Il malcontento delle maestranze Volkswagen è logicamente molto elevato. E lo ha testimoniato la riunione delle stesse, cui ha preso parte anche l’amministratore delegato del gruppo, Oliver Blume, venendo letteralmente subissato di fischi quando ha confermato le bellicose intenzioni dell’azienda di Wolfsburg. Se da un lato va apprezzato il fatto che il numero uno abbia deciso di metterci la faccia, dall’altro occorre sottolineare che la reazione dei lavoratori sembra del tutto prevedibile, in un settore il quale continua a premiare i dirigenti per i loro piani che stanno devastando un’industria fondamentale, facendo pagare il prezzo delle ristrutturazioni in atto esclusivamente ai dipendenti. Come insegna, del resto, la ricchissima buonuscita concessa a Carlos Tavares dopo aver devastato Stellantis.
Blume interviene all’assemblea dei dipendenti Volkswagen e viene ricoperto di fischi
L’assemblea dei dipendenti Volkswagen ha reso del tutto evidente il vero fossato che divide sindacati e management dell’azienda. Con il secondo chiuso nella propria idea di tagliare tutto il possibile, idea che un qualsiasi sindacato difficilmente può accettare senza abdicare dal proprio ruolo.
L’incontro in questione si è tenuto presso lo stabilimento principale del gruppo, quello di Wolfsburg, e ha visto la partecipazione di circa 20mila lavoratori. Persone che sono con tutta evidenza preoccupate di essere tra quelle che resteranno a casa dopo la cura dimagrante preventivata dall’azienda. Quindi esasperate di fronte all’idea di un futuro dai contorni sempre più incerti.
Ad esso ha partecipato anche il ministro del lavoro tedesco Hubertus Heil, testimoniando l’importanza che l’esecutivo di Berlino riconosce alla vertenza in atto. Le due parti hanno già dato vita a tre round di incontri e ne hanno messo in calendario un quarto, per il prossimo 9 dicembre.
Intanto, però, Volkswagen continua a battere su un tasto del tutto sgradito ai lavoratori: in Germania sono necessarie chiusure di stabilimenti e tagli salariali per rispondere alla concorrenza cinese. Una tesi francamente risibile, portata avanti tenendo conto soltanto dell’aspetto salariale, facendo finta che il divario tecnologico con le auto provenienti dalla Cina non esista. Un divario di cui, con tutta evidenza, i lavoratori non hanno responsabilità alcuna.
I sindacati cercano un compromesso, ma non trovano risposte
Le tesi con cui si presentano dirigenza e sindacati sono ormai abbastanza note. A indicare quelle dell’azienda ci ha pensato proprio Blume, con queste parole: “Come management non stiamo operando in un mondo di fantasia. Stiamo prendendo decisioni in un ambiente in rapido cambiamento”. Un cambiamento che, però, sta presentando il conto solo ai lavoratori.
Un punto di vista esplicitato da dirigenti che si spartiscono stipendi faraonici e stock option anche quando la nave affonda, come dimostrano i 100 milioni versati da Stellantis a Tavares, dopo le sue dimissioni. E a poco può valere la mozione degli affetti di Blume sul fatto di essere cresciuto nella regione e, conseguentemente, di avere a cuore le sorti di Wolfsburg. Anche le maestranze provengono dalla regione, ma una parte di esse se ne resterà a casa dopo i tagli, mentre i dirigenti continueranno a godersi stipendi milionari, magari sulle ceneri degli impianti.
Blume ha poi aggiunto: “La pressione sui prezzi è immensa”. Soprattutto sul territorio cinese, il principale mercato del gruppo. Ove è impossibile competere a causa dei costi del lavoro in Germania. La conseguenza tratta dalla dirigenza Volkswagen è molto semplice: “Abbiamo quindi urgente bisogno di adottare misure per garantire il futuro della Volkswagen. I nostri piani per questo sono sul tavolo.” Se il futuro del gruppo dipende dal mercato cinese, però, non è difficile prevedere che i semplici tagli servono a poco o nulla. Basta infatti vedere come BYD sia intenzionata ad abbattere ulteriormente i suoi costi, chiedendo sconti nell’ordine del 10% ai propri fornitori. assumendo però lavoratori in ogni parte del mondo, più di 200mila nel solo ultimo trimestre.