L’inchiesta dell’Unione Europea sui prezzi troppo bassi delle auto elettriche cinesi sembra sul punto di rivelarsi un problema di non poco conto. Oltre alle auto del gigante orientale, infatti, anche quelle dei marchi occidentali prodotte all’interno del suo territorio saranno poste sotto la lente d’ingrandimento della commissione varata per l’occasione.
In pratica, quindi, a ritrovarsi sotto indagine saranno anche Tesla e Volvo. Sia l’uno che l’altro, infatti, ricevono finanziamenti da parte del governo cinese. Sussidi i quali, a detta della Commissione Europea andrebbero a ledere il principio di concorrenza con le case del vecchio continente.
A rilasciare una dichiarazione in tal senso è stato il numero due dell’esecutivo europeo e Commissario al Commercio Valdis Dombrovskis, nel corso di una intervista rilasciata a Financial Times a margine di una visita effettuata proprio in Cina, in occasione della conferenza annuale del Bund Summit a Shanghai. Un’intervista nel corso della quale ha affermato che l’Unione Europea sarebbe aperta alla concorrenza, a patto che sia equa.
Le sue parole hanno riecheggiato quelle rilasciate proprio in occasione della conferenza di Shangai, nel corso della quale Dombrovskis ha affermato che l’Unione Europea non vuole il disaccoppiamento economico con la Cina, ma sente il bisogno di proteggersi “quando si abusa della sua apertura”. Naturalmente, a questo punto resterebbe solo da capire perché sia considerato equo il rilascio di sussidi da parte di altri Paesi che sono molto più cospicui rispetto a quelli di Pechino.
La reazione di Pechino all’inchiesta UE
Se entrambe le parti hanno dichiarato di aver effettuato progressi per quanto riguarda il varo di un meccanismo teso a controllare quanto avviene sul fronte delle esportazioni, resta sul tappeto il problema rappresentato dal disappunto della Cina. Il cui governo non ha eccessive remore ad accusare l’Unione Europea di portare avanti politiche chiaramente protezioniste. Accusa del resto ribadita senza eccessivi peli sulla lingua da Wang Wentao, ministro del Commercio del gigante asiatico.
Una reazione la quale, ad oggi, sta provocando non poca preoccupazione in Germania, il paese che più di altri si trova esposto sul fronte di una possibile guerra commerciale tra UE e Cina. Le case tedesche, infatti, esportano molto a Pechino e dintorni, in particolare Volkswagen, che riversa in loco circa il 40% della propria produzione.
Se, nel suo caso, il proliferare di modelli cinesi lungo le strade europee può essere considerato pericoloso, l’eventuale imposizione di dazi la spingerebbe praticamente ai margini di un mercato gigantesco e fondamentale per la sua redditività. Messa peraltro a rischio dalla contrazione di quello europeo, che ha avuto come contropartita il blocco temporaneo della produzione in due dei suoi stabilimenti tedeschi.
La questione potrebbe presto deflagrare
La questione relativa all’inchiesta sui prezzi troppo bassi potrebbe ben presto deflagrare, sino a portare i rapporti tra UE e Cina su un binario morto. Se è passato abbastanza inosservato il divieto da parte di parte della Commissione Europea ai suoi dipendenti di utilizzare TikTok, sulle auto elettriche Pechino non sembra infatti disposta ad adottare toni concilianti in questa occasione.
Il rischio è di non poco conto, alla luce del fatto che la Cina ha già mostrato la capacità di saper ovviare a provvedimenti e divieti congegnati per metterla in difficoltà. Come è accaduto di recente per il bando sui chip destinati a Huawei, di fronte al quale l’azienda ha reagito rafforzando i legami coi produttori locali. Una mossa che ha confermato in tal modo quanto già rivelato in un rapporto di UBS, ovvero la capacità di fare sistema delle aziende cinesi.
Una capacità la quale potrebbe ben presto rivelarsi decisiva, proprio di fronte al tentativo da parte dell’UE di colpire le sue case automobilistiche. Alla fine potrebbe quindi accadere proprio quello che è sempre più temuto dal governo tedesco, ovvero una risposta cinese di forza tale da rivelarsi un maglio per la propria industria. Proprio per questo Berlino si è per il momento defilata sulla questione.