La querelle tra Tesla e i sindacati svedesi rischia di deflagrare letteralmente. La casa automobilistica, infatti, ha deciso di intentare una causa contro l’Agenzia dei trasporti del Paese nordico dopo che gli impiegati delle poste hanno iniziato a bloccare la consegna delle targhe per le auto dell’azienda.
Il motivo di questo atto è abbastanza prevedibile: gli impiegati delle poste svedesi hanno deciso di bloccare le consegne delle targhe a Tesla in segno di solidarietà con i lavoratori che stanno scioperando ormai da tempo negli stabilimenti locali del gruppo californiano. La questione che sta rivelandosi sempre più seria è collegata al comportamento antisindacale di Tesla, contraria alla presenza dei sindacati all’interno dei propri siti produttivi.
Un comportamento che ha spinto il sindacato IF Metall a passare all’offensiva quando Tesla ha rifiutato la sottoscrizione di un contratto collettivo. Il fronte si era già allargato in precedenza, con l’appoggio dei lavoratori portuali ai loro colleghi impiegati nella fabbrica svedese di Tesla. Ora si sono aggiunti anche gli impiegati delle poste e il gruppo di Elon Musk ha deciso di passare alla controffensiva.
Tesla in Svezia: cosa sta accadendo?
Come è ormai risaputo, Tesla non gradisce i sindacati. la sua arroganza, però, non è gradita dalla controparte, come dimostra la decisione della United Automobile Workers (UAW), che ha dato vita ad una lotta tesa a consentire anche la sindacalizzazione dei lavoratori statunitensi del gruppo.
In Svezia, però, i sindacati sono estremamente combattivi e, soprattutto, molto organizzati. Sono cioè capaci di dare vita ad azioni solidali tra varie categorie, in grado di pesare molto sul tavolo delle trattative. Il caso in oggetto lo dimostra con tutta evidenza. I lavoratori dell’automotive, infatti, hanno potuto contare sul sostegno dei portuali e dei postelegrafonici, facendo deflagrare una vera e propria guerra.
Ne sono conseguiti scioperi e blocchi, tesi a spezzare la resistenza del gruppo di Elon Musk. L’accordo di contrattazione collettiva riguardante i dipendenti della sua divisione servizi, compresi tecnici e meccanici che riparano e mantengono le auto dei clienti, va ben al di là degli effetti pratici che potrebbe riversare sui lavoratori in lotta.
In gioco è proprio il principio della rappresentanza, sul quale i sindacati non possono derogare. Ove lo facessero, infatti, verrebbe messa in discussione proprio la loro effettiva funzione e validità. Con ricadute pericolosissime sul fronte delle relazioni industriali. Non c’è da stupirsi, quindi, della capacità di organizzazione che IF Metall sta riversando nella contesa.
Cosa sostiene Tesla
Tesla, però, non sembra intenzionata a piegare il capo. L’azienda, infatti, sostiene che il governo svedese ha un “obbligo costituzionale di fornire targhe di immatricolazione ai proprietari di veicoli”. Ha quindi deciso di avviare una causa contro l’esecutivo, che è stata depositata presso il tribunale distrettuale di Norrköping. Secondo Bloomberg, la casa statunitense ha citato in giudizio anche il servizio postale.
L’atto legale afferma che Tesla ha consegnato 9.167 auto in Svezia nel 2022 e che la Model Y è l’auto più venduta nel paese finora, nel 2023. Affermazioni che, però, sembrano esulare del tutto dalla questione oggetto della contesa. Il portavoce dell’azienda, interpellato al proposito, non ha per ora rilasciato alcun commento, come del resto il governo svedese.
Il documento in questione è stato comunque consultato da CNBC, che ha posto il suo accento su questa affermazione contenuta al suo interno: “Questo sequestro di targhe costituisce un attacco discriminatorio senza alcun supporto legale nei confronti di Tesla. Questa misura non può essere descritta altrimenti se non come un attacco unico contro una società che opera in Svezia”.
Anche Elon Musk ha voluto intervenire, naturalmente a gamba tesa, come è del resto sua abitudine. Il CEO di Tesla, ha infatti dichiarato lo scorso giovedì: “Questo è pazzesco”. Lo ha fatto in un messaggio pubblicato su X, il sito in precedenza noto come Twitter. Il problema svedese, però, rischia di rivelarsi molto grave per la casa californiana. Nei Paesi nordici, infatti, i sindacati vantano un grado di legittimazione molto forte, derivante proprio da una combattività di lunga data.
Non solo Svezia
Occorre però sottolineare che il caso svedese non è l’unico che vede Tesla sotto accusa da parte dei sindacati. Proprio in queste ore, infatti, dall’altro lato dell’oceano, il National Labour Relations Board ha respinto le affermazioni secondo cui la casa avrebbe licenziato illegalmente lavoratori che si stanno occupando del software Autopilot in una fabbrica di New York nell’intento di porre fine al tentativo di organizzarsi dal punto di vista sindacale.
La denuncia era stata presentata nel mese di gennaio da Workers United, un sindacato che cerca di organizzare i lavoratori della “gigafactory” di Tesla a Buffalo, New York. A originarla il fatto che, secondo la centrale sindacale, pochi giorni dopo l’annuncio di una campagna sindacale all’inizio di quest’anno, l’azienda aveva provveduto a inviare lettere di licenziamento a dozzine di lavoratori del suo dipartimento Autopilot.
Una denuncia cui Tesla ha controbattuto affermando che i licenziamenti si basavano invece su valutazioni delle prestazioni, senza alcun legame con l’attività sindacale. Si tratta però di una vittoria a metà, per la casa del miliardario di origini sudafricane. Il funzionario del National Labour Relations Board, infatti, ha ritenuto al contrario fondate due accuse separate in base alle quali cui Tesla avrebbe mantenuto una regola illegale sull’uso accettabile della tecnologia sul posto di lavoro e avrebbe sollecitato illegalmente le lamentele dei dipendenti in risposta all’organizzazione sindacale.
A ricordarlo è stata Kayla Blado, portavoce dell’NLRB. Ricordando al contempo che nel caso in cui Tesla non riesca a dare risposte esaurienti in tal senso, lo stesso ente sarà costretto a presentare un reclamo contro la società, destinato a finire in un tribunale amministrativo.
Per Tesla si prospettano tempi duri
A stupire nella questione svedese è soprattutto l’incapacità di Tesla di calarsi in una realtà particolare come quella nordica. Una realtà dove le proteste sindacali sono dure e, soprattutto, coordinate. A dimostrarlo è il fatto che una cinquantina di lavoratori che producono componenti in alluminio presso Hydro Extrusions, una filiale della società norvegese Hydro, sono rimasti a casa o sono stati assegnati ad altre mansioni, fino a nuovo ordine.
È stato il segretario di IF Metall, Veli-Pekka Saikkala a ricordare cosa significhi tutto ciò: “Consegnano componenti alla gigafactory Tesla di Berlino, speriamo in tal modo di costringere l’azienda a tornare al tavolo delle trattative.” Nel farlo ha anche aggiunto che Hydro Extrusions rappresenta l’unico fornitore di profilati in alluminio per Tesla, lungo il territorio europeo.
A preoccupare Tesla dovrebbe però essere la chiusa di Saikkala. Il numero uno di IF Metall, infatti, ha aggiunto che il sindacato è pronto a intensificare il conflitto nel caso in cui Tesla continuasse nel suo rifiuto a firmare l’accordo. Il motivo è in fondo molto semplice: “Questa lotta è molto, molto importante. È così importante che non possiamo permetterci di cedere. È importante per noi ma anche per l’intero mercato del lavoro svedese“.
Non resta quindi che attendere i prossimi sviluppi di querelle che sembra salire d’intensità giorno dopo giorno. E nella quale, alla fine, i danni d’immagine per Tesla potrebbero essere talmente gravi da andare ben oltre la mancata consegna dei veicoli prodotti in Svezia.