L’entrata in vigore dei dazi aggiuntivi imposti dall’UE sulle auto elettriche cinesi, avvenuto il passato 5 di luglio, può essere considerata una vera e propria dichiarazione di guerra, naturalmente commerciale, consegnata alle autorità di Pechino. Che, dal canto loro, già hanno capire di voler rispondere a tono, sanzionando i distillati provenienti dall’Europa, in attesa di stabilire quali altri prodotti colpire.
Oltre al governo cinese, però, che ha già provveduto a denunciare l’UE presso l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), a voler scendere in guerra c’è anche MG, la casa rientrante nell’orbita del Gruppo SAIC. I suoi dirigenti, infatti, hanno deciso di denunciare l’Unione Europea. Andiamo quindi a vedere i motivi della decisione.
MG denuncia l’Unione Europea: quali i motivi?
Se il governo cinese non si è fatto pregare per rispondere a tono ai dazi emanati dall’UE, a livello individuale, anche il gruppo SAIC ha annunciato che farà causa all’eurozona. A sostenerlo è l’ agenzia di stampa Reuters, che ha anche ricordato i motivi alla base della decisione.
Che sono in pratica gli stessi su sui si fondava la protesta emessa nel corso dell’estate, quando Bruxelles ha deciso di colpire le auto elettriche cinesi. Secondo i proprietari del marchio MG, l’UE avrebbe infatti commesso errori nel corso dell’indagine, in quanto avrebbe ignorato le informazioni chiave fornite dal gruppo SAIC. Facendolo, ha determinato sovvenzioni gonfiate rispetto a quelle effettivamente ricevute dal governo della Repubblica Popolare Cinese.
La notizia della denuncia di MG arriva peraltro in un momento abbastanza particolare. Secondo il portale specializzato Electrive, il Gruppo SAIC non avrebbe alcuna intenzione di rinunciare ad essere presente sul mercato europeo. Per riuscirci, quindi, la società ha dichiarato che sta adottando misure per adattarsi alle barriere commerciali. Tra le stesse, potrebbe esserci quello di promuovere l’arrivo in Europa di più veicoli ibridi, i quali non sono oggetto delle tariffe aggiuntive.
Nel frattempo i negoziati proseguono
La proposta di aumentare le tariffe d’ingresso nell’UE per i veicoli elettrici costruiti all’ombra della Grande Muraglia, è nata da un’indagine condotta all’inizio dell’anno dalle autorità europee. Il presupposto per vararla era che i produttori cinesi, sostenuti dal governo del loro paese, stavano dando vita ad una concorrenza sleale con i marchi europei, lungo il Vecchio Continente .
L’indagine condotta avrebbe confermato l’idea di partenza. L’UE, infatti, ha stabilito che le auto elettriche cinesi costavano fino al 20% in meno grazie a questi sussidi nascosti. Ora, però, occorre capire se è vero quanto sostenuto da MG, ovvero che queste sovvenzioni sarebbero state gonfiate.
Proprio la tariffa spiccata nei confronti del Gruppo SAIC, peraltro, rappresentava la più elevata in assoluto, arrivando al 35% e portando di conseguenza il conto da pagare al 45%. La protesta del conglomerato ha avuto come risultato una leggera riduzione della tariffa, non certo tale da ridurre i mugugni della sua dirigenza. La denuncia nei confronti dell’UE può quindi essere considerata il logico risultato della situazione che si è venuta a creare.
A esprimere malumore non sono solo le case cinesi
Dal passato 31 ottobre, le nuove tariffe commerciali sui veicoli elettrici cinesi sono realtà. Al tempo stesso, i funzionari delle controparti sono ancora al lavoro per cercare di smussare gli angoli e tornare a normali relazioni. Al momento, però, non ci sono novità al proposito.
A protestare, peraltro, non sono solo le case cinesi, ma anche quelle europee. In particolare quelle tedesche, che potrebbero essere a loro volta penalizzate sul mercato cinese. Ovvero sul più grande del mondo, che rappresenta circa un terzo delle proprie vendite, a livello globale.
In questo panorama, spicca la posizione dell’Italia, che con la sua adesione ai dazi della Von der Leyen si è praticamente giocata la possibilità di vedere arrivare le aziende cinesi lungo la penisola. A partire da quella Dongfeng che pure era in trattative con il governo Meloni. Ha già fatto sapere di non essere più interessata all’apertura di una fabbrica in Piemonte. Mentre molti si attendono un annuncio simile da parte di Chery. A sostituire l’Italia potrebbero essere Paesi più collaborativi con la Cina, a partire da Ungheria e Spagna.