Nella corsa alla guida autonoma, le aziende che vi partecipano oggi sostengono costituiscano il futuro. Eppure, la genesi del progetto risale agli anni Novanta e immaginate un po’ dove? Negli USA, naturalmente, e più di preciso lungo le strade della California. Lo Stato ha da sempre dimostrato grande interesse nei confronti di questo sistema e oggi i fatti le stanno dando di nuovo ragione. Se c’eravate allora forse vi sarà capitato di leggere qualche articolo dove se ne parlava, con toni entusiastici. Poi, come spesso accade in progetti tanto futuristici, lungo il cammino sono sorte delle complicazioni, il che ne ha raccontato la diffusione su larga scala. Ma è il prezzo quasi naturale da pagare quando hai l’audacia di provare a riscrivere le regole fondanti della mobilità, tipo che a controllare un veicolo debba sempre esserci un umano. Ancora oggi le cose stanno così e chissà per quanto.
Guida autonoma: i primi test in California
I mezzi in possesso di giganti della mobilità quali Apple, Waymo, Google e Cruise inducono a essere ottimisti, specie se capitalizzeranno le competenze accumulate a tal proposito in passato. Allora, ci saranno delle buone chance di tradurre il sogno in realtà, coronando un corso avviato negli anni Novanta. Ti prepariamo: quanto ti stiamo per raccontare ti lascerà forse stupito, giacché mai avresti immaginato di assistere a una tale lungimiranza. In netto anticipo sull’epoca di appartenenza, le parti coinvolte nell’iniziativa trent’anni fa avevano intuito l’enorme potenziale, ben prima di Tesla e del suo Autopilot.
Si gettarono le basi nel lontano 1991. Il Congresso degli USA approvò l’Intermodal Surface Transportation Efficiency, un piano da 155 miliardi di dollari riguardante autostrade, sicurezza dei trasporti e trasporto di massa, fino al 1997. Per contribuire a frenare il crescente problema della congestione del traffico di superficie, si stabilì di sviluppare un’autostrada automatizzata e un prototipo di mezzo in grado di percorrerla. Tre anni dopo, per conferire un’accelerata al piano, nacque il National Automated Highway System Consortium, costituito da nove diverse entità: Bechtel, General Motors, Parsons Brinckerhoff, Lockheed Martin, Carnegie Mellon, il Dipartimento dei trasporti della California e il programma Partners for Advanced Transportation Technology di UC Berkeley.
Individuato nella California ideale come il banco di prova ideale per accertare lo stato dei lavori. Il NAHSC mise nel mirino un tratto autostradale di 7,6 miglia sulla I-15 in California e, nello specifico, una corsia apposita, in cui i muletti sarebbero stati testati, lontani dal normale parco circolante. Tra le realtà aderenti, colpì soprattutto l’idea vagliata da UC Berkeley. In collaborazione con General Motors, Deco e Hughes, i ricercatori dell’università conferirono a otto Buick LeSabre un’unità radar per rilevare la distanza e i magnetometri per rilevare la guida sulla strada. Per applicarlo andavano messi 92.778 magneti sotto il pavimento, cosicché i veicoli riuscissero a capire, senza l’input dell’occupante, l’esatta posizione dei magnetometri. Nell’agosto 1997 più di 20 muletti presero parte agli esami sul campo e, malgrado la tecnologia si trovasse appena allo stadio iniziale, ciascuno di essi si comportò in maniera egregia. A decenni di distanza