La locomotiva europea, la Germania, sta vistosamente rallentando. A darne ampia testimonianza sono gli ultimi dati pubblicati dall’Ifo, Institute for Economic Research, secondo i quali la percentuale di imprese a rischio sopravvivenza è ormai salita al 6,8%. Naturalmente sono molti i settori in sofferenza, tra i quali spiccano l’industria chimica, l’edilizia residenziale e la logistica e all’industria chimica. Un drappello cui, però, ben presto si potrebbe aggiungere l’automotive.
A provocare una sempre più evidente crisi è il forte rallentamento della domanda. Un trend che era del resto ampiamente prevedibile. Sino alla scorsa estate a sostenerla erano gli incentivi, ora venuti meno. Il mese di settembre è stato molto chiaro in tal senso, con il crollo delle richieste, in particolare quella legata alle flotte aziendali.
La nuova situazione si verifica in un momento molto particolare, ovvero in prossimità delle elezioni politiche. Già da mesi i sondaggi effettuati tra gli elettori tedeschi hanno iniziato a far tremare le cancellerie di mezza Europa. L’avanzata di AFD (Alternative für Deutschland) rischia di rendere praticamente impossibile un governo di coalizione, che aprirebbe ulteriormente la strada alla protesta sempre più dilagante nel Paese. Le avvisaglie di crisi dell’automotive teutonico sembrano poter buttare nuova benzina sul fuoco delle recriminazioni. Andiamo a vedere perché.
Il caso Goodyear
Tra coloro che hanno deciso di prenderne atto c’è anche Goodyear. la multinazionale statunitense ha appena annunciato di voler chiudere due siti produttivi tedeschi, posizionati rispettivamente a Fulda, in Assia e a Fürstenwalde, in Brandeburgo. In particolare, gli addetti di Fulda erano i superstiti dei tagli operati nel corso del 2019, quando l’azienda aveva deciso di lasciare a casa 450 operai.
All’epoca, però, la stessa Goodyear aveva promesso di investire cospicue risorse per ammodernare lo stabilimento. Come suol dirsi, passata la festa gabbato lo santo. Già nel mese di giugno Goodyear aveva proceduto al taglio di altri 550 posti di lavoro, anche se le trattative instaurate con il consiglio di fabbrica avevano rallentato l’iter decisionale. Il conto, però, ora arriverà tutto insieme.
Nel corso delle ultime ore, infatti, i vertici aziendali non hanno avuto eccessive remore nell’imboccare la strada temuta dai sindacati, preannunciando la chiusura dell’impianto. Il motivo è da ricercare proprio nel “significativo e rapido deterioramento” della domanda. Un trend che è peraltro stato acuito dall’aumento di importazioni a basso costo dall’Asia, come fatto sapere da Goodyear. Non si sa se può essere considerata una parziale consolazione, se non per i lavoratori più vicini al pensionamento, ma la dismissione sarà graduale. La chiusura definitiva dello stabilimenti di Fulda avrà luogo entro e non oltre due anni. Dopo di che dovrà essere il welfare tedesco a cercare di dare risposte ai lavoratori coinvolti.
Anche i lavoratori del sito di Fürstenwalde, peraltro, sono destinati a cercarsi entro qualche anno una nuova sistemazione. Nel loro caso, per fortuna, la deadline è fissata due anni più tardi, ovvero al 2027, andando però a comprendere il taglio di 750 operai. La stessa azienda non ha avuto difficoltà ad affermare che si tratta di una decisione difficile. Al tempo stesso l’ha reputata necessaria per poter ridurre l’eccesso di capacità e allineare la struttura produttiva alla domanda. In pratica, le consultazioni con le centrali sindacali saranno un semplice passaggio formale.
Anche Continental paga dazio alla crisi dell’automotive tedesco
Se Goodyear piange, Continental non ride. La multinazionale nota a livello mondiale per la sua produzione di pneumatici, sistemi di frenata e di controllo di stabilità del veicolo, ha già risposto alla nuova situazione con una serie di risparmi pari a non meno di 400 milioni di euro. Previsti all’interno di un piano di ristrutturazione, dovrebbero consentire all’azienda di affrontare meglio gli spifferi di crisi e riguarderanno “tutte le parti e tutti i livelli dell’organizzazione e, pertanto, il numero esatto dei posti di lavoro interessati a livello globale non è ancora stato deciso”.
Se l’azienda non lo dice, ci pensa però la stampa tedesca, che sta seguendo con grande attenzione la questione a svelare le cifre. Sarebbero infatti non meno di 5mila i posti in pericolo, ovvero il 3% degli attuali organici globali di Continental. Dati che sono destinati ad entrare nelle discussioni politiche con grande forza, dando nuovo propellente alle argomentazioni di AFD, cui per i partiti di governo potrebbe rivelarsi impossibile ribattere alla luce delle tante scelte contestate degli ultimi anni.
I dati della multinazionale tedesca, peraltro, vanno considerati anche alla luce del fatto che già nel corso dell’ultimo decennio l’azienda ha provveduto a sforbiciare gli organici di almeno 20mila posti. Peraltro a rinfocolare le proteste potrebbe essere il seguito del menu proposto dai piani alti, È stato il responsabile della divisione Philipp von Hirschheydt, ad affermare, senza girare troppo intorno alle parole, che si tratta di misure iniziali, tese a migliorare la competitività del settore. Le valutazioni, infatti, sono ancora in corso, senza zone franche, e interessano “tutte le funzioni e i processi, dalla vendita alla ricerca, dallo sviluppo alla produzione”.
I primi a fare le spese della “chiarificazione del quadro” saranno i mille dipendenti in una trentina di siti. A loro, però, potrebbero ben presto unirsene molti altri. Una vera e propria cura dimagrante, al culmine della quale sarà liquidata l’area Smart Mobility, con la riorganizzazione dell’intera divisione in soli cinque segmenti di business.
Volkswagen, la tempesta perfetta è arrivata?
I sindacati lo avevano preannunciato da tempo: la tempesta perfetta si stava presentando alle porte di Volkswagen Le notizie degli ultimi giorni sembrano la più plastica conferma di quanto sta accadendo. Il gruppo, infatti, starebbe seriamente considerando l’ipotesi di tagliare pesantemente gli organici.
Ad affermarlo è stata Handelsblatt, secondo la quale il management di VW avrebbe deciso di dare vita ad una revisione della spesa per non meno di 10 miliardi di euro. Nel mirino sarebbero finiti di conseguenza gli impiegati, le cui mansioni d’ufficio non sarebbero con tutta evidenza ritenute necessarie ai destini del gruppo. Le dimensioni dei tagli sarebbero però epocali, arrivando ad almeno il 20% del personale amministrativo.
I prodromi di quanto sta accadendo sono da rinvenire nello stop di tre settimane per quanto riguarda le catene di montaggio dei nuovi Model Year di ID.4, ID.5 e Q4 e-tron, sia in versione Suv sia Sportback. Per giustificare il tutto sono state accusate le inattese interruzione nella catena delle forniture, a seguito delle quali sarebbero venuti a mancare i motori elettrici.
Non sono però mancati coloro che hanno fatto notare come ormai da tempo il gruppo abbia manifestato ravvedimenti sulla mobilità sostenibile. Basta ricordare quanto accaduto a Zwickau, nei cui stabilimenti sono prodotti sei modelli elettrici di Volkswagen, Audi e Cupra, ove è stata sospesa temporaneamente la produzione. Il motivo reale è da ravvisare proprio nella brusca frenata della richiesta. La fine degli incentivi ha praticamente bloccato il mercato e i produttori sono costretti a correre ai ripari.
Se in agosto gli addetti assunti con contratti temporanei erano 2mila, 269 di loro erano già stati licenziati ad ottobre, in corrispondenza con la scadenza del contratto. Una decisione che aveva colpito soprattutto in considerazione delle rassicurazioni precedenti, quando Volkswagen aveva affermato la centralità delle auto elettriche nella sua strategia produttiva.
Audi e Ford, montano le preoccupazioni
In un quadro che volge sempre più al peggio, occorre poi ricordare un’ulteriore notizia fornita da Handelsblatt, quella relativa alla decisione di Audi sul rinvio del lancio non solo della Q6, ma anche di altri modelli della famiglia e-tron. In questo caso si tratta di una pura e semplice inversione di rotta.
Dopo che Markus Duesmann aveva affermato l’intenzione di produrre solo veicoli full electric, la nuova situazione ha costretto i vertici di Ingolstadt a tornare indietro. Non farlo potrebbe esporre il marchio a pericoli sempre più evidenti. meglio fermarsi sinché si è in tempo, quindi.
La stessa logica che, del resto, sta spingendo Ford a rallentare i piani per l’elettrificazione. L’azienda non solo ha bloccato i piani per la costruzione di una gigafactory in Turchia, ma ha anche ridisegnato i piani per la Germania. Piani che interessano Colonia, appena privata della produzione di Fiesta.
Se lo stabilimento doveva dedicarsi nei piani alla produzione del suv elettrico Explorer e, dal 2024, a quella di una crossover sportiva, in sinergia con Volkswagen, ora tutto sembra destinato a fermarsi. A rimetterci sarebbe proprio il sito di Colonia, cui erano destinati 1,8 miliardi di euro per l’assemblaggio di 1,2 milioni di veicoli green nell’arco di sei anni.
Come si può facilmente comprendere da quanto detto, per l’automotive tedesco si prospetta una sorta di traversata nel deserto. Di cui anche in Italia sarebbe il caso di iniziare a preoccuparsi, visti i legami tra i due paesi in termini di indotto.