Le batterie auto-riparanti possono essere il futuro dell’auto elettrica?

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Se le premesse sono confortanti, ancora non è chiaro se una soluzione di questo genere è realmente in grado di arrivare sul mercato
Batterie per auto elettriche

Migliorare le batterie per le auto elettriche è un obbligo, per riuscire a prendere più decisamente la strada verso un modello di mobilità più sostenibile. Ad oggi, però, non è stato possibile dare vita ad una sola soluzione per riuscirci, anche perché ci sono molte variabili da tenere in considerazione. Non solo l’aspetto dimensionale varia da veicolo a veicolo, ma anche le chimiche sono più di una, anche se al momento predomina la versione LFP (litio, ferro e fosfato). I produttori, però, sanno benissimo quali sono gli obiettivi da perseguire, ovvero una maggiore densità energetica, una più elevata rapidità per quanto concerne la ricarica e una reale convenienza economica. Il tutto non disgiunto dalla necessaria sicurezza. Obiettivi che potrebbero essere realizzati dall’ultima novità emersa nel settore, ovvero un pacco batterie in grado di ripararsi da solo, a tutto vantaggio dell’ambiente.

La batteria che si ripara da sola può essere la soluzione?

Ad avanzare l’ipotesi in questione è stata una organizzazione norvegese, la Fondazione per la Ricerca Industriale e Tecnica (SINTEF). A suffragarla una sperimentazione condotta su una batteria più stabile rispetto ai tradizionali pacchi agli ioni di litio. Che si sarebbe dimostrata in grado di garantire maggiore autonomia e durata.

Batterie per auto elettriche

La batteria in questione avrebbe l’aspetto di un sandwich, analogia resa possibile dal fatto che nello strato superiore ci sarebbe il catodo, con quello inferiore delegato a ospitare l’anodo, mentre lo strato di mezzo sarebbe affidato a separatori e legante. Se è vero che tale analogia varrebbe per tutte le batterie, a stabilire la differenza con le altre è il fatto che il catodo utilizza ossido di litio-nichel-manganese, privo di cobalto e con una minor quantità di nichel e litio rispetto alle batterie tradizionali. Una chimica che si rivela in grado di fornire una tensione media più elevata, riuscendo al contempo a dare luogo ad un miglioramento in termini di tempi di ricarica e prestazioni. E, ancora, permette di immagazzinare una maggiore quantità di energia in un volume ridotto.

Per quanto concerne l’anodo, è a sua volta realizzato con un composito di silicio e grafite. Si tratta di una soluzione che le aziende produttrici di batterie stanno esplorando con sempre maggiore interesse. A giustificarlo il fatto che va ad eliminare le inefficienze tipiche di un anodo a base di sola grafite. Tra le aziende che stanno esplorando questa strada spiccano alcune startup americane, a partire da Amprius, Group14 e Sila Nanotechnologies. Al momento, però, gli anodi al silicio presentano uno svantaggio, quello derivante dalla tendenza a gonfiarsi nel corso dei cicli di carica e scarica. Per eliminare il problema viene comunque utilizzato una composizione con la grafite, tale da assicurare le necessarie robustezza e stabilità.

L’autoriparazione è assicurata da una supercolla

Ad assicurare invece la capacità di autoriparazione è quella che è stata definita una “supercolla”. Secondo gli esperti, sarebbe in grado di porre rimedio ai piccoli danni presenti nelle celle, agendo alla stregua di un pneumatico auto-sigillante. In pratica, si tratterebbe di speciali leganti e separatori cui è affidato il compito di tenere insieme la struttura della batteria.

batterie auto elettriche

Occorre a questo punto precisare che per legante si intende un materiale in grado di stabilire l’unità tra le particelle attive di una batteria. Mentre per separatore si intende la parte abilitata alla prevenzione dei cortocircuiti. Per riuscirci impedisce in pratica a catodo e anodo di entrare in contatto.

L’elettrolita del prototipo di prima generazione che vede l’impiego dei materiali sin qui descritti è già stato ultimato. Permettendo quindi l’inizio del lavoro sulle celle di seconda generazione. Il passo decisivo, quello mancante, consiste nel riuscire a capire come sia possibile far esordire la nuova tecnologia sul mercato. Per farlo, naturalmente, occorre implementarne la produzione su scala industriale. Un passo che non poche scoperte degli ultimi anni non sono riuscite a fare, restando confinate ai laboratori.

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