorta di colonia USA nel cuore dell’Europa. La Germania, però, non può certo assistere inerte alla distruzione del proprio apparato industriale prefigurato da Donald Trump in un discorso tenuto martedì a Savannah, in Georgia.
Un discorso incentrato in particolar modo sul taglio dell’aliquota fiscale per le società dal 21% al 15% per “coloro che producono i loro prodotti negli USA”, all’interno del quale il miliardario ha posizionato una vera e propria bomba: “Voglio che le case automobilistiche tedesche diventino case automobilistiche americane. Voglio che costruiscano i loro stabilimenti qui”.
Come invogliarle in tal senso? Queste le parole pronunciate al riguardo da Trump: “Ecco l’accordo che offrirò a ogni grande azienda e produttore sulla Terra: vi darò le tasse più basse, i costi energetici più bassi, il minimo onere normativo. E libero accesso al migliore e più grande mercato del pianeta”.
Per poi aggiungere: “Ma solo se produci il tuo prodotto qui in America. Tutto svanisce se non produci il tuo prodotto qui. E assumi lavoratori americani per il lavoro. Se non produci il tuo prodotto qui, allora dovrai pagare una tariffa, una tariffa molto consistente”.
In pratica, chi non rispetterà le regole dovrà pagare tariffe elevate, con un conseguente aumento dei propri prodotti, tale da spingerli ai margini del mercato. Tutto preso dall’entusiasmo, il candidato repubblicano ha però letteralmente deragliato. Come riportato da ABC News, ha infatti minacciato di imporre una tariffa del 100 percento su ogni auto importata dal Messico. Una mossa che non solo colpirebbe diverse aziende che hanno costruito fabbriche in Messico, approfittando dei bassi costi di manodopera nella porta sul retro dell’America, ma andrebbe a violare anche l’accordo di libero scambio tra USA, Messico e Canada entrato in vigore in sostituzione del NAFTA, nel 2020.
Prenderemo i posti di lavoro degli altri Paesi: parola di Donald Trump
Le posizioni espresse da Donald Trump hanno un pregio: non si nascondono dietro formule astruse. Come quando il candidato repubblicano arriva a sostenere che sotto la sua guida, non solo i posti di lavoro americani rimarranno negli Stati Uniti, ma gli stessi si prenderanno anche quelli degli altri Paesi. Queste le parole pronunciate dal tycoon, al proposito: “Prenderemo i posti di lavoro degli altri Paesi, prenderemo le loro fabbriche. Riporteremo migliaia e migliaia di aziende e trilioni di dollari di ricchezza nei buoni vecchi Stati Uniti”.
Posizioni talmente estreme da sembrare semplici battute o parole gettate al vento. Anche perché le aziende straniere, ad esempio, BMW, Mercedes e Volkswagen, solo per ricordare quelle tedesche, stanno già producendo un numero significativo di modelli negli Stati Uniti. Molti di questi veicoli, peraltro, non sono destinati solo al mercato nordamericano, ma anche all’esportazione. Ne consegue che agli atti ostili degli USA a guida repubblicana, potrebbero derivarne di simili da parte dei Paesi colpiti. Danneggiando in definitiva le maestranze degli stabilimenti coinvolti o spingendo le aziende a riservare i loro modelli al mercato locale.
Un esempio in tal senso è rappresentato dalla BMW Manufacturing. Lo stabilimento di Spartanburg produce quasi tutta la sua gamma di SUV e impiega ben 11mila lavoratori. Per molti anni consecutivi, il sito ha detenuto il titolo di maggiore esportatore automobilistico negli Stati Uniti. Testimoniato dai circa 10 miliardi di esportazione in termini di valore nel corso del 2023. Ove si tornasse ad un nuovo protezionismo, che è del resto già in atto con i dazi elevati nei confronti delle case cinesi, è lecito pensare che queste cifre andrebbero a ridimensionarsi in maniera significativa. Danneggiando in ultima analisi quei lavoratori statunitensi che Trump afferma di voler privilegiare.
Con la ricetta Trump potrebbero esserci grandi problemi
L’America First può senz’altro rappresentare un programma notevole per i lavoratori degli Stati Uniti, almeno all’apparenza. Al tempo stesso, sono gli analisti ad avvertire che nel caso in cui i colossi tedeschi dovessero aumentare la produzione lungo il territorio federale, di converso potrebbero essere costretti a ridurre la produzione dei loro stabilimenti in Germania.
In tal modo, andrebbero a influire in maniera pesante sull’efficienza complessiva del sistema. Basti pensare agli storici legami tra automotive tedesco e indotto del Nord Italia. La domanda che ci si potrebbe fare è quindi la seguente: l’Unione Europea accetterebbe in maniera supina un attacco di questo genere ai propri posti di lavoro?
E le minacce all’Europa si vanno ad aggiungere a quelle verso i produttori cinesi. Donald Trump, infatti, ha espresso la volontà di accogliere le case automobilistiche del Dragone nel mercato statunitense, a una condizione: che costruiscano i loro veicoli localmente. “Offriremo incentivi e se la Cina e altri paesi vorranno venire qui e vendere le auto, costruiranno qui degli stabilimenti e assumeranno i nostri lavoratori”. In caso contrario è in vista un altro scontro. Non esattamente l’ideale, per chi deve commerciare.