L’intera industria automobilistica è molto arrabbiata con Donald Trump. Il motivo, naturalmente, è da ricercare nel fatto che i suoi dazi rischiano di far esplodere i prezzi dei veicoli, saldandosi con un momento economico poco favorevole. Il rischio è che il mondo si avviti in una spirale inflazionistica che potrebbe produrre esiti disastrosi per chi fa commercio. E a mettere in guardia sui pericoli della situazione, ora è anche Elon Musk. Un vero e proprio paradosso, considerato che il numero uno di Tesla è parte integrante dello stesso governo che quei dazi li sta imponendo.
No, diversamente a quanto si pensava neanche Tesla uscirà indenne dai dazi
Sino a qualche giorno fa la tesi prevalente era che Tesla avrebbe avuto tutto da guadagnare dall’imposizione di dazi sulle auto non prodotte all’interno del suo territorio nazionale dagli Stati Uniti. Era difficile immaginare che Elon Musk, nominato responsabile del ministero dell’efficienza governativa degli Stati Uniti, potesse rimetterci da una decisione dello stesso governo di cui è parte integrante, dopo aver largamente sovvenzionato la campagna per il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.

Ora, però, sta emergendo una realtà del tutto diversa. Dalla quale si evince che neanche Tesla, che pure costruisce alcuni del modelli automobilistici più popolari in assoluto negli USA, è immune da quanto sta accadendo. Ad affermarlo è lo stesso Elon Musk, che si incarica di distruggere una narrazione completamente errata.
Se è vero, infatti, che Tesla produce tutti i suoi veicoli, almeno per il momento, all’interno degli Stati Uniti, al tempo stesso si affida ancora a una rete globale di fornitori per alcune materie prime, componenti elettronici e altre parti specializzate. Una dipendenza la quale ora rischia di tradursi in un boomerang molto pesante da sostenere, non solo per il marchio californiano, ma per qualsiasi casa di ogni parte del mondo. Perché, ove ancora non si fosse capito, l’ondata protezionistica ormai dietro l’angolo si propagherà alla stregua di un vero e proprio contagio. Di cui, in ultima analisi, a fare le spese saranno i consumatori.
I dati di NHTSA confermano la tesi di Musk
Sono del resto i dati reali a confermare quanto ricordato dall’uomo più ricco del mondo. Ovvero quelli forniti dalla National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), i quali mostrano con assoluta chiarezza che ogni veicolo Tesla ha tra il 20% e il 25% dei suoi componenti provenienti dal Messico, più una quantità non divulgata dal Canada. Senza contare che l’acciaio e l’alluminio importati è soggetto anche a nuove e separate tasse di importazione da parte dell’amministrazione Trump.
Lo stesso discorso, del resto, vale per quasi ogni altra casa automobilistica, nazionale o estera. Pensare che un’auto venga prodotta in un solo Paese è semplicemente non vera. E proprio su questa constatazione, in precedenza, gli esperti avevano messo sull’avviso, o almeno avevano cercato di farlo, che questa mossa avrebbe potuto aggiungere fino a 12dollari al prezzo di acquisto di alcune auto nuove.

Considerato come in molti, a partire da Messico, Canada e Unione Europea, abbiano già annunciato provvedimenti ritorsivi contro questi dazi, a livello geopolitico ancora non è dato sapere chi vincerà. O, almeno, chi perderà di meno. L’unica cosa sicura è che perderanno i consumatori.
Da questo punto di vista, però, i politici non hanno pensato troppo ad un esempio che sta arrivando in questi giorni dalla Svezia. Ove i consumatori, di fronte ai prezzi troppo elevati praticati nei supermercati, hanno indetto una settimana di sciopero della spesa. Se questo modello dovesse propagarsi, il numero delle imprese sull’orlo del fallimento potrebbe dare vita ad un vero e proprio bollettino di guerra. Come del resto è evidente in Europa, dove le scarse vendite di auto hanno già provocato uno shock occupazionale, nel corso degli ultimi anni.