eFuel: il paradosso dell’Unione Europea (che penalizza l’Italia)

Ippolito V
Stazione di servizio

L’era elettrica è bella che iniziata. Con il bando sancito dalla Commissione Europea per il 2035 le Case produttrici hanno avuto lo stimolo a compiere la transizione ecologica, tanto reclamata ma mai posta in essere. Già nel 2025 saranno costrette a rispettare degli standard di emissioni, ben più severi, con l’introduzione del protocollo Euro 7. Mentre infervorano le polemiche, tendono a passare in secondo piano due soluzioni degne di nota: gli eFuel e i biocarburanti. Sulla prima la Germania, principale Paese promotore, ha ottenuto la deroga tanto reclamata a gran voce.

Nel braccio di ferro con le istituzioni comunitarie il Cancellierato di Olaf Scholz è prevalso. Non si può dire lo stesso riguardo all’opzione numero due, tanto promosso dall’Italia. Il no incassato ha sollevato parecchio clamore, dato lo stato dei lavori in fase più avanzata. Ad avviso del vicepremier Matteo Salvini (nonché ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti), la neutralità carbonica va perseguita attraverso diversi canali. In caso contrario, la Cina riceverebbe un enorme regalo da dover solo scartare, ha dichiarato il rappresentante del nostro Governo.

Le differenze tra eFuel e biocarburanti

Pieno carburante

Sul conto di eFuel e biocarburanti capita che regni la confusione. Del resto, sono due sistemi di nuovo sviluppo ed è un attimo confonderle, anche se le differenze sono significative. Nel corso dei paragrafi andremo a vedere in breve le peculiarità di entrambi e ne analizzeremo lo stadio di sviluppo.

Gli eFuel consistono in un carburante sintetico, ottenibile mediante un trattamento detto elettrolisi, dove l’energia elettrica separa l’ossigeno dell’acqua dall’ossigeno e, fuso insieme all’anidride carbonica (CO2), ne derivano idrocarburi liquidi o gassosi, tra cui il diesel, il metano o il metanolo. Dall’atmosfera viene prelevata l’anidride carbonica poi espulsa in pari quantità, mentre il veicolo è in movimento. Uno dei maggiori pro riguarda la facilità di implementazione ed economicità, in quanto non servirebbero delle apposite stazioni di rifornimento. Inoltre, diminuirebbe sensibilmente la quantità di ossido di azoto e di particolato. Eppure, le stazioni di rifornimento al mondo sono appena 18, compresi gli impianti di test.

Soltanto con quelli installati dalla Eni, i biocarburanti sono già 50 (e saliranno a 150 nei prossimi anni). Anche la Q8 ha indetto un’iniziativa simile, segno del forte interesse provato dalle aziende, almeno lungo la nostra penisola. Indicato con l’acronimo HVO (olio vegetale idrotrattato), esiste in due tipologie: bioetanolo e biodiesel.

In estrema sintesi, prevede il riciclo di scarti vegetali e animali, da miscelare rispettivamente con benzina e gasolio. I biocarburanti risultano meno costosi, ma richiedono terreni agricoli e il consumo di sostanze chimiche potrebbe comunque arrecare danni all’ecosistema.

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