L’atmosfera intorno all’auto elettrica si va facendo sempre più pesante. Se sino a qualche mese fa nessuno si sarebbe sognato di mettere in discussione i piani per l’elettrificazione del modello di mobilità incentrato sulle zero emissioni, ora sembrano letteralmente trascorsi secoli. E gran parte della politica non si fa eccessivi scrupoli nel cavalcare l’umore non propriamente favorevole dell’opinione pubblica nei suoi confronti.
L’ultima riprova in tal senso arriva dalla Francia. Ove dopo i deputati, anche i senatori hanno deciso di dichiarare la necessità di un forte rallentamento sulla strada che dovrebbe condurre al Green Deal. Probabilmente la politica francese ha compreso la necessità di non dare più nulla per scontato, a questo punto, per cercare di approntare una nuova roadmap più flessibile. Senza la quale il disastro occupazionale potrebbe essere dietro l’angolo. Con questi chiari di luna, meglio non continuare a demonizzare i motori termici.
Anche la Francia volta le spalle al Green Deal
Anche in Francia si va affermando nell’opinione pubblica un atteggiamento sempre più critico per il mondo in cui sono stati impostati i piani per l’elettrificazione dei trasporti, che non si nasconde dietro eccessivi infingimenti. E che sembra essere stato pienamente recepito dalla politica transalpina, considerato che dopo i deputati, anche i senatori francesi hanno ora deciso di chiedere un allentamento degli obiettivi del Green Deal.

Come già accaduto nel passato mese di febbraio all’Assemblea Nazionale, il ramo del Parlamento che corrisponde alla Camera dei Deputati del nostro Paese, il Senato, si è infatti rifiutato di approvare un disegno di legge governativo che avrebbe comportato l’introduzione nella legislazione transalpina del bando delle endotermiche e di una disposizione con la quale la data del 2040 attualmente in vigore in Francia sarebbe stata sostituita con un anticipo dello stesso di un quinquennio.
La bocciatura del provvedimento è stata motivata dagli avversi con un escamotage, in base al quale ove recepito non avrebbe avuto alcun effetto normativo. Inoltre, si sarebbe creato un rischio di obsolescenza, a causa della decisione della Commissione europea di anticipare al 2025 la clausola di revisione del regolamento sulle emissioni. In pratica, quella che stabilisce, di fatto, il divieto alla vendita di auto a combustione interna.
Il governo ha a sua volta manifestato il proprio disappunto per la bocciatura. Lo ha fatto in particolare il ministro dell’Industria Marc Ferracci, secondo il quale “la maggior parte dei produttori e dei fornitori di componentistica non mette in discussione l’obiettivo del 2035, ma chiede solo flessibilità”. Che al momento corrisponde a verità.
Green Deal sotto assedio: cosa potrebbe accadere ora
Ormai, sull’auto elettrica si sta giocando una vera e propria battaglia ideologica. Non più fondata sui fatti e, di conseguenza, del tutto sbagliata. Sembra infatti difficile poter pensare che si possa continuare a spingere su un modello di mobilità inquinante come quello fondato sui motori termici. Ma lo è altrettanto cercare di costringere i consumatori a scegliere solo modelli a zero emissioni che sono fuori portata per quelli appartenenti alle classi popolari.
E spingere fuori dal mercato quei motori termici a tappe forzate, sta provocando una duplice crisi: non solo sociale, considerato come gli EV siano al momento impraticabili per un gran numero di persone, ma anche industriale. Molte case, infatti, sono state messe in crisi dalla necessità di puntare sull’auto elettrica. E hanno deciso di farne pagare gli esiti ai lavoratori. Con un gran numero di posti di lavoro già scomparsi o sul punto di farlo nell’immediato futuro.

Lo stesso governo francese, peraltro, sta mostrando al minimo ambiguità sul tema. Il passato 20 gennaio ha infatti avanzato una precisa richiesta all’Unione Europea, ovvero di ritardare l’entrata in vigore di due direttive. La prima prevede l’obbligo per le aziende di segnalare il proprio impatto ambientale e l’esposizione al rischio climatico, il secondo di verificare che i fornitori rispettino norme ambientali e sulle condizioni di lavoro dei propri dipendenti.
Per quanto riguarda il primo, Parigi propone di rinviarlo a data indefinita, mentre per il secondo si chiede un ritardo di due anni per l’inizio del nuovo regime di regole. In pratica, il tempo necessario a migliorare le direttive, facendo in modo siano applicate esclusivamente alle grandi aziende, quelle che vantano almeno cinquemila dipendenti e più di 1,5 miliardi di euro di fatturato.