Il conflitto commerciale aperto tra Cina e UE invece di perdere intensità sembra acquistare vigore, giorno dopo giorno. Il governo cinese, infatti, ha deciso di non porgere assolutamente l’altra guancia, ma di ribattere colpo su colpo. E, nel farlo, sta separando il grano dal loglio, allestendo una vera e propria lista nera dei Paesi che hanno appoggiato i dazi della Commissione Europea ai danni delle auto elettriche cinesi.
Se l’Italia è già stato costretta ad abbondonare ogni velleità di avere fabbriche delle case di Pechino e dintorni, a partire da quelle di Dongfeng con cui pure il governo stava trattando, ora tocca alla Polonia saggiare l’ira del governo cinese. In particolare, la preventivata costruzione del nuovo SUV di Leapmotor non avrà più luogo a Tichy, come era stato inizialmente messo in preventivo dall’azienda partner di Stellantis.
La Cina passa al contrattacco: niente Leapmotor a Tichy
La settimana scorsa la Cina ha denunciato come pratiche illegali le tariffe aggiuntive emanate dall’UE a danno delle auto elettriche costruite all’ombra della Grande Muraglia. A questa denuncia, che in fondo lascia il tempo che trova, Pechino ha però aggiunto provvedimenti che sono destinati a colpire nel portafogli i Paesi che hanno appoggiato l’ennesima prodezza di Von der Leyen e soci.
Non era difficile, del resto, prevedere quanto stava accadendo. Il passato 10 ottobre, infatti, come riferito da Reuters si è svolto un incontro tra esecutivo del gigante asiatico e imprese, presso il Ministero del Commercio Estero. Nel corso della riunione, il governo ha invitato le aziende a non investire in Europa. O meglio, in quei Paesi del vecchio continente che hanno votato a favore dei dazi.
E la Polonia era proprio uno di essi. Nel caso polacco, il governo lo ha fatto dando precise istruzioni a Leapmotor, consistenti nel pratico abbandono dell’idea di produrre il suo SUV elettrico globale, il Leapmotor B10, nel Paese dell’Europa orientale. Come è noto, questa produzione doveva avvenire negli stabilimenti del Gruppo Stellantis, che possiede il 51% della joint venture tra i due marchi in Europa, a Tychy.
Per il momento, non è interessata dalla decisione la produzione di un altro modello di stanza in Polonia, la Leapmotor T03. Dalle parti di Varsavia, però, devono sperare che le tensioni tra le due parti non crescano d’intensità. In tal caso anche l’auto urbana del brand cinese potrebbe trasmigrare verso lidi più accoglienti.
Germania e Slovacchia se la ridono
Se Italia e Polonia hanno dimostrato al minimo una scarsa comprensione degli eventi, votando a favore dei dazi, la Germania e la Slovacchia se la ridono allegramente. Dovrebbero essere proprio questi Paesi a trarre giovamento dall’opposizione all’UE.
Secondo una fonte indicata da Reuters, infatti, il B10 dovrebbe a questo punto essere prodotto negli stabilimenti di Eisenach e Trnava. Venendo quindi premiati per aver preferito gli interessi nazionali a quelli che, secondo la Von der Leyen dovrebbero passare davanti agli altri, quelli europei. Probabilmente Italia e Polonia credono realmente alla narrazione da Mulino Bianco degli Stati Uniti d’Europa. Talmente uniti che nel corso della votazione soltanto 10 dei 27 Paesi dell’Unione hanno votato a favore dei dazi. Contro dodici astenuti e cinque contrari, tra cui appunto Germania e Slovacchia.
Per la Germania, del resto, il voto contrario ai dazi deriva da un fatto ben preciso, la contrarietà dell’industria automobilistica teutonica. Volkswagen, BMW e Mercedes, infatti, vedono dipendere le loro importazioni per circa un terzo dal mercato cinese, il più grande del mondo. Ove la Cina rispondesse sparando nel mucchio, per loro diverrebbe praticamente impossibile, o quasi, vendere in quel Paese.
Oltre a loro, a ridersela sotto i baffi è anche quell’Ungheria che si sta dimostrando una preziosa testa di ponte per i marchi del Dragone in Europa. Il pragmatismo dimostrato da Viktor Orban sta infatti regalando copiosi frutti, venendo ricompensato in particolare da BYD, che sta pensando di aprire un secondo stabilimento nel Paese mitteleuropeo.