Il potenziale della grafite è già in parte noto. Sempre più utilizzato dalle compagnie di settore per realizzare anodi, se sfruttato in maniera innovativa potrebbe apportare enormi benefici al mercato dell’auto. È partendo da queste premesse che nasce la “biografite”, un’alternativa sostenibile e a zero emissioni. Porta la firma di due realtà dalle competenze specialistiche, dotate degli strumenti e dell’esperienza adeguate a realizzare una rivoluzione in piena regola. Con la crescente domanda di elettrificazione e l’aumento del tenore di vita, occorre individuare tecnologie inedite e più intelligenti, al fine di sostituire la grafite sintetica estratta o fossile nelle batterie per auto elettriche, recita la nota diffusa. In definitiva, si tratterebbe di impiegare i sottoprodotti della silvicoltura e del trattamento del legno. Elementi quali i trucioli, la segatura e vari scarti possono essere lavorati al fine di introdurli nelle celle agli ioni di litio.
Ecco perché Lignode, da poco illustrato agli addetti ai lavori merita quantomeno di essere tenuto sotto costante osservazione. Qualora i risultati sul campo dovessero, infatti, dare i risultati auspicati, i player della filiera compirebbero un salto in avanti. I notevoli benefici riscuotibili in ottica ambientale si sommerebbe ai benefici ottenuti dalle compagnie stesse, pure in termini di immagine proiettata all’esterno.
In totale ci sono serviti ben sette anni di studi, utili a definire una metodologia capace di ottimizzare il processo per far fronte ai punti deboli in precedenza segnalati dagli operatori. Se tutto ciò sarà sufficiente a prendersi la ribalta mondiale lo scopriremo nel prosieguo. Intanto, cerchiamo di vederci chiaro su chi sono gli autori, in che modo sono giunti al risultato finale e i vantaggi da essa derivanti. Come constaterete voi stessi c’è parecchia carne al fuoco, tale da suscitare un naturale e comprensibile entusiasmo negli operatori.
Batterie auto elettriche CarbonScape
A seguito dei continui campanelli d’allarme fatti suonare dal Pianeta, è giunto il momento di prendere consapevolezza sulle decisioni quotidiane. Per tale ragione esistono le vetture elettriche, destinate a dominare nell’arco dei prossimi anni. Tutto ciò nonostante in Italia ne abbiamo soltanto avuto un piccolo assaggio. A causa del reddito medio basso (almeno in rapporto a certe nostre vicine di casa) e alle poche infrastrutture di ricarica, lungo la nostra penisola capita di vederne ancora poche. Ma provate a uscire fuori dai confini nazionali e magari a fare tappa in Norvegia, il Paese più evoluto sotto questo punto di vista.
Nella terra scandinava superano fin da adesso il numero delle endotermiche. E, sebbene il suo caso sia oggetto di studio, pure altrove si sono avvertiti dei decisi cambiamenti. E lo stesso vale negli USA: mentre in precedenza venivano viste con sospetto, oggi le bev costituiscono una realtà affermata, da conoscere e scoprire. Ad aver dato la spinta decisiva sono state forse Tesla e il Governo federale degli Stati Uniti, attraverso l’Inflation Reduction Act. Il paradigma è cambiato e in futuro i player della filiera dotati di adeguate risorse economiche accresceranno gli investimenti, affinché il gap rispetto alla Cina si riduca.
Gli stessi Costruttori valutano il potenziale di crescita, con rinnovata fiducia e consapevolezza nei rispettivi mezzi. Ne sono un esempio le realtà tedesche, specie quelle appartenenti alla classe premium, da Mercedes a BMW, fino a Porsche e Audi. Sebbene il gruppo Volkswagen non stia attraversando un periodo idilliaco, le potenzialità delle auto elettriche sono indubbie, ragion per cui l’impegno nel bev è già aumentato. E il ritardo accusato dall’azienda di Ingolstadt durante la gestione Duesmann gli è costato il posto, sostituito dallo scorso 1° settembre da Gernot Dollner. In Italia, invece, Stellantis si dimostra altrettanto ambiziosa e pronta ad abbracciare la novità. Cosa già fatta in parte, in un sforzo crescente fino alla fine del decennio. Allora il 100 per cento dei veicoli commercializzati dal conglomerato italo-franco-americano venderà solo bev in Europa, mentre negli USA raggiungerà la metà.
Stora Enso e Kopparbergs Bergslags Aktiebolag: la storia
Stora Enso è stata costituita nel 1998 dalla fusione tra la società finlandese Enso Oyj e la svedese Kopparbergs Bergslags Aktiebolag (STORA). Tuttavia, la prima documentazione registrata delle operazioni di Stora risale a oltre sette secoli fa. Il materiale di allora attestò l’estrazione del rame vicino a Falun, in Svezia. Tale attività progredì fino a diventare Stora Kapperbergs Bergslags nel 1862, avente al centro del suo business le lavorazioni minerarie, siderurgiche e del legno. Già centinaia di anni prima di produrre pasta di legno, cartone o carta, la silvicoltura è sempre stata al centro delle sue attività.
Il legno serviva in quanto combustibile e per riscaldare il minerale di rame, così da estrarre il metallo. Nel corso degli anni Settanta, Stora vendette le sue attività minerarie e metallurgiche al fine di focalizzarsi sul legno, in ogni sua forma e sfaccettatura. Altrettanto lunga e luminosa è la storia di Enso, fondata nel 1872. Tra le pioniere delle segherie a vapore in Finlandia, diventò verso la fine degli anni Novanta la principale azienda forestale del Paese. Nel 1996 acquisì il nome di Enso Oy.
L’operazione con CarbonScape
Da poco Stora Enso è diventata azionista di CarbonScape, una start-up con sede in Nuova Zelanda, addetta a sviluppare materiali anodici sostenibili per l’elettrificazione. Nella fattispecie, ha sviluppato biografite carbonio-negativa ricavata dal legno, progettata per essere adoperata nelle batterie per auto elettriche agli ioni di litio, al posto della grafite estratta o sintetica a basso fossile, che, rappresentante il 50 per cento del peso degli accumulatori, viene soprattutto prodotto in Cina. Il materiale adottato permette di assicurare i massimi standard di approvvigionamento, con la possibilità di localizzare la produzione del materiale, così da soddisfare la domanda in rapida crescita.
Attualmente CarbonScape gestisce un impianto pilota di biografite di Nuova Zelanda, dove la tecnologia e il prodotto risultano in fase di convalida. La mission dichiarata è di dare una svolta all’intera industria, mediante un materiale che permetta prestazioni elevate, costi di produzione molto inferiori e un’impronta di carbonio negativa, producibile ovunque.
La catena di approvvigionamento lunga e centralizzata della grafite comporta numerosi rischi. Di conseguenza, CarbonScape intende scongiurare il momento in cui i principali mercati in crescita degli anodi non saranno più in grado di far fronte alla domanda. CarbonScape porterà a termine l’obiettivo mediante un sistema applicabile con grande facilità pressoché ovunque, purché presenti materie prime rinnovabili, garantendo la sovranità sulla catena di fornitura. Il proposito si adatta a quello di Stora Ensa di andare incontro alle esigenze degli accumulatori in territorio europeo con materiale per batterie privi di fossili. Insieme al materiale anodico di carbonio duro a base di legno, la biografite Lignode formerebbe una piattaforma di prodotti di alternative sostenibili locali.
L’amministratore delegato di CarbonScape, Ivan Williams, ha sottolineato, appunto, il bisogno di evolversi rispetto al modus operandi dei giorni nostri, afflitto da troppe criticità per pensare che possa avere lunga vita. Ed è dello stesso avviso Juuso Konttinen, Vicepresidente senior, Biomaterials Growth Businesses presso Stora Enso. Tramite la partnership – ha evidenziato – stanno esplorando una via sostenibile per i materiali critici delle batterie per auto elettriche, creando un impatto positivo sulla società.