Il governo guidato da Giorgia Meloni sembra aver individuato nell’automotive un settore da curare con molta attenzione, per cercare di ovviare alla deindustrializzazione del Paese. Tanto da aver ingaggiato una vera e propria tenzone con l’Unione Europea su una serie di temi, a partire dal bando del 2035 a carico delle auto provviste di motore termico.
Purtroppo, però, le battaglie di questo genere, per poter essere combattute meglio, necessitano di risorse. E su questo versante occorre sottolineare la denuncia fatta da ANFIA, acronimo di Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica. Secondo l’ente che cura gli interessi delle aziende operanti nell’indotto del settore, il governo di centrodestra avrebbe tagliato il Fondo Automotive per un importo pari a 4,6 miliardi di euro.
ANFIA contro il governo Meloni: taglia fondi all’automotive
Il Fondo Automotive è stato istituito nel 2022, con un semplice intento: operare una serie di interventi a favore della “riconversione e dello sviluppo della filiera automotive in Italia”. Un organismo quindi importante per un indotto messo in notevole difficoltà dalle vicende di Stellantis, che si sono andate a riflettere con grande forza sui fornitori di componenti essenziali per la costruzione di autovetture lungo il territorio nazionale.
Ora, stando a quanto dichiarato da ANFIA; dopo le tante parole pronunciate nei mesi passati, anche il fondo deve pagare dazio alla necessità di ricondurre il bilancio statale nel recinto imposto dall’Unione Europeo. E a poco valgono le recriminazioni di chi, ad esempio, vedrebbe con maggiore benevolenza gli aiuti statali a questo settore, piuttosto che alle armi, settore cui l’esecutivo sta destinando gigantesche risorse.
Questo il tono del comunicato emesso dall’associazione a commento delle indiscrezioni che continuano a trapelare, a proposito della prossima Legge di Bilancio: “Anfia, gli imprenditori e le imprese sono sconcertati dalla decisione del Governo di decurtare di oltre 4,6 miliardi di euro il Fondo Automotive destinato all’adozione di misure a sostegno della riconversione della filiera”.
Il comunicato, prosegue poi così: “L’automotive è il principale settore manufatturiero italiano, conta oltre 270.000 addetti diretti, ha un fatturato di oltre 100 miliardi di euro ed è l’unico a cui è richiesta una trasformazione obbligatoria epocale in pochi anni”. Un settore quindi estremamente importante che ha deciso di alzare la voce anche in considerazione della crisi che da Mirafiori e dagli altri stabilimenti di Stellantis si sta riversando su una miriade di fornitori disseminati lungo il territorio nazionale.
Un’eccellenza italiana a rischio sopravvivenza
La trasformazione di cui parla ANFIA, è quella collegata allo stop della vendita di auto nuove con motori benzina e diesel, che entrerà in vigore in Europa a partire dal 2035. Un divieto contro il quale il governo italiano sta protestando in sede europea, senza però riuscire a trovare sponde decisive per imporre il proprio parere.
Occorre sottolineare, a questo punto, come la situazione di grande difficoltà vissuta dal settore è ormai nota all’opinione pubblica. Con tanto di richieste formulate al governo affinché si decida a dare vita a provvedimenti in favore di una eccellenza italiana che si trova a rischio sopravvivenza.
La risposta fornita dal governo è invece paradossale, tramutandosi in un taglio di 4,6 miliardi, tale da spingere ANFIA ad affermare: “L’auspicio è quello di vedere fortemente ridotto il taglio nell’iter di approvazione della manovra in Parlamento. In caso contrario, questo tragico ridimensionamento delle risorse, segnerebbe una profonda frattura nella fin qui ottima collaborazione tra la filiera ed il Governo”.
Considerato che quella menzionata dall’associazione è soltanto una bozza circolata nei giorni scorsi, la quale dovrà essere discussa e votata dal Parlamento, è ancora possibile un passo indietro dell’esecutivo. In caso contrario, per il centrodestra si aprirebbe un nuovo fronte, che potrebbe rivelarsi pericoloso a livello di pubblica opinione. A renderlo tale proprio la valenza simbolica di un settore considerato tra quelli chiave nel processo di industrializzazione culminato nel boom economico degli anni ’60.