Fabbriche di auto elettriche cinesi in Italia: addio, la fiducia è compromessa

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Le parole del ministro cinese sembrano rappresentare una pietra tombale sulle trattative in atto
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Sembra proprio che il tentativo del governo Meloni di tenere il piede in due staffe sia destinato a fallire. Com’è noto, si sta ormai approssimando la votazione relativa ai dazi che la Commissione Europea propone in qualità di argine di fronte alla tenuta invasione delle auto elettriche cinesi. Un appuntamento cui l’esecutivo si presenta con due esigenze difficilmente compatibili: tenersi buona l’UE, in vista di una Legge di Bilancio che si presenta molto complicata, e il governo cinese. Sono proprio le posizioni di Bruxelles e Pechino, però, a rendere impossibile la quadratura del cerchio. Come è stato facile ricordarlo da parte di Wang Wentao, il Ministro del Commercio cinese, a margine degli incontri bilaterali tenuti nella giornata di ieri a Roma.

Dazi sulle auto elettriche cinesi: fiducia compromessa tra Cina e Italia

Dal passato 5 luglio le auto elettriche prodotte in Cina e importate in Europa sono sottoposte a dazi provvisori. Entro il 30 ottobre, in base al regolamento della Commissione, la Gazzetta Ufficiale ospiterà il verdetto definitivo su una questione che rischia di avvelenare i rapporti con il Paese del Dragone. Le misure che saranno in vigore in quel momento, infatti, avranno durata quinquennale e potranno essere prorogate a seguito di una richiesta motivata, preceduta da un riesame della questione.

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Per cercare di evitare che ciò accada, Wang Wentao è quindi giunto in Europa, ove ha provveduto a incontrare il governo italiano. Le controparti sono state, in questa occasione, i Ministri degli Esteri, Antonio Tajani, e quello di Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso.

Se i due rappresentanti del governo Meloni pensavano di riuscire a trovare un equilibrio tra posizioni inconciliabili, il risultato non è stato assolutamente brillante. Wang Wentao, infatti, ha praticamente fatto capire di infischiarsene delle formule diplomatiche sciorinate a profusione da Tajani e Urso. Tanto da rilasciare la seguente dichiarazione: “La Cina è disposta a promuovere investimenti reciproci tra le case automobilistiche dei due Paesi, tuttavia l’indagine dell’Ue sui veicoli elettrici cinesi ha seriamente compromesso la fiducia delle aziende automobilistiche cinesi nell’investire in Italia”. Il tutto senza eccessivi giri di parole. Ora sta a Roma scegliere da che parte stare.

Un potenziale enorme, ma destinato ad andare in fumo

Non era difficile capire che l’equilibrismo del governo italiano difficilmente avrebbe portato risultati. Nonostante le trattative in piedi con alcuni marchi cinesi, in particolare Dongfeng, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha assunto ormai da tempo una posizione ideologica. Simboleggiata dalle incaute parole di Matteo Salvini, contrario all’invasione cinese, che non c’è, dopo non aver detto nulla sugli acquisti di marchi Made in Italy da parte delle aziende occidentali.

Per Pechino, inoltre, non è stato complicato osservare quello che stava accadendo nelle TLC. Un settore chiave in cui il governo ha dato il permesso all’acquisto di TIM da parte degli statunitensi di KKR. Cui si è aggiunta proprio nei giorni passati l’indiscrezione relativa alla possibile gestione degli asset di SACE da parte di BlackRock, il più grande fondo speculativo globale, anch’esso targato USA.

A tutto ciò si può aggiungere anche la decisione di abbandonare la Via della Seta, l’accordo commerciale siglato da Giuseppe Conte. Cui non ha certo rimediato il viaggio di Giorgia Meloni in Cina, teso a siglare qualche accordo per provare a salvare capra e cavoli.

A fronte di questa realtà, Pechino ha quindi deciso che era arrivato il momento di finirla coi convenevoli e di passare alla realtà. Lo ha fatto affermando, per bocca di Wang Wentao, che la cooperazione tra automotive cinese e italiano ha non solo una base solida, ma anche un potenziale enorme. A mandarla a monte, la perdita di fiducia di Pechino. Tradotto in parole povere: avete tutto il diritto di scegliere altri, ma dopo non veniteci a chiedere nulla.

Le prime avvisaglie erano giunte da Dongfeng

Le prime avvisaglie di quanto stava accadendo erano già arrivate per bocca di Dongfeng. La casa cinese, di cui si parla molto in vista di un possibile sbarco lungo la penisola, proprio nei giorni passati aveva escluso tale ipotesi. E, stranamente, lo aveva fatto dopo l’avviso del governo di Pechino, che aveva invitato le proprie aziende a non investire in Europa.

BYD Han

Ora non resta che attendere il risultato del prossimo incontro di Wang Wentao, quello con il vicepresidente esecutivo e commissario per il commercio della Commissione Europea, Valdis Dombrovskis. In vista del quale, il ministro cinese ha affermato l’auspicio che “la Commissione europea risponda alle richieste di tutte le parti e risolva adeguatamente le divergenze economiche e commerciali tra Cina e Ue attraverso il dialogo e la consultazione”.

Soltanto in questo caso, si potrebbe riaprire la pista dei marchi cinesi in Italia. Un’ipotesi che, per inciso, interessa un gran numero di aziende dell’indotto. In particolare quelle messe in crisi dal pessimo andamento sul mercato di Stellantis e altri marchi europei con cui collaborano.

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