Tesla contro i sindacati, il nord europa si scalda

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Lo sciopero dei lavoratori svedesi si allarga anche alla Danimarca
Stabilimenti Tesla Svezia

La vera e propria battaglia intrapresa da Tesla contro i sindacati scandinavi rischia di tramutarsi in un tracollo vero e proprio sul mercato del Nord Europa. Dopo l’allargamento dello sciopero dei lavoratori degli stabilimenti svedesi della casa californiana a portuali e postelegrafonici dello stesso Paese, ora anche i lavoratori portuali danesi hanno deciso di fare fronte unito contro l’arroganza di Elon Musk.

Un vero e proprio movimento transfrontaliero che a questo punto sembra evocare pericoli molto più grandi della sindacalizzazione tanto temuta da Tesla. L’azienda probabilmente non si aspettava la capacità di resistenza messa in atto di fronte al suo rifiuto di garantire i diritti di contrattazione collettiva ai dipendenti all’interno dei suoi stabilimenti e rischia ora di pagare un dazio superiore alle aspettative.

Del resto non era così complicato prevedere quello che sta accadendo in queste ore. Era stato proprio IF Metall, il sindacato svedese direttamente coinvolto nella questione, a ricordare che la posta in gioco andava ben oltre il semplice diritto reclamato. In realtà, la battaglia è proprio connessa al diritto del sindacato di esistere e far valere collettivamente i diritti dei lavoratori. Un diritto che verrebbe messo seriamente in discussione in caso di sconfitta.

Tesla sciopero Svezia

Tesla e Scandinavia: cosa sta accadendo

Per capire meglio quanto sta accadendo, occorre ripercorrere le precedenti tappe della guerra in atto. Tutto è iniziato alla fine di ottobre, quando Tesla si è rifiutata di sedersi al tavolo della trattativa con IF Metall, che aveva chiesto la contrattazione collettiva all’interno dello stabilimento svedese del gruppo. Una mossa non certo stupefacente, considerato come il marchio californiano sia già ben noto per la sua condotta antisindacale in patria.

Elon Musk, però, non aveva messo in conto il tradizionale spirito battagliero dei sindacati nordici. Che, dal canto loro, hanno saputo via via allargare il fronte di battaglia. Prima hanno chiesto e ottenuto la solidarietà dei portuali, che hanno rifiutato di movimentare i prodotti di Tesla, e poi lo hanno fatto con i postelegrafonici, che a loro volta hanno deciso di non consegnare le targhe per i veicoli da immatricolare.

Una risposta talmente potente e coordinata da spingere l’uomo più ricco del mondo a sbottare su X in un post che, però, sembra fatto apposta per esaltare la capacità di azione dimostrata dalla controparte: “Questo è pazzesco”. Al suo giudizio ha fatto seguito una causa contro l’Agenzia dei trasporti svedese e il servizio postale. Una mossa che, di certo, non è stata concepita per rasserenare gli animi.

Dalla Svezia alla Danimarca, il fronte si va sempre più allargando

Se Tesla pensava di intimidire sindacati e governo svedese, sembra proprio che abbia fatto male i conti. Quando la casa ha provato a forzare il blocco, facendo ricorso ai porti danesi, si è praticamente trovata di fronte lo stesso muro. I portuali locali, infatti, non hanno fatto mancare la solidarietà di classe ai lavoratori svedesi e hanno risposto positivamente alla richiesta di IF Metall, in ordine ad un sostegno contro l’azienda statunitense.

Un sostegno che si è tradotto in uno sciopero avvenuto nella giornata di martedì, in solidarietà con l’azione intrapresa dai lavoratori svedesi di Tesla. È stato Jan Villadsen, presidente del sindacato danese 3F Transport, a dichiarare nella stessa giornata che IF Metall e i lavoratori svedesi stanno “combattendo una battaglia incredibilmente importante” e, di conseguenza, hanno il pieno sostegno del suo sindacato.

“Proprio come le aziende, il movimento sindacale è globale nella lotta per proteggere i lavoratori. Con lo sciopero di solidarietà, ora interveniamo per esercitare ulteriore pressione su Tesla. Naturalmente speriamo che le controparti si siedano al tavolo delle trattative il prima possibile e firmino un contratto collettivo”: queste le parole espresse da Villadsen in una nota, che dovrebbero preoccupare non poco Elon Musk.

Per Tesla si prospetta una vera e propria Caporetto?

Lo stesso Villadsen non ha poi avuto eccessive remore nell’attaccare frontalmente il miliardario di origini sudafricane. Ha infatti aggiunto che “…anche se sei uno degli uomini più ricchi del mondo, non puoi semplicemente stabilire le tue regole. Abbiamo alcuni accordi sul mercato del lavoro nella regione nordica e devi rispettarli se vuoi avviare un’impresa qui”.

Non è mancato inoltre un accenno estremamente chiaro alla solidarietà che, come da lui ricordato, “…è la pietra angolare del movimento sindacale e si estende oltre i confini nazionali. Pertanto, ora stiamo prendendo gli strumenti di cui disponiamo e utilizzandoli per garantire contratti collettivi e condizioni di lavoro eque.”

Occorre peraltro sottolineare come in questo caso non si tratti di semplici dichiarazioni ad effetto. I membri di 3F Transport, infatti, hanno già dichiarato che i lavoratori portuali e gli autisti non faranno nulla per ricevere e trasportare eventuali spedizioni di veicoli Tesla destinati alla Svezia.

Una questione che va ben oltre la questione economica

Occorre sottolineare che la questione svedese travalica la semplice questione salariale. In Svezia, e praticamente nell’intera Scandinavia, i rapporti di lavoro sono modellati da una serie di accordi raggiunti nel corso del XX secolo. Tra gli aspetti che non possono essere oggetto di discussione c’è l’aspetto collettivo della contrattazione. Devono essere in pratica sindacati e aziende a discutere di volta in volta sui contratti, senza alcun intervento da parte del governo.

È assolutamente chiaro che, in assenza di un intervento politico le relazioni devono vedere due controparti dotate di analoga forza contrattuale. Con tutta evidenza, i lavoratori presi singolarmente non possono averla e si ritroverebbero in una posizione di svantaggio in fase di trattativa, anche perché potrebbero essere ricattati in vario modo.

Tesla sciopero Svezia

Tesla, con l’arroganza che sembra ormai essere una sua peculiarità, ha opposto un netto rifiuto a qualsiasi ipotesi di apporre la sua firma ad un contratto collettivo. Una decisione che, però, ha avuto l’immediata risposta di 120 metalmeccanici svedesi, che hanno lanciato lo sciopero iniziato alla fine di ottobre.

Uno stallo molto pericoloso, per Tesla

Lo stallo che ne è conseguito, però, comporta molti rischi per Tesla. Il principio del sindacalismo e della contrattazione collettiva è profondamente radicato in Scandinavia. Neanche la destra si sogna di metterlo in dubbio, anche perché in tal modo è possibile mantenere le discussioni su un piano prettamente economico e lavorativo.

Senza contare il fatto che con l’estensione degli scioperi alla Danimarca, presto l’azienda si potrebbe trovare a dover spegnere un incendio di larghissime proporzioni. Anche Germania e Norvegia potrebbero unirsi alla lotta in difesa di quella contrattazione collettiva che è un principio fondamentale delle relazioni industriali.

IF Metall, dal canto suo, ha rilasciato un commento a CNBC, affermando che non sono in corso colloqui di alcun genere con Tesla. Al contempo spera che il colosso statunitense torni al tavolo delle trattative, il prima possibile. La chiusa del sindacato è un misto tra carota e bastone: “Siamo fiduciosi che alla fine si renderanno conto che il contratto collettivo è vantaggioso anche per loro. Siamo preparati per un conflitto prolungato, ma speriamo in una soluzione rapida”. Ora spetta alla casa statunitense dare una risposta.

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