Volkswagen, secondo il responsabile finanziario Arno Antlitz, potrebbe chiudere entro uno o due anni

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Volkswagen, risuonano le parole del responsabile finanziario Arno Antlitz: potrebbe chiudere entro uno o due anni
Sede Volkswagen

La crisi della Volkswagen sta assumendo contorni sempre più gravi, ora dopo ora. A confermare l’assunto è stato Arno Antlitz, responsabile finanziario della VW, il quale ha avvertito che la casa tedesca dispone di appena “uno, forse due anni” per rilanciare il marchio principale Volkswagen.

Il dirigente ha spiegato la gravità della situazione della VW nel corso di un incontro coi lavoratori che ha avuto come teatro la sede centrale dell’azienda a Wolfsburg. Un incontro che ha assunto toni drammatici, durante il quale Antlitz ha anche affermato che le vendite non potranno tornate ai livelli precedenti alla comparsa del COVID.

La ricetta individuata dai vertici aziendali può essere considerata in effetti draconiana. Resta solo da capire se i sindacati tedeschi, i quali sono notoriamente molto agguerriti, saranno d’accordo sulla stessa. L’autunno si preannuncia molto caldo anche dalle parti di Berlino.

Volkswagen ha solo uno, al massimo due anni, per salvarsi

L’annuncio dato qualche giorno fa da Volkswagen, sulla ventilata chiusura di due stabilimenti, di cui uno in Germania, ha avuto vasta eco a livello mondiale. Nei suoi quasi novanta anni di storia, infatti, la casa automobilistica tedesca non aveva proceduto alla soppressione di un sito produttivo all’interno dei confini nazionali. Un motivo di vanto che ora potrebbe lasciare il posto alle necessità di risanare i conti per riuscire a resistere in un mercato sempre più problematico.

Una fabbrica Volkswagen

Ora, però, le parole pronunciate dal suo responsabile finanziario, Arno Antlitz, rischiano di ingenerare un vero e proprio psicodramma. Secondo quanto affermato nel corso di un incontro coi lavoratori, VW deve cercare di raddrizzare le sorti entro uno o al massimo due anni. In caso contrario, la prospettiva di un clamoroso ridimensionamento, o anche peggio, sarebbe dietro l’angolo.

Alla luce di queste parole, la chiusura di due stabilimenti, di cui uno in Germania, con il conseguente taglio di almeno mezzo milione di autoveicoli nella produzione annuale, potrebbe anche rivelarsi insufficiente per riuscire a conseguire gli obiettivi di risanamento sbandierati.

La situazione è sempre più grave

L’annuncio di Antlitz ha naturalmente acuito le preoccupazioni dei lavoratori. Tanto da rendere quasi surreali le celebrazioni per i 50 anni della Golf, uno dei modelli più iconici mai prodotti dalla casa tedesca. Secondo i convenuti all’incontro in questione bastava guardare i visi tristi o angosciati dei lavoratori, per capire cosa sta accadendo.

Alla riunione, che si è tenuta presso la sede centrale di Wolfsburg, ha preso parte anche Olivier Blume, il CEO di VW. Oltre naturalmente ai sindacati, che sono ormai sul piede di guerra. Sindacati che, del resto, avevano avvertito per tempo di quanto stava accadendo, come confermano le parole di Daniela Cavallo, pronunciate poco meno di un anno fa.

La combattiva sindacalista di origini italiane, all’epoca, non aveva avuto particolari remore nell’avvertire sull’approssimarsi di una tempesta perfetta. Oggi la tempesta è arrivata e la risposta dell’azienda potrebbe andare, come al solito, a colpire i lavoratori. Quando si parla di tagli, infatti, il riferimento è sempre lo stesso e si concretizza in licenziamenti. Stavolta, però, le proporzioni degli stessi potrebbero essere epocali. Anche perché il netto peggioramento del quadro economico in atto, non solo a livello europeo, potrebbe comportare la necessità di ulteriori provvedimenti.

Volkswagen, cosa faranno ora i sindacati?

Durante il meeting, Antlitz ha cercato di spiegare ai presenti i motivi della crisi. Ha infatti ricordato come il mercato automobilistico europeo si è contratto durante e dopo la pandemia. Aggiungendo che difficilmente tornerà ai livelli esaltanti pre-Covid in tempi brevi, come riportato da Reuters. Anche perché la politica europea sembra più interessata a produrre armi da spedire in Ucraina, che beni di consumo.

Il calo della domanda in atto, conseguente ad una crisi economica sempre più evidente, si è poi mixato con un’adozione dei veicoli elettrici che sta segnando il passo. In conseguenza di ciò, secondo i vertici del marchio Volkswagen venderà mezzo milione di auto in meno all’anno. In questa situazione o si raddrizza la barca, oppure entro uno o due anni potrebbe arrivare un’ulteriore scossone, le cui conseguenze potrebbero essere irreparabili.

Come ricordato da The Guardian, all’inizio di questa settimana, la VW ha informato il suo consiglio di fabbrica dei piani per chiudere due stabilimenti. Uno degli stabilimenti sarebbe un impianto di produzione di automobili e l’altro un impianto di componenti. Si tratterebbe di una clamorosa prima volta, considerato che anche durante altri momento complicati la casa non aveva mai neanche pensato di procedere in questo modo.

Una fabbrica Volkswagen

I dipendenti del gruppo in Germania sono naturalmente furiosi per le novità evocate dalla dirigenza. Con il potente sindacato IG Metall che non ha escluso l’ipotesi di uno sciopero. Occorre sottolineare, comunque, che i problemi di Volkswagen non si limitano al vecchio continente.

L’Asia non è più la gallina dalle uova d’oro

Un ruolo di primo piano nella crisi del brand teutonico spetta anche al nuovo quadro che si sta realizzando in Asia. Il continente che un tempo era una sorta di gallina dalle uova d’oro per VW, ora non lo è più. Tanto da spingere il CEO Oliver Blume ad affermare: “Non ci sono più assegni in arrivo dalla Cina”.

A riferire queste parole è ancora Reuters, ricordando che le difficoltà orientali sono da collegare da un lato all’accresciuta concorrenza e dall’altro alla difficoltà di rincorrerla sul fronte dei prezzi. In soldoni, le vetture elettriche cinesi viaggiano su livelli di prezzo che sono impossibili da reggere. E non solo per la Volkswagen.

Una situazione molto delicata, la quale potrebbe poi ulteriormente aggravarsi con la guerra dei dazi in atto tra il Paese del Dragone e l’Unione Europea. Volkswagen, che ha nel mercato cinese un ruolo di spicco, potrebbe trovarsi a pagare un prezzo salatissimo ai furori che caratterizzano le decisioni della Commissione Europea. Un dato di cui a Wolfsburg sono del resto assolutamente consapevoli.

Lo stesso Oliver Blume, nel tentativo di indorare la pillola ai sindacati, ha poi affermato che la perdita di posti oggi renderebbe possibile non doverne tagliare molti di più nel futuro. Per poi aggiungere: “L’industria automobilistica è cambiata radicalmente nel segmento dei volumi in pochi anni. Insieme, implementeremo misure appropriate per diventare più redditizi. Stiamo riportando VW dove il marchio appartiene: questa è responsabilità di tutti noi”. Una responsabilità i cui oneri, però, potrebbero essere addossati ai soli lavoratori.

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