Quando il Groupe Psa – il produttore francese di automobili Peugeot, Citroën, Opel e Vauxhall – e Fiat Chrysler Automobiles (Fra) hanno annunciato un accordo vincolante per la fusione, il CEO di FCA Mike Manley ha detto che la mossa avrebbe concretizzato quello che molte volte è stato solo teorizzato in precedenza, ovvero il consolidamento intelligente dell’industria. Se si rivelerà davvero così è un giudizio da riservare ai posteri. Ma la fusione è già chiaramente uno dei tanti possibili modelli di consolidamento in un settore alle prese con enormi cambiamenti.
Una fusione Fca-Psa di nuova costituzione – ancora senza nome – promette punti di forza complementari e alcune efficienze, per non parlare della creazione della quarta Casa più grande del mondo. La compagnia in procinto di vedere la luce comprenderà marchi destinati prevalentemente al lavoro o comunque all’off-road come Jeep e Ram, oltre alle più sportive Alfa Romeo, Maserati e Peugeot.
Fusione Fca-Psa: successo non garantito
Ma la diversità e la popolarità dei brand non sono sufficienti a garantire la sopravvivenza in un’epoca in cui il settore tradizionale si trova ad affrontare minacce ad ogni piè sospinto, in particolare, forse, da colossi tecnologici in imperterrita espansione.
Tutti i costruttori sono chiamati a definire il modo di far progredire le loro capacità e i progressi nel campo dei veicoli e dei dispositivi elettrici, autonomi e collegati – continuando al tempo stesso a gestire la loro tradizionale attività di vendita di mezzi con motore a combustione interna a privati per uso personale, dice il professore di management di Wharton John Paul MacDuffie.
Dalla prospettiva della ricerca e sviluppo, questo richiede molto capitale e molta esperienza e accesso al talento tecnico, preannuncia MacDuffie, direttore del Program on Vehicle and Mobility Innovation (PVMI) presso il Mack Institute for Innovation Management di Wharton. Le imprese tecnologiche hanno vantaggi naturali nell’attrarre capitali e talenti.
Fusione Fca-Psa: le prossime sfide
Quelle operanti nella mobilità dispongono del vasto bagaglio di conoscenze accumulate nella progettazione e costruzione di un’ampia varietà di mezzi, nella gestione di una complessa catena di fornitura globale, nel soddisfare i requisiti normativi e nel detenere la responsabilità legale per la qualità e la sicurezza, ecc. Quindi, un modo di affrontare le prossime sfide è la fusione, quanto il mai dimenticato amministratore delegato Sergio Marchionne ha frequentemente sottolineato – e cercato – nei suoi anni di gestione prima di Fiat e poi di FCA.
Date le pressioni degli attori esterni e le conseguenze scaturite, il matrimonio sembra avere senso. Se viene preso a riferimento il quadro generale, l’intera direzione mira a creare conglomerati via via più grandi per ottenere economie di scala, asserisce Paul A. Eisenstein, editore e caporedattore di The Detroit Bureau. D’altra parte le ditte sono colpite da sfide di proporzioni e tendenze senza precedenti, la cui destinazione finale è incerta.
Non solo hanno l’obbligo di rimanere competitive nei segmenti di prodotto tradizionali, ma si trovano ad affrontare un massiccio e globale spostamento di ciò che i consumatori acquistano – dalle tradizionali autovetture ai SUV e, soprattutto negli Stati Uniti, ai pick-up. E non consiste in una transizione economica, puntualizza Eisenstein a Businessamlive. Peraltro, devono far fronte alla spinta per quello che i professionisti chiamano CASE – Connected, Autonomous, Shared ed Electric.
Essi scaricheranno decine di miliardi di dollari all’anno collettivamente su tecnologie per le quali non è ancora chiaro se il cliente le voglia davvero, o se potranno mai causare profitti reali. Quindi, le dimensioni paiono avere importanza in un momento in cui i player stanno spendendo somme di denaro pazzesche e nessuno può dire con certezza se si tradurranno o meno in benefici per il business nella sua globalità.
Più che la mera utilità
La fusione Fca-Psa avviene proprio nel periodo in cui una vettura viene ridefinita in maniera radicale. Si tratta ancora, naturalmente, di andare dal punto A al punto B, e con uno stile alquanto personale. Ma la domanda sta spiegando sia alle aziende automobilistiche sia a quelle tecnologiche cosa vogliono, e le macchine oggi restano in ascolto – letteralmente.
Sempre più spesso sono dotate di telecamere, microfoni e sensori. La connessione può aiutare a reperire un parcheggio o un posto per cenare. Le quattro ruote sono ora in grado di comunicare tra loro e di condividere informazioni sulle condizioni ambientali, o sulle abitudini di guida a una compagnia di assicurazioni da prendere in considerazione nella valutazione delle tariffe.
Il sistema raccoglie e invia anche dati da monetizzare. Finora gli attori hi-tech hanno avuto una marcia in più rispetto agli automotive nello sfruttamento dei dati. Il software CarPlay di Apple e il software Android Auto di Google si interfacciano direttamente con gli smartphone anziché con la macchina in sé. Ma le aziende stanno affinando l’abilità di capitalizzare le info specifiche.
Gli accordi in atto
La questione di come investire efficacemente nell’hi-tech è il propulsore più potente del ramo al momento, evidenzia MacDuffie. Una vera e propria fusione è un approccio. Poiché si sono manifestate diverse problematiche o fallimenti in precedenza, l’approccio è però di generale prudenza. Citando lo stesso MacDuffie, Volkswagen e Ford si sono coalizzate per ottimizzare l’impianto elettrico.
Honda e Cruise (una consociata GM) sono invece partner per l’autonomia. Mercedes e BMW cooperano su esigenze attinenti ai servizi di mobilità e allo sviluppo autonomo. Strategie un po’ nebulose, manovre non tanto visibili. Si disgregano e scompaiono in modalità che le fusioni di solito non hanno. Alcuni abbandonano tranquillamente le sinergie del passato.
Se, d’altronde, certe società sanno elaborare nuove linee di prodotto di successo attraverso alleanze piuttosto che fusioni a pieno titolo – pronostica MacDuffie – tali partnership potrebbero diventare più attraenti in futuro. In una fusione, scovare aspetti in comune è un fattore critico di affermazione.
Il fatto che Psa abbia svolto un buon compito assorbendo la Opel costituisce per MacDuffie un segno positivo delle competenze maturate nel comparto. E c’è una differenziazione della gamma. Gli europei non hanno Jeep, grandi SUV e pick-up che garantiscono margini e profitti tali da tenere la Chrysler lontano dai guai. In compenso, Fiat Chrysler copre parecchi segmenti di massa, e così pure Psa e Opel.
PSA: l’espansione negli Stati Uniti
Attualmente priva di radicata presenza negli Stati Uniti, Psa avrà accesso ai concessionari Chrysler e un bel mix di sovrapposizione e differenziazione che, almeno sulla carta, sembra conveniente, in termini di realizzazione.
Tuttavia, avverte MacDuffie, non è semplice per un rivenditore Chrysler negli USA cominciare a piazzare le Citroen giusto perché sono sotto lo stesso proprietario. Le cessioni delle Fiat mediante i concessionari Fca negli States sono state piuttosto modeste.
Naturalmente non si sa finora granché sulla fusione Fca-Psa, avviata con la firma a dicembre di un memorandum d’intesa, ma che potrebbe non essere completata fino alla fine del 2020 o all’inizio del 2021. Il quesito numero uno che il professore emerito di management di Wharton John R. Kimberly, il cui portafoglio di consulenza ha incluso il lavoro per Toyota, desidererebbe porre è sulla leadership che la renderà vincente, perché ciò che serve è una forma speciale.
Il nodo è creare o aiutare due aziende concorrenti. Hanno una percezione molto negativa l’una dell’altra, finché, all’improvviso, si innamorano. È un’esagerazione, ovviamente, ma quando si guarda alla storia delle fusioni di qualsiasi tipo ci si imbatte sempre in annose domande tipo se sappiamo chi siamo e se conosciamo l’attività svolta. È fondamentale accantonare la precedente percezione e fare insieme il salto nel vuoto.
A scuola di leadership
Guardando indietro alle nozze tra Fiat e Chrysler, Kimberly lo reputa un disastro. Nel tempo Marchionne ha però avuto la visione e la tenacia per accertarsi il funzionamento, per esercitare la pressione adatta sul giusto tipo di personale: è la leadership. E poi c’è Carlos Ghosn, l’ex presidente della Nissan è fuggito dal Giappone in attesa di giudizio con l’imputazione di cattiva condotta finanziaria. Egli ha respinto le accuse ed è un latitante.
L’amministrazione di Ghosn è una best practice che impone di essere lungamente esaminata. Ha tenuto insieme Renault, Nissan e Mitsubishi. E questo, ovviamente, non si è risolto al meglio per motivi discussi pubblicamente e a caldo. Ghosn ha esagerato oppure – chiede Kimberly – è stato sabotato dai giapponesi? Allora, nell’era post-Marchionne alla Fiat-Chrysler, come verrà approcciata la complicata missione a livello transnazionale e interculturale?
Carlos Tavares: tra i migliori CEO su piazza
A tale riguardo, la fusione Fca-Psa è fortunata per Eisenstein ad avere il presidente e CEO di Psa Carlos Tavares. Se Tavares andrà avanti ad operare come ha fatto, l’unione avrà uno dei migliori CEO su piazza. È un accanito appassionato, nell’accezione classica del termine, con la “benzina nelle vene”. Gareggia diversi fine settimana l’anno, è un pilota serio, ha una collezione di auto vecchie e nuove. È un vero portento.
Quando è entrato nel suo organigramma, Psa era in assoluto collasso. La famiglia fondatrice della Peugeot ha dovuto finalmente vendere la sua partecipazione di controllo, e nel giro di un anno è giunta la fumata bianca. Più di recente, si è occupato della Opel che Psa ha rilevato da General Motors, e mentre Tavares ha fissato un obiettivo triennale per far tornare i bilanci in attivo, ha raggiunto lo scopo in appena 12 mesi – il suo primo rendimento positivo in quasi due decenni.
Tavares, dichiara Eisenstein, è uno che ne capisce di automobili, nonché un brillante uomo d’affari con il senso di ciò che servirà per trarre profitto in un’industria sempre più competitiva di fronte alla massiccia rivoluzione in atto.
Fusione Fca-Psa: nessun taglio ai posti di lavoro
L’annuncio della fusione Fca-Psa è arrivato con la promessa che nessun impianto chiuderà e nessun posto di lavoro andrà perso, nonostante molteplici analisti e osservatori del campo predichino scetticismo. Poi non è noto se i 12 marchi della società combinata sopravvivranno in blocco. E ci sono potenzialmente altri diavoli in agguato nei dettagli.
Prima di giudicare i meriti della fusione, Eisenstein vorrebbe vedere se ci sono cose che di fatto accelerano lo sviluppo. Se la Fiat Chrysler continua a non fare granché con l’elettronica o l’autonomia perché ha altre linee redditizie in questo momento, reputerebbe più promettente stimolare entrambe le entità a progredire . Alcuni dettagli sulla produzione saranno verosimilmente decisivi. Devono ancora essere approvati da vari Governi. Qualsiasi chiusura di uno stabilimento o battuta d’arresto per i posti di lavoro di base dell’ambito manifatturiero sono politicizzati e sono adesso sotto stretta sorveglianza in tutto il mondo.
Significativo, sostiene MacDuffie, è constatare come la fusione Fca-Psa sarà alla pari. A volte è difficile stabilirlo in anticipo. A titolo d’esempio, cita il chiacchierato accordo tra Daimler-Benz e Chrysler del 1998. Qualunque cosa abbia detto la prima, è diventato chiaro l’atteggiamento dispotico. Allora, quale sarà la governance? Concedere un po’ di indipendenza da Renault nel patto con la Nissan aveva l’aria di una sinergia positiva, e in questo momento sembra più negativa.
Il dilemma: l’integrazione è da dove vengono i guadagni, ma implica tempo e può essere vincolante. Quanto si cerca di integrare con la forza contro l’indipendenza è un atto di bilanciamento, conclude MacDuffie. Forse c’è qualche lacuna – non si può dire cosa sia, ma più spesso si soffre quando non lo si fa.