Veicoli connessi, ora la crociata degli Stati Uniti contro le auto cinesi investe anche il Messico: vediamo perché

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Una ventina di rappresentanti democratici del Congresso chiede al presidente Sheinbaum una revisione della linea pro cinese
Aiways U6

Nella loro crociata contro i veicoli connessi provenienti dalla Cina, gli Stati Uniti sembrano ora propensi a mostrare i muscoli anche nei confronti del proprio vicino meridionale, il Messico. Un gruppo di una ventina di deputati democratici del Congresso, infatti, hanno esortato martedì la presidente eletta del Messico, Claudia Sheinbaum, ad affrontare le preoccupazioni per la sicurezza nazionale sollevate dai veicoli connessi a Internet prodotti dalle case automobilistiche cinesi in Messico.

Il motivo della richiesta è da individuare nel fatto che le aziende cinesi si apprestano a costruire stabilimenti per l’assemblaggio dei propri veicoli elettrici all’interno del territorio messicano. E potendo approfittare del trattato di libero scambio tra Messico, Stati Uniti e Canada, ne farebbero una vera e propria testa di ponte per entrare egualmente negli Stati Uniti, senza peraltro dover pagare i dazi del 100% proposti dall’amministrazione Biden.

Veicoli connessi: gli Stati Uniti premono ora sul Messico

Ormai, tutte le automobili e i camion moderni sono provvisti di hardware di rete di bordo in grado di fornire accesso a Internet. In tal modo, consentono loro la condivisione di dati con dispositivi sia all’interno che all’esterno del veicolo. Sinché a farlo sono veicoli statunitensi o degli alleati, il governo USA non esterna alcun genere di preoccupazione. L’atteggiamento muta se, però, a prospettare tale ipotesi sono i veicoli connessi cinesi.

BYD interno di un veicolo

Gli Stati Uniti, infatti, temono che il Paese del Dragone, rivale strategico ed economico e al tempo stesso partner commerciale, intenda utilizzare i dati raccolti dai veicoli connessi a fini di sorveglianza. Sino all’ipotesi estrema, ovvero il controllo a distanza tramite Internet e sistemi di navigazione. Nel caso scoppiasse un conflitto tra i due Paesi, in pratica, Pechino sarebbe in grado di fermare milioni di vetture in ogni parte del Paese.

Proprio in considerazione di questa ipotesi, anche se non si capisce perché dovrebbe scoppiare un conflitto tra i due Paesi, una ventina di rappresentanti democratici, capeggiati dal senatore Sherrod Brown e dalla deputata Elissa Slotkin, hanno inviato una missiva alla nuova presidente Claudia Sheinbaum. Un approccio che, a voler essere maliziosi, si spinge ai limiti del neo-colonialismo.

In pratica, si chiede alla Sheinbaum, eletta nell’ambito di una coalizione di sinistra, di revisionare la propria linea verso la Cina. E, ancora, di inviare una delegazione negli Stati Uniti entro l’inizio del prossimo anno, per un giro di colloqui. Queste le motivazioni espresse nella comunicazione, firmata anche dai senatori Debbie Stabenow, Gary Peters e Tammy Baldwin: “Riteniamo che questa massa di dati, sotto il controllo del Partito Comunista Cinese, costituisca una minaccia alla sicurezza nazionale”.

Il divieto sui software e hardware cinesi fa discutere non poco

La vicenda che potrebbe surriscaldare nuovamente i rapporti tra Washington e Pechino, ha avuto inizio la passata settimana. Ovvero quando il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha avanzato l’ipotesi di vietare l’utilizzo di software e hardware cinesi nei veicoli connessi sulle strade americane.

Ove tale proposta fosse accolta, sarebbe in pratica interdetto l’accesso sulle strade statunitensi alle auto e ai camion cinesi. Andando inoltre ad allargare il divieto alla circolazione dei nuovi veicoli prodotti in Messico dalle case automobilistiche cinesi. Resta però il dato di fatto rappresentato dall’accordo di libero scambio tra i Paesi del Nord America a rendere difficilmente praticabile questa strada. E non a caso alcuni gruppi cinesi, a partire da BYD, intendono impiantarsi in Messico.

BYD Atto 3

La Cina ha naturalmente provveduto a respingere al mittente le affermazioni degli Stati Uniti. Non senza affermare dal suo canto che la mossa americana, oltre a non avere alcuna base di fatto, va a violare i principi dell’economia di mercato e della concorrenza leale, sino a rappresentare un tipico approccio protezionistico. Tanto più contraddittorio per il Paese che si proclama paladino del libero mercato.

Intanto, il provvedimento sui veicoli connessi rischia di rivelarsi un boomerang

Il governo degli Stati Uniti, a sua volta, ha sottolineato come le case automobilistiche cinesi abbiano aperto una importante breccia nel mercato messicano. Un dato di fatto tale da destare notevoli preoccupazioni a Washington. E proprio BYD viene richiamato nella missiva alla Sheimbaum, vedendo nella costruzione di un suo stabilimento un aumento delle possibilità che le aziende cinesi tentino di aggirare i dazi statunitensi producendo in Messico.

Intanto, però, inizia a montare la preoccupazione delle case statunitensi, che dipendono in maniera molto forte da software e hardware di fabbricazione cinese. Oltre che dalla possibilità di produrre in Cina a costi più contenuti. Come accade a Lincoln per il suo Navigator, il veicolo di maggior successo, il quale sarebbe anch’esso bandito in patria. Trasformando il provvedimento in un boomerang.

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