La riforma rete carburanti non s’ha da fare. Perlomeno questo è il parere dei benzinai italiani, che ha spinto il governo Meloni a fare una precipitosa marcia indietro. Provando ad andare avanti, infatti, il settore potrebbe condurre forme di lotta estreme che l’esecutivo, reso ancora più debole dallo scandalo Sangiuliano, culminato nelle dimissioni del ministro della Cultura, ha giudicato troppo pericolose.
Se, in fondo, il giudizio dell’opposizione, che giudica disastrosa la proposta, era scontata e facilmente arginabile coi numeri parlamentari, le proteste degli addetti ai lavori sono reputate con tutta evidenza un banco di prova troppo severo per un governo sempre più in affanno, man mano che si approssima la prossima legge di bilancio.
Ai benzinai è quindi bastato minacciare la chiusura dei punti vendita, che immobilizzerebbe il Paese, per spingere Giorgia Meloni a ripiegare. Ora resta da capire se ci siano i margini per una trattativa o se l’esecutivo debba passare ad altro. La seconda ipotesi, al momento, sembra la più probabile.
L’accusa dei benzinai: la riforma rete carburanti ammazza i piccoli per favorire i grandi
Slitta a tempo indeterminato la riforma rete carburanti. Il governo ha infatti deciso di rimettere nel cassetto quell’accordo giunto al termine di un anno di confronto tra Ministero dei Trasporti e operatori del settore. A spingerlo in tal senso la furibonda protesta dei benzinai, che minacciano la vera e propria serrata delle pompe. Una serrata che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni non può permettersi di affrontare, in un momento reso delicato da scandali e possibili scontri con l’Unione Europea.
A esternare i motivi della decisa contrarietà dei gestori è stata una nota pubblicata da Faib Confesercenti, Fegica e Figisc/Anisa Confcommercio. Il cui contenuto è abbastanza chiaro e fa capire come il livello dello scontro sia molto elevato. La nota, infatti, afferma: “Si distrugge l’ultimo anello della catena (i Gestori) per premiare le compagnie petrolifere che nel corso degli ultimi 3/5 anni hanno chiuso bilanci con utili mostruosi”.
Detto in parole povere, le associazione dei benzinai accusano il governo di centrodestra di favorire le grandi compagnie petrolifere a loro danno. Un notevole paradosso per quella Giorgia Meloni che ama presentarsi nella veste di figlia del popolo. A rendere ancora più sferzante il diniego dei benzinai è poi il giudizio sulla riforma ventilata. Viene infatti definita come la peggiore mai proposta nel nostro Paese da quando sono iniziati i rifornimenti ai veicoli. Un giudizio negativo senza appello, tale da troncare qualsiasi possibile discussione.
Una bocciatura che rende quasi del tutto inutile il favore riscosso presso alcune associazioni, come Unem, l’associazione che riunisce le aziende del settore petrolifero. Secondo la quale si tratterebbe di un passo importante per il Paese, giudizio su cui concorda Assoutenti. Mentre non sembra d’accordo Unc, paventando lo spettro di un mercato ancora meno concorrenziale rispetto all’odierno.
Riforma rete carburanti: cosa prevedeva il progetto in discussione
Per chi si fosse perso le precedenti puntate e non conosca ancora il motivo del contendere, sarà utile a questo punto riepilogare il contenuto del provvedimento saltato (per ora). In pratica, il governo afferma la sua intenzione di modernizzare con la riforma rete carburanti la distribuzione lungo i confini nazionali. Per farlo punta su impianti green, detrazione al 50% per le spese alla colonnina di ricarica e incentivi statali sino a 60mila euro.
Per favorire il conseguimento di questi obiettivi, che riguardano i vecchi impianti, verrebbero stanziati 47 milioni di euro nel corso del triennio tra il 2025 e il 2027. La parte relativa ai nuovi impianti, invece, prevede la necessaria presenza di almeno un altro vettore energetico alternativo ai combustibili fossili a partire dal prossimo anno.
Secondo le associazioni di settore, però, si tratta di semplice fumo buttato agli occhi dell’opinione pubblica. La sostanza della riforma è invece da individuare nella precarizzazione dell’accordo tra loro e le compagnie petrolifere. A renderlo tale, nella riforma rete carburanti predisposta dal governo di centrodestra è il fatto di limitare i contratti ad appena cinque anni. Con la possibilità di disdirli da parte delle compagnie con appena 90 giorni di preavviso.
Contenuti talmente sbilanciati da spingere i benzinai a dichiarare irricevibile il provvedimento. E da indurli a minacciare una serrata che sarebbe disastrosa per Giorgia Meloni, in un momento in cui l’esecutivo si trova alle prese con il varo di una legge di bilancio molto problematica.