Com’era facilmente prevedibile, l’Italia può scordarsi gli investimenti delle aziende cinesi in Europa. Il governo di Pechino, infatti, ha chiesto alle stesse di non aprire i siti produttivi previsti nel vecchio continente in quei Paesi che hanno appoggiato i dazi aggiuntivi dell’Unione Europea sui veicoli prodotti all’interno del gigante asiatico.
Se il governo Meloni si illudeva di poter tenere il piede in due scarpe, la prima gli è stata sottratta dalla Cina, stando a quanto affermato da Reuters. Il governo cinese avrebbe infatti avanzato la sua richiesta, ovvero un ordine, considerati i legami del caso, durante un incontro tenutosi presso il Ministero del Commercio il passato 10 ottobre. Resta ora da capire se la scarpa rimasta sarà sufficientemente confortevole per il nostro Paese. Considerato il trattamento riservato ai biocarburanti, però, sembra di poter dire che l’epilogo non sarà molto felice.
La Cina vieta investimenti nei Paesi che hanno appoggiato i dazi e l’Italia resta con il cerino acceso in mano
Probabilmente il governo di centrodestra pensava di essere più furbo degli altri. Dopo aver lungamente abbaiato contro le scelte ideologiche dell’UE, però, ha deciso di appoggiare proprio quella che, inevitabilmente, l’avrebbe portato a sbattere il muso sulla dura realtà, ovvero i dazi aggiuntivi a danno delle auto elettriche provenienti dalla Cina.
I segnali della tempesta che si andava addensando erano abbastanza evidenti e non difficili da cogliere. Perché mai il governo di Pechino avrebbe dovuto privilegiare un’Italia che già era uscita dalla Via della Seta a discapito di un’Ungheria che, nonostante le diversità ideologiche, aveva entusiasticamente accolto gli investimenti cinesi?
Ora, però, Pechino presenta il conto, che rischia di essere non salato, per l’Italia, ma molto di più. In una riunione tenuta il passato 10 ottobre presso il Ministero del Commercio, l’esecutivo del gigante asiatico ha chiesto alle proprie aziende di non portare soldi nei Paesi che hanno appoggiato i dazi UE. E l’Italia era proprio tra questi, nonostante l’interesse nazionale, quello di cui i rappresentanti del centrodestra si sciacquano in continuazione la bocca, consigliasse il contrario.
Addio a Dongfeng e alle altre aziende che avevano espresso interesse per l’Italia
Se Dongfeng aveva già declinato l’invito del governo italiano, dopo che questo aveva praticamente detto no a tutte le condizioni poste dall’azienda, ora toccherà anche agli altri che, pure, avevano espresso interesse per uno sbarco lungo il Belpaese. A partire da Chery, che solo pochi giorni fa indicava nell’Italia un territorio estremamente interessante per i propri piani produttivi.
E se la SAIC, azienda statale e secondo esportatore di automobili in Cina, sta scegliendo un sito per una fabbrica di veicoli elettrici in Europa, oltre a pianificare l’apertura entro quest’anno del suo secondo centro ricambi europeo in Francia, per soddisfare la crescente domanda di auto a marchio MG, si può giurare che non penserà certo all’Italia. E probabilmente neanche alla stessa Francia.
A godere di quanto sta accadendo, potrebbe essere soprattutto l’Ungheria, ove Viktor Orban sta dimostrando una capacità di perseguire l’interesse nazionale che latita invece dalle parti di Roma. Proprio Budapest, a questo punto, potrebbe vedere BYD fissare in loco la propria sede europea, dopo aver deciso di scappare dai Paesi Bassi per una questione di costi. La stessa BYD che ha già aperto uno stabilimento nel Paese delll’Europa centro-orientale.
Per l’Italia, peraltro, il danno potrebbe essere gigantesco. In un momento in cui Stellantis sta chiudendo una fabbrica dopo l’altra, con Mirafiori ridotto praticamente ai minimi termini, avere investimenti di aziende automobilistiche in grande spolvero come le cinesi avrebbe potuto ridare una prospettiva anche ad un indotto il quale sta letteralmente affogando. Ma, con tutta evidenza, il governo Meloni ha ceduto a quella visione ideologica delle questioni che pure rimprovera all’Unione Europea. E a pagare il conto di un errore clamoroso sarà il Paese reale.