Quella della Lancia Beta Montecarlo è una storia strana. Quella di una vettura nata Fiat e divenuta Lancia. Il progetto Beta prefigurava un set di vetture progettate subito dopo che Lancia venne acquisita dalla Fiat, siamo nel 1959. Con la denominazione Beta si indicava infatti un’intera gamma di vetture composte dalla Berlina, Berlina Trevi, Coupé, HPE, Spider, Scorpion e la Montecarlo. Quindi l’appellativo Beta, per Lancia, è una denominazione importantissima.
La Lancia Beta Montecarlo, presentata nel 1975, nasceva da una proposta stilistica firmata da Pininfarina. Si capisce subito che con le altre sorelle della gamma ne condivide soltanto il nome e il motore. Come si diceva, la sua storia entra a gamba tesa nelle vicende Fiat e Ferrari del tempo.
La genesi complessa
Se la Lancia Beta Montecarlo condivide con le sorelle soltanto la motorizzazione, un motivo c’è. La particolare vettura a marchio Lancia nasceva infatti da un a nuova collaborazione fissata tra la Pininfarina e la Fiat del tempo. L’idea era quella di realizzare una vettura sportiva utile a ricavare con una certa facilità nuove vetture da gara, grazie anche all’appoggio di Abarth. Nel 1970, quando vennero presentati i primi prototipi, la denominazione era semplicemente Fiat X1/8. Quando nel 1974 si giunse al prototipo definitivo la sigla mutò in X1/20.
Lo stesso anno al Giro Automobilistico d’Italia si presentarono due Abarth SE030, cioè due X1/20 dotate di un motore V6 da 285 cavalli derivato da quello disponibile sulla Fiat 130. Il progetto venne però congelato, quindi ripreso nel 1975 quando al Salone di Ginevra la vettura definitiva (X1/20) debuttava col nome di Lancia Beta Montecarlo. Era la prima vettura costruita completamente da Pininfarina.
Sul cambio di denominazione e marchio esiste persino una leggenda che coinvolge gli attori principali del progetto. Si narra che nel febbraio del 1975, era sera, Gianni Agnelli, Renzo Carli (direttore del Centro Stile Pininfarina) e Sergio Pininfarina si trovarono di fronte il prototipo X1/20 all’interno degli stabilimenti Fiat ormai chiusi. Si doveva decidere se approvare la vettura o meno. All’appello mancava però Paolo Martin, il designer che aveva dato vita al progetto. Agnelli va a prendere una calandra Lancia, ne modifica la forma e la applica al prototipo. Si, la X1/20 di Fiat può diventare benissimo una Lancia. D’altronde in Fiat c’è già la X1/9. Aggiudicato.
Schema da competizione
La Lancia Beta Montecarlo presentata a Ginevra nel 1975 era profondamente differente dalle sorelle della sua stessa gamma. La vettura è una coupé sportiva dotata di motore disposto in posizione centrale, alle spalle dei sedili. La trazione era invece sulle ruote posteriori e lo schema sospensivo, dotato di ruote indipendenti, era del tipo MacPherson davanti e a bracci triangolari oscillanti al posteriore.
L’idea all’origine era quella di mantenere la motorizzazione V6 da 3,0 litri già vista sulle X1/20 del Giro Automobilistico d’Italia, visto anche che la conformazione rigida del telaio lo permetteva. Ma durante la prima metà degli Anni ’70 il mondo dell’auto dovette fare i conti con la crisi petrolifera, quindi l’idea venne ben presto accantonata. Le sue prestazioni che avrebbero dovuto essere eccezionali si dimostrarono quasi non all’altezza del progetto. Lo scarso merito era dovuto all’installazione di un motore 2 litri progettato da Lampredi. Si trattava di un 4 cilindri bialbero, lo stesso utilizzato sulle altre Beta della gamma. I suoi 120 cavalli erano decisamente pochi, sebbene per alcuni il propulsore non venne mai esasperato per non andare a competere con le vendite di quelle Ferrari dotate di motori poco prestazionali. Parliamo delle 208 GT4 e 208 GTB. Il cambio era un manuale a cinque rapporti, la velocità massima era di 190 km/h. Di certo non un dato da supercar.
Il telaio risultava comunque molto ben bilanciato e in grado di fornire alla Beta Montecarlo una maneggevolezza di gran livello. Apprezzabile il bassissimo peso a vuoto di soli 970 chilogrammi.
Linea particolare
La Lancia Beta Montecarlo era decisamente fuori dagli schemi in tema di design esterno. Decisamente distintivi sono gli elementi triangolari, a pinna, posti alle spalle del montante centrale. Questi rappresentavano le spalle poste ai lati di un cofano motore di grandi dimensioni apribile lateralmente. Tale conformazione laterale venne studiata in galleria del vento e rese la Beta Montecarlo più stabile grazie ad una sensibilità migliorata nei confronti del vento laterale. Un design decisamente all’avanguardia per l’epoca. Tanto che una giuria di esperti gli conferì nel 1976 lo Style Awards per la sua linea giudicata la più bella tra le vetture prodotte in quel momento.
La Lancia Beta Montecarlo era bassa e filante, dotata di una sezione frontale ridotta e caratterizzata dalla fascia in materiale plastico scuro che contorna il muso. Il paraurti, anche questo in plastica nera, ospita le prese per la ventilazione dinamica e i fari secondari. I fari principali erano invece di grandi dimensioni e di forma rettangolare.
Lo spazio all’interno non mancava, nonostante la Beta Montecarlo disponeva di soli due posti secchi. Il bagagliaio, posto davanti, presentava una capacità di ben 300 litri grazie anche al fatto di aver riposto la ruota di scorta nel vano motore. I fanali posteriori erano invece caratterizzata dalla griglia a listelli orizzontali lungo tutta la larghezza, dove in posizione centrale veniva alloggiata la targa. La fiancata è caratterizzata dalla fascia nera che la percorre per tutta la lunghezza e dal logo Pininfarina posto proprio all’interno di questa con la scritta Pininfarina disposta invece alla base del montante anteriore. Molto belli gli sfoghi dell’abitacolo posti verticalmente dietro al taglio del piccolo finestrino posteriore.
Interni ben fatti
L’interno della Lancia Beta Montecarlo era sicuramente molto ben fatto. C’era una strumentazione incassata all’interno di un elemento rettangolare posto alle spalle del volante a due razze forate. Nel complesso la plancia si presentava particolarmente semplificata nell’impostazione sebbene fosse rivestita con imbottiture protettive previste anche sulle portiere e sul mobiletto centrale.
L’abitabilità era ottima, frutto della notevole larghezza della vettura e del fatto di aver escluso due possibili sedili di fortuna al posteriore. I sedili erano molto comodi, anche se il motore posteriore scaldava parecchio irradiando aria calda nell’abitacolo. Si poteva avere però il climatizzatore, su richiesta.
Gloriosa in pista e su strada
La denominazione Montecarlo rappresentava un forte omaggio alla tradizione vincente della Lancia nei rally che con la Stratos aveva fatto vedere di che pasta era fatto il marchio italiano. Ma l’intento numero uno della Lancia Beta Montecarlo era quello di fornire una vettura facilmente elaborabile per vincere in pista o su strada. Nacque ben presto la straordinaria Lancia Beta Montecarlo Turbo conforme al regolamento del Gruppo 5. La vettura vinse due volte consecutivamente il Campionato Mondiale Sport Prototipi, nel 1980 e nel 1981, trionfando nel Mondiale Marche.
La Beta Montecarlo Turbo era in grado di lasciarsi alle spalle mostri sacri come la Porsche 935 o la Ford Capri Zakspeed. Tra i piloti più interessanti saliti a bordo della Beta Montecarlo Turbo c’erano Riccardo Patrese, Michele Alboreto, Eddie Cheever e Walter Rohrl. La vettura da gara era stata alleggerita di ben 200 chilogrammi, possedeva un’aerodinamica eccezionale e un motore sovralimentato capace di 370 cavalli.
Ma la Lancia Beta Montecarlo diede i natali anche alla straordinaria Lancia 037. La vettura di Gruppo B fu l’ultima trazione posteriore a vincere un Mondiale Rally, nel 1983.
Il restyling e il cambio di nome
Col restyling del 1979 la Lancia Beta Montecarlo diventa semplicemente Lancia Montecarlo. Vengono introdotti cerchi più grandi, da 14 pollici, utili per permettere la corretta installazione di nuovi dischi freno più grandi. Venne aumentata la coppia del motore che permette un aumento di potenza di un solo cavallo. Le pinne laterali vengono rimpiazzate da strutture vetrate in modo da aumentare la visibilità, pur mantenendo la forma in modo da non pregiudicare l’aerodinamica.
C’era anche una nuova calandra con nuovi indicatori di direzione arancioni come disposto dal Codice della Strada a partire dal ’76. Vengono parzialmente chiuse alcune prese di ventilazione sul cofano motore per evitare infiltrazioni di acqua che si depositavano sulla testata. L’interno presentava un nuovo volante a tre razze con una grafica per la strumentazione.
Tra il 1975 e il 1982 vengono prodotte poco meno di 8mila Lancia Beta Montecarlo. Un dato che rende la bella Lancia Beta Montecarlo una vettura molto rara ai nostri giorni.