Volkswagen AG sta valutando una chiusura di stabilimenti senza precedenti in Germania, con una prospettiva che sembra ormai inevitabile, ovvero lo scontro con quei sindacati che nel Paese hanno una potenza di fuoco impressionante. E che non sembrano disposti a fare sconti all’azienda di Wolfsburg, in un momento in cui l’industria più importante del Paese lotta per il proprio futuro.
Tra le possibili misure messe in cantiere dai vertici aziendali, ce n’è peraltro una altamente simbolica. Il riferimento è al patto trentennale siglato da VW e rappresentanti dei lavoratori. Un patto siglato nel preciso intento di mantenere sicuri i posti di lavoro. Lunedì, la casa tedesca non ha avuto eccessivi peli sulla lingua, affermando che anche questo accordo potrebbe essere sacrificato alla necessità di risanare i conti.
La crisi di Volkswagen si avvia verso un asse inclinato
Nel settembre di un anno fa, Daniela Cavallo, sindacalista di origini italiane già nota per aver contribuito fattivamente all’allontanamento di Herbert Diess dal timone del gruppo, fece un’affermazione che sollevò non poche inquietudini: “È in arrivo una tempesta perfetta“.
Un pronostico che sta tornando prepotentemente d’attualità in questi giorni, di fronte all’aggravarsi della crisi della casa di Wolfsburg. Volkswagen, infatti, si trova a dover convivere con una compressione sempre più pronunciata dei margini di profitto. Resa tale anche dalle difficoltà con cui sta avanzando quella transizione verso l’auto elettrica su cui erano state puntate molte risorse.
Il rallentamento della spesa da parte dei consumatori ha reso la situazione talmente critica da evocare uno spauracchio cui era difficile credere sino a qualche anno fa. Il riferimento è a quelle chiusure in Germania che sarebbero le prime nella storia del marchio. Una storia che dura da 87 anni senza mai registrare macchie di questo genere.
La borsa reagisce bene, ma…
Le azioni VW, dopo la diffusione della notizia, hanno chiuso in rialzo dell’1,3% riducendo le perdite di quest’anno al 13%. La borsa, però, non compra veicoli, che è il core business dell’azienda. Un settore nel quale, peraltro, il marchio tedesco si trova di fronte ad una concorrenza molto serrata. Tanto da spingere il CEO, Oliver Blume, ad affermare: “L’ambiente economico è diventato ancora più duro e nuovi attori stanno spingendo verso l’Europa. La Germania come sede aziendale sta ulteriormente arretrando in termini di competitività”.
Lo spauracchio di una vera e propria vertenza sindacale è intanto tornato ad affacciarsi dalle parti di Wolfsburg. A renderlo tale il fatto che alcune di quelle precedenti hanno lasciato sul campo diversi dei predecessori di Blume. A riprova della potenza dei sindacati tedeschi.
D’altro canto, riuscire ad aumentare i rendimenti aziendali è diventato più difficile a causa di costi logistici, energetici e di manodopera più elevati. Il margine di Volkswagen è sceso al 2,3% durante il primo semestre, rispetto al 3,8% di un anno fa. Senza contare la perdita di slancio nel suo mercato più grande, la Cina, ove la sua gamma di modelli EV è molto indietro rispetto ai concorrenti.
Il mutamento del quadro politico
L’imminente scontro in una delle più grandi aziende tedesche potrebbe arrivare in un momento politico molto particolare. Il quadro istituzionale è sempre più messo in difficoltà dalle grandi affermazioni delle ali estreme, sia a destra che a sinistra.
Basta guardare in tale ottica i risultati delle regionali che si sono svolte domenica in due stati della Germania orientale. Ove la SPD dell’attuale cancelliere Olaf Scholz e ai suoi due partner di coalizione, Verdi e liberali, sono stati severamente. Alternative für Deutschland ha colto il secondo posto in Sassonia, dove la VW possiede uno stabilimento di produzione di veicoli elettrici a Zwickau, e ha vinto le elezioni nella vicina Turingia.
La bastonata ricevuta dall’elettorato è stata quindi fortissima, per la SPD, tradizionalmente vicina ai sindacati. Una vicinanza immediatamente ribadita da Bernd Westphal, portavoce della politica economica, il quale si è così espresso su quanto sta accadendo in VW: “Sono profondamente preoccupato che la dirigenza del Gruppo VW non escluda più chiusure di stabilimenti e licenziamenti obbligatori”. Lo ha affermato in una conversazione con Bloomberg News, per poi aggiungere: “Il gruppo parlamentare della SPD è fermamente dalla parte dei dipendenti e si aspetta colloqui costruttivi”.
Volkswagen potrebbe chiudere una fabbrica di auto e una di componenti
Le preoccupazioni della SPD sono del resto giustificate dai numeri. Il gruppo ha circa 650.000 addetti in ogni parte del globo. Di questi poco meno della metà, 300mila, sono in Germania. Metà dei seggi nel consiglio di sorveglianza dell’azienda sono occupati da rappresentanti dei lavoratori e lo stato della Bassa Sassonia, che detiene una quota del 20%, spesso si schiera con gli organismi sindacali.
Il sistema in questione è in effetti molto particolare. In pratica, la famiglia Porsche-Piech, che detiene il 53% delle quote azionarie, deve convivere coi sindacati e cercare di averne il consenso per le decisioni più importanti.
Sindacati in cui spicca la figura di Daniela Cavallo, la presidente del consiglio di fabbrica nota alle cronache per l’allarme lanciato un anno fa. Allarme che sembra confermato dalle valutazioni in corso all’interno dell’azienda. Relative alla chiusura di almeno una grande fabbrica per la produzione di automobili e di un sito di componenti in Germania, oltre che all’abolizione degli accordi salariali.
Potrebbe saltare anche il modello di SUV elettrico in programma dal 2026
Ad essere messi in discussione, non sono soltanto i siti produttivi, ma anche la strategia precedentemente impostata. A partire dalla produzione di un modello di SUV elettrico compatto presso il principale sito di produzione di automobili a Wolfsburg a partire dal 2026. Considerato fondamentale dal consiglio di fabbrica per riempire la capacità del sito, la sua cancellazione si aggiungerebbe al ritardo dei lavori per il modello Trinity, attualmente pianificato per Zwickau.
I piani di VW per ulteriori tagli seguono un annuncio di luglio che evocava la potenziale chiusura di un sito a Bruxelles che produceva Audi elettriche. Occorre anche ricordare che già lo scorso anno la Volkswagen ha prodotto “appena” 9 milioni di veicoli, a fronte di una capacità produttiva totale di 14 milioni. Segno evidente delle difficoltà attraversate dall’azienda, tali da spingere la Bassa Sassonia ad affermare di sostenere gli sforzi volti a ridurre i costi. Lo stesso Stato, però, ha poi aggiunto che dovranno essere valutate opzioni alternative alle chiusure, nei colloqui con i rappresentanti dei sindacati.
Queste le parole di Stephan Weil, primo ministro locale e membro del consiglio di sorveglianza VW, al proposito: “Ci aspettiamo che il problema delle chiusure di fabbriche non si presenti grazie all’uso riuscito di alternative. Il governo statale presterà particolare attenzione a questo aspetto”.
I precedenti del passato
La speranza è naturalmente di trovare un accordo in grado di evitare una rotta di collisione. Una speranza condivisa da Blume, su cui aleggia lo spettro degli scontri passati, che hanno posto fine ai mandati di molti dirigenti di alto livello, tra cui l’ex CEO Bernd Pischetsrieder, l’ex responsabile del marchio Wolfgang Bernhard e il già citato Herbert Diess. Partiti per suonare in nome dell’efficienza, sono tutti stati travolti dall’esito finale della contesa.
In questa occasione, a rendere più complicato il tutto è il malessere economico della Germania. Il governo guidato da Scholz è estremamente impopolare, come dimostrato dai risultati del fine settimana. E proprio una sua decisione, l’improvvisa rimozione degli incentivi per i veicoli elettrici, è considerata la causa del calo di vendite in atto nel più grande mercato automobilistico europeo. Un calo che colto alla sprovvista importanti fornitori come Robert Bosch, ZF Friedrichshafen e Continental.
Di fronte a questa crisi, il Ministero dell’Economia ha naturalmente riproposto la concertazione su cui si fonda il modello tedesco. Basta leggere questa dichiarazione, al proposito: “L’industria automobilistica sta affrontando sfide importanti in tutto il mondo e sta subendo una profonda trasformazione che richiede alle aziende di prendere decisioni strategiche. È essenziale che le aziende e il management agiscano in modo responsabile e in stretta consultazione con i partner sociali”.
Resta da capire se ci sarà realmente spazio di manovra, per questa opzione. L’ultima volta che la Volkswagen ha chiuso una grande fabbrica di automobili è stato più di 30 anni fa, con l’addio a quello che all’epoca era il suo unico stabilimento di assemblaggio negli Stati Uniti, vicino a Pittsburgh. L’augurio è che ora non tocchi alla Germania stessa.