La strigliata delle aziende automotive alla politica: o si cambia o si chiude. Addio elettrico?

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Transizione energetica, le aziende dell’automotive avvertono la politica: cambiare direzione o si chiude
Transizione energetica

Il tema della transizione energetica rischia di trasformarsi in un elemento divisivo, invece di unire tutti coloro che sono consapevoli dell’importanza di cambiare modelli produttivi, al fine di preservare l’ambiente. Basta spulciare le cronache degli ultimi mesi per notare come le voci critiche stiano diventando sempre di più. Favorite anche dal modo spesso maldestro con cui la politica cerca di imporre il tema.

Ora alle voci critiche si aggiunge anche un attore di un certo peso. Stiamo parlando della filiera automobilistica italiana, la quale ha deciso di scendere in campo con forza. E nel farlo ha sollevato l’ennesimo allarme sulle conseguenze di una transizione energetica imposta dalle istituzioni continentali alla stregua di un diktat. Un diktat che non piace alle imprese.

Transizione energetica: l’allarme delle aziende automotive tricolori

La transizione energetica, così come è stata imposta dall’Unione Europea, non funziona. E, di conseguenza, i vertici continentali devono cambiare strada, al più presto. Se sinora si è deciso di ignorare i pareri dei singoli personaggi che ormai da tempo si battono contro il modello decisionista dell’UE sul tema, ora nella discussione in atto stanno prendendo posizione i pesi massimi.

Ricarica auto elettrica

Per capirlo basta guardare l’ultimo avvertimento giunto, quello lanciato da Francesco Borgomeo, il presidente di Unindustria Cassino. È stato lui, nel corso di un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Ansa, ad assumersi il compito di illustrare i tanti timori delle imprese laziali in merito. Oltre ad anticipare la possibilità di una grande mobilitazione, cui sarebbe affidato il compito di far sentire la voce del comparto alle istituzioni.

Il messaggio di cui si fa portatore Borgomeo è molto semplice: occorre cambiare strada al più presto. Se non lo si fa, si avvicina un’ipotesi traumatica, quella di chiudere i battenti. Un vero e proprio spauracchio in un Paese come il nostro, ove la filiera dell’automotive rappresenta una vera e propria eccellenza e riesce ancora ad assicurare un congruo numero di posti di lavoro. 

O si cambia, o si chiude

Nel corso dell’intervista rilasciata all’Ansa, Borgomeo non ha certo usato mezzi toni. Ha infatti affermato: “Faremo una manifestazione pubblica, forte, degli imprenditori che diranno: o condividiamo nuove regole o queste sono le chiavi delle imprese, ve le portiamo perché tanto qui non c’è più prospettiva”.

Lo stesso numero uno di Unindustria Cassino ha poi proseguito l’offensiva, mettendo l’accento sui tanti timori che stanno emergendo nel settore. Preoccupazioni le quali sono causate dagli scarsi volumi della fabbrica Stellantis di Cassino e dalla richiesta di cassa integrazione per lo stabilimento di Atessa.

Notizie che arrivano in un momento molto particolare, del resto. Proprio in questi giorni, infatti, si sta molto discutendo dell’ipotesi di chiusura di una fabbrica Volkswagen in Germania. Un evento che sarebbe epocale, considerato come in 87 anni di storia del marchio, non sia mai stata cancellato uno stabilimento tedesco.

Transizione energetica: occorrono strumenti straordinari

Naturalmente, anche il governo italiano è entrato a far parte della discussione tra Borgomeo e Ansa. Il Presidente di Unindustria Cassino, infatti, ha sottolineato l’esigenza di strumenti straordinari, per poter fronteggiare una situazione che va inclinandosi pericolosamente. Gli strumenti richiesti all’esecutivo sono in particolare lo stanziamento di risorse adeguate per gli investimenti, centri di ricerca e, nell’immediato, una proroga dello stop della cassa integrazione previsto a fine anno.

Ove ciò non accada, le parole di Borgomeo non sembrano lasciare posto ad ipotesi negoziali: il 31 dicembre le aziende chiuderanno. Una ipotesi che sembra destinata a far riflettere il governo, in un momento in cui si sta scavando un solco con Stellantis.

Colonnina ricarica auto elettrica

Non è soltanto il governo Meloni a entrare nel mirino di Borgomeo, però. Se nelle settimane passate l’imprenditore aveva avanzato un pacchetto di proposte tese a rilanciare la filiera tricolore, ora anche l’Unione Europea è oggetto dei suoi strali. L’UE, in particolare, viene accusata di avere un approccio ideologico verso la questione della transizione energetica.

Un approccio testimoniato dalla decisione di pretendere lo stop ai motori termici nel 2035. Imposizione che, secondo Borgomeo, si basa sul nulla. Nel metterlo in rilievo, l’interessato usa le parole già pronunciate da Marchionne affermando che le aziende possono anche essere pronte nella costruzione verso l’auto elettrica. Senza l’effettiva produzione di energia derivante da fonti rinnovabili, però, si tratta di una semplice truffa.

Il sistema rischia di crollare

Il sistema potrebbe presto crollare, secondo il presidente di Unindustria Cassino. E ove ciò accadesse, il prezzo industriale, sociale ed economico sarebbe elevatissimo. Per poi aggiungere che gli industriali non sono contrari per principio alla transizione energetica. Chiedono soltanto una applicazione intelligente del principio.

Proprio in tale direzione, quindi, va interpretata una proposta dello stesso Borgomeo: “Vogliamo che al 2035 tutto il parco auto europeo sia almeno Euro 6. Ciò porterebbe un miglioramento enorme dal punto di vista delle emissioni e della sicurezza mantenendo in vita una filiera e le fabbriche che nel frattempo si orienteranno verso altro”.

Nel caso in cui si continui a battere sullo stop al motore endotermico, le auto elettriche si venderanno, ma con un parco auto vecchio di trent’anni. In tal modo non solo si distruggerà l’industria, ma si danneggeranno anche i consumatori. Resta solo da capire a chi possa convenire tutto ciò.

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