L’auto elettrica sta affondando l’Europa: addio a 30mila posti e sette fabbriche, e potrebbe essere solo l’inizio

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E, intanto, l’Unione Europea continua a ignorare gli allarmi provenienti da più parti…
Licenziamenti Volkswagen

Il processo che dovrebbe condurre il vecchio continente verso un modello di mobilità sostenibile inaugurato dall’Unione Europea, si sta avviando verso il suo primo decennio. Una ricorrenza che, però, Bruxelles non potrà certo affrontare con il sorriso sulle labbra. Il suo processo di decarbonizzazione delle emissioni inquinanti, infatti, si sta rivelando sempre più difficoltoso. Reso tale in particolare da un approccio fondamentalista ad un tema che avrebbe dovuto essere toccato con una mano molto più sensibile, considerati gli interessi coinvolti. L’auto elettrica, infatti, si sta rivelando un vero e proprio campo minato, comportando la distruzione di un gran numero di posti di lavoro e l’impiego di risorse sempre più ingenti da parte delle case automobilistiche. Tanto da mettere in pericolo l’esistenza di veri e propri giganti come Volkswagen.

Auto elettrica: il percorso verso la sua affermazione in Europa è irto di ostacoli

Quando Tesla ha messo in commercio la sua prima auto elettrica, la Model S, nel 2007, molti pensarono che il suo fondatore, Elon Musk, fosse un visionario, magari anche abbastanza pazzo, con il suo proposito di portare il modello Apple sul mercato automobilistico. A poco a poco, però, l’auto elettrica ha iniziato a decollare, spinta anche dalla crisi ambientale che attanaglia l’ecosistema globale.

Licenziamenti Bosch

In un contesto simile, l’Unione Europea ha quindi preso una risoluzione estremamente significativa: diventare il primo territorio al mondo in grado di eliminare le emissioni di carbonio. Per farlo ha puntato sulla sostituzione dei veicoli dotati di motore a combustione con auto elettriche.

Sulla carta, la transizione verso il nuovo modello sembra assolutamente inappuntabile: il cambiamento in atto, infatti, permetterebbe ai produttori di produrre e vendere milioni di auto elettriche, incrociandosi con una domanda alle stelle da parte di acquirenti desiderosi di sostituire i loro vecchi veicoli a carburante e contribuire in tal modo alla pulizia dell’aria respirata.

Bruxelles, dal suo canto, ha deciso di incentivare al massimo tale processo. Per farlo ha messo in campo aiuti miliardari, destinati a finanziare direttamente la ricerca e lo sviluppo dei produttori, la realizzazione di nuove fabbriche e gli acquisti da parte dei consumatori. Il problema è però rappresentato dal modo in cui queste coordinate sono state trasfuse in leggi.

Un ostacolo dopo l’altro

Com’è ormai noto, nel cammino verso la mobilità sostenibile l’UE ha stabilito una serie di scadenze. Tra le tappe messe in calendario il divieto della vendita di auto a combustione oltre il 2035 e del loro utilizzo dal 2050. Scadenze decise nel corso del 2022, dopo il letargo dell’industria automobilistica conseguente all’insorgenza della pandemia globale di Covid.

Un letargo che è stato superato solo dopo più di un anno, causato in particolare dalla mancanza di componenti e semiconduttori asiatici. A seguito della quale le fabbriche hanno dovuto adeguarsi a lavorazioni a scartamento ridotto.

Il tutto mentre entrava prepotentemente in scena la Cina, con le sue auto elettriche. Irrisi sino a qualche anno prima dai produttori occidentali, i veicoli prodotti sotto la Grande Muraglia si sono dimostrati anni avanti dal punto di vista tecnologico. E su questo fattore hanno impostato una strategia che ha sottratto quote di mercato alla concorrenza, in particolare sul mercato europeo.

Il tutto mentre i piani di Bruxelles fallivano proprio dove meno la burocrazia europea se l’aspettava, ovvero il gradimento dei consumatori. Una volta terminati i programmi di incentivi per l’acquisto, sono praticamente atterrate le vendite di auto elettriche.

Auto elettrica: ora fioccano i licenziamenti

Il combinato disposto tra tutti questi fattori, si è tradotto in un orizzonte sempre più cupo per l’intera industria automobilistica, compresa la Cina. Anche il gigante asiatico, infatti, ha scoperto che l’Europa è diventata una trappola per i suoi produttori. La maggior parte di loro vanta infatti un portafoglio pieno di auto elettriche che oggi non si vendono. Oltre a non essere il paradiso promesso, l’Europa ha addirittura penalizzato le case cinesi con dazi aggiuntivi che hanno portato le tariffe ben oltre il 40%.

Rifornimento auto elettrica

A pagare salato il conto, però, potrebbe essere la classe operaia europea. Le case, infatti, hanno deciso di ridurre i costi per far fronte alla situazione, iniziando a dimagrire gli organici. Ad oggi, Ford e Volkswagen hanno già annunciato non meno di 10mila licenziamenti in Europa. Ad essi vanno aggiunti quelli preannunciati dai produttori di componenti: 5.550 da parte di Bosch, 4.700 da Schaeffler e 3.600 da Michelin.

Come al solito, però, si tratta soltanto della classica punta dell’iceberg, considerato come l’indotto italiano sia praticamente ridotto ai minimi termini dalla crisi di Stellantis. Tanto da spingere il governo italiano a propugnare la soluzione delle Kei Car per mettere una toppa ad una crisi senza fine.

Un panorama desolante, tale da prefigurare la distruzione del tessuto produttivo europeo, colpendo profondamente un’industria che fino allo scorso anno rappresentava oltre l’8% del Pil europeo e dava lavoro a più di 7,5 milioni di persone. Il tutto senza che l’UE pensi a ritoccare i propri piani, alla stregua dell’orchestra che continuava a suonare mentre il Titanic affondava.

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