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Alfasud: quando la genesi difficile produce ammirazione

Ecco la storia dell’Alfasud costruita a Pomigliano d’Arco. Uno dei prodotti più amati del Biscione, che porta con sé una genesi non facile

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Falla come vuoi, ma l’Alfa Romeo Alfasud è un prodotto dell’immaginario collettivo. Un’icona assoluta tra le compatte fatte bene, una vera Alfa Romeo in medio formato complice di una storia fuori dalle righe. Il suo nome ti porta a comprendere il progetto di grande ambizione posto in essere tra Alfa Romeo e la sua gestione statale. Il debutto del 1972 si collega infatti alle vicende aziendali legate alla natura politica del marchio del Biscione di quegli anni. L’intento difatti era nobile: esisteva la volontà di colmare, partendo proprio da questo modello, il divario tecnologico e produttivo tra Nord e Sud Italia. La scelta del nome invece nascondeva l’ambizione del progetto che voleva anche fornire una concreta riprogrammazione economica dello sviluppo del Mezzogiorno, puntando nello specifico al territorio dell’area napoletana.

Proprio Napoli possedeva tutte le carte in regola per guidare lo sviluppo della nuova Alfasud, forte com’era di una buona tradizione industriale. Si decise che proprio qui poteva sorgere un polo industriale in grado di fornire lavoro a diverse migliaia di persone, in una zona poco felice dal punto di vista lavorativo.

Il ruolo sociale

Siamo alla fine degli Anni ’60; Giuseppe Luraghi, che è presidente di Alfa Romeo in quel periodo, comprende che all’Alfa serve una vettura differente dalla Giulia e da altri modelli, destinati ad una tipologia di clientela decisamente benestante, che si producevano ad Arese. Tali vetture risultavano difatti difficilmente appetibili per la classe operaia di quegli anni. Serviva un modello in grado di soddisfare le esigenze della piccola borghesia: una vettura più grande di un’utilitaria, papabile concorrente delle contemporanee Fiat 128 e Opel Kadett. Non doveva mancare però il piglio di una vera Alfa Romeo.

Lo stabilimento di Pomigliano d'Arco

L’idea era quindi fin troppo chiara, ma il 1968 che è l’anno delle note contestazioni giovanili coinciderà proprio con l’avvio del progetto. Luraghi richiama in Alfa Romeo l’ingegnere Rudolf Hruschka che, in accordo col designer Giorgetto Giugiaro, dovrà compiere il miracolo. La realizzazione pratica dell’idea primordiale ha un suo peso, tanto che per giungere alla data effettiva della commercializzazione bisogna attendere quattro anni.

Il contesto napoletano

Alfa Romeo possiede già uno stabilimento a Pomigliano D’Arco, in un’area periferica nei dintorni di Napoli. Quello stesso impianto in precedenza era stato riconvertito per la realizzazione di motori aeronautici (Alfa Avio Costruzioni) completo com’era di una pista per il decollo e l’atterraggio. Bisognava quindi utilizzare tale area per avviare la costruzione di uno stabilimento rinnovato utile proprio all’avvio della produzione di quella che sarebbe stata l’Alfasud.

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Arrivò quindi anche il benestare dell’IRI che permise a Giuseppe Luraghi di cominciare la costruzione del nuovo stabilimento, anche per accedere ai fondi statali destinati all’industrializzazione del Sud Italia. In cambio, la nuova Alfasud dovrà essere prodotta proprio lì per gli stessi motivi sociali indicati in precedenza. Con l’avvio della progettazione del nuovo stabilimento, nel 1967, contemporaneamente comincia anche la progettazione della vettura sotto l’attento sguardo di Hruschka. Come anticipato, le linee esterne erano invece affidate al disegno della SIRP di Giugiaro e Mantovani.

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A metà gennaio del 1968 si decide che le operazioni possono divenire completamente autonome. Nasce così la INCA, Industria Napoletana Costruzione Autoveicoli Alfa Romeo – Alfasud SpA, con sede proprio presso lo stabilimento di Pomigliano D’Arco. Il nuovo soggetto industriale poteva operare in maniera indipendente dallo stabilimento di Arese, sebbene fosse controllato per il 90% proprio dall’Alfa Romeo. I lavori per la costruzione del nuovo stabilimento nel frattempo cominciarono (1968) e furono terminati già nel 1971.

Scioperi e manifestazioni

Se il successo della nascente Alfasud doveva essere legato ai posti di lavoro che si venivano a creare all’interno dello stabilimento di Pomigliano D’Arco, molte furono tuttavia le rimostranze dettate probabilmente dal contesto sociale di quegli anni e dalla gestione del territorio. Si può presto dire che il contesto generale di quegli anni sull’intero territorio italiano era già fortemente critico. Si mettevano in atto scioperi e contestazioni sindacali di ogni tipo, chiaramente Pomigliano D’Arco non era fuori dal mondo: lo stabilimento soffriva delle medesime problematiche legate agli scioperi del tempo. Elementi che finiranno per condizionare il processo produttivo e persino la qualità della stessa Alfasud.

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Nel frattempo l’Alfasud viene presentata al Salone di Torino del 1971. Era spaziosa e accessoriata molto bene, fa invidia ai concorrenti e a Fiat in primis. Ma i problemi legati agli scioperi sono purtroppo tanti. Le interruzioni sono diverse e compromettono assemblaggi e persino la resistenza all’ossidazione nei primissimi esemplari, tutti elementi che deteriorano persino l’immagine del marchio e anche le casse visto che c’è bisogno di grosse spese urgenti per intervenire. Negli anni successivi si registreranno persino veri e propri boicottaggi con episodi al limite dell’inciviltà. Spesso, soprattutto in estate, lo stabilimento di Pomigliano D’Arco contava un gran numero di assenze dovute a certificati di malattia utilizzati per dedicarsi alla campagna.

La ruggine

La conflittualità interna che caratterizzò il processo produttivo dell’Alfasud era caratterizzata anche da un continuo rimpallo di responsabilità tra operai e sindacati. Fu questo il principale problema dell’Alfasud; le difficoltà all’interno dello stabilimento di Pomigliano D’Arco sancirono i pochi ma importanti difetti riscontrabili sulla vettura. Uno su tutti era rappresentato dalla ruggine che si manifestava sulle vetture che lasciavano lo stabilimento già dopo sei mesi di vita. Un dato che ha contribuito, seppur in minima parte, a formalizzare quella diffidenza scaturita nei confronti dell’Alfasud.

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L’insorgenza della ruggine si registrava quindi dopo pochissimo tempo, soprattutto sui parafanghi anteriori, sugli archi interni delle ruote, sui pannelli centrali e anche sui montanti vicino a parabrezza e lunotto. Sarà purtroppo un elemento fortemente caratterizzante dell’intera produzione dell’Alfasud, sebbene le cause non furono mai del tutto chiare. Le ipotesi di certo confluiscono nella possibile scelta sbagliata dei lamierati provenienti dalla Russia ma anche in riferimento a trattamenti protettivi inadeguati visto che spesso i materiali venivano lasciati all’aria aperta. Ma sicuramente le agitazioni degli operai rappresentavano un ulteriore fattore caratterizzante.

Addirittura si provò anche una possibile soluzione alla ruggine: si trattava di riempire le cavità presenti nella carrozzeria, sfruttando una schiuma sintetica. Tuttavia gli scatolati, dopo questo trattamento, si ritrovavano ad arrugginire con maggiore facilità. Solo nel 1975 le lamiere saranno trattate con maggiore cura, ma la ruggine compariva lo stesso anche se più tardi. Inoltre si registravano rotture delle plastiche interne, dovute si a problemi di qualità ma soprattutto a difetti messi in atto nelle fasi di assemblaggio.

Intuizioni tecniche parecchio interessanti

Al di là delle problematiche di cui soffriva l’Alfasud, non per causa sua, quando venne presentata al Salone di Torino del 1971 si capisce che può fare bene. A giugno dell’anno successivo comincia ad essere venduta al prezzo di 1.420.000 lire e comincia ad essere apprezzata per la spaziosità e per il comportamento stradale da vera Alfa Romeo. I consensi sono unanimi da ogni parte. L’Alfasud è una due volumi a quattro porte con coda poco pronunciata che porta con sé soluzioni decisamente interessanti. La trazione è anteriore, e sebbene possa essere intesa come un sacrilegio per gli alfisti più puri non sarà così in termini di apprezzamento. Tutte e quattro le ruote montano freni a disco (entrobordo davanti per ridurre le masse non sospese).

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Decisamente interessante è l’introduzione del motore quattro cilindri con architettura boxer; l’intuizione di Hruschka è dovuta alla necessità di mettere da parte le eventuali vibrazioni producibili dai classici propulsori con cilindri in linea. L’architettura larga e basse del propulsore permise a Giugiaro di introdurre un cofano molto basso che forniva ottimi benefici dal punto di vista aerodinamico. Il Cx risultava discreto con un valore di 0,40 non molto distante da quello della Giulia che lo poneva a 0,34. La coda tronca contribuiva a migliorare la penetrazione aerodinamica, come avevano dimostrato diversi studi condotti da Alfa Romeo negli anni precedenti. Dal punto di vista delle sospensioni dietro non manca un assale rigido realizzato per mezzo del parallelogramma di Watt mentre l’avantreno possiede un classico MacPherson, utile anche a ridurre i costi di produzione. La distribuzione dei pesi risultava molto equilibrata.

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C’è l’idea di produrre 300mila Alfasud ogni anno, nel frattempo piovono richieste e l’Alfasud viene apprezzata soprattutto nel Nord Italia. L’Alfasud introduceva anche soluzioni di sicurezza attiva. I quattro freni a disco possiedono un circuito idraulico supplementare di emergenza, solitamente anche in caso di frenate brusche l’Alfasud difficilmente blocca le ruote. Il serbatoio viene posto in una posizione protetta, cioè al di sotto della seduta del divano posteriore. C’è la scocca a deformazione progressiva e il piantone dello sterzo è pre-collassato. La tenuta di strada è garantita anche da una campanatura intenzionalmente negativa delle ruote anteriori.

La prima serie

Non c’è dubbio, l’Alfa Romeo Alfasud aveva una bella linea. Gli interni erano molto spaziosi con un bagagliaio veramente molto capiente ma le cerniere per lo sportello di apertura a vista non vennero mai gradite visto che comunque pregiudicavano l’estetica pulita della compatta. Bisognerà attendere la terza serie per vedere una copertura in plastica. Gli interni erano votati alla sportività ma alcune finiture risultavano spartane sebbene la dotazione era superiore a quella di altre vetture della sua stessa categoria. Il volante e il sedile del guidatore si potevano regolare in altezza e c’era un moderno impianto per la circolazione dell’aria. Venne fatta ben presto notare la mancanza del servofreno, sebbene l’impianto frenante rimanesse uno dei migliori sul mercato, e non c’era nemmeno il contagiri.

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La vera novità, come dicevamo, era rappresentata dal debutto sull’Alfasud del motore boxer a quattro cilindri, raffreddato a liquido da 1186 cc. Possedeva 64 cavalli di potenza a 6000 giri, utili a fornire prestazioni interessanti quantomeno superiori a quelle di altre vetture del suo stesso segmento. Si raggiungevano i 152 km/h di velocità massima, sfruttando anche un peso contenuto a poche unità sopra gli 800 chilogrammi. Il propulsore era dotato di due valvole per cilindro con albero a camme in testa per ogni bancata, connessi da una cinghia dentata. L’alimentazione poteva contare su un carburatore monocorpo verticale invertito del tipo Solex C32 DISA/21. Il cambio disponeva di quattro rapporti.

 

La sportiva Ti

Il 1973 porta in dote un’inedita versione a 2 porte, l’Alfasud Ti. Si tratta di una variante più sportiva che piace molto ad un pubblico più giovane. L’Alfasud Ti porta al debutto alcune differenze rispetto all’Alfasud tradizionale. Oltre al numero di porte inferiore vengono introdotti nuovi fari anteriori dotati di quattro proiettori circolari, gli indicatori di direzione si trasferiscono quindi sui paraurti che possiedono ora anche i rostri. Le ruote possiedono ora cerchi specifici in lamiera e pneumatici di dimensioni maggiori. Sotto al paraurti anteriore viene installato uno spoiler e c’è anche una piccola aletta al posteriore, tutti elementi che contribuiscono a ridurre il Cx fino al valore di 0,39.

Alfasud Ti
L’Alfasud Ti

In questo modo Alfa Romeo vuole sottolineare la vocazione decisamente sportiva del modello che si distingueva anche per le targhette dotate del logo Ti poste sui montanti posteriori; i tergicristalli, il montante centrale e le griglie di sfogo sono verniciati in nero. Ne beneficia anche l’interno che possiede sedili con fascia centrale realizzata in tessuto mentre i fianchetti rimangono in sky. Ci sono anche i poggiatesta sui sedili anteriori, il volante a tre razze e la moquette sul pavimento. La dotazione di serie include ora anche il contagiri, il manometro per il monitoraggio della pressione dell’olio e il termometro per l’acqua.

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Il 1.2 Boxer subisce un incremento di potenza anche grazie all’adozione di nuovi elementi. C’è un nuovo carburatore a doppio corpo e nuovi alberi a camme in testa. Aumenta il rapporto di compressione e i cavalli aumentano di 5 unità rispetto alla versione base: sono ora 68. Si possono superare anche i 160 km/h di velocità massima e c’è ora un cambio a cinque marce (molto ben sincronizzato e rapido negli innesti) e il servofreno. Nel 1976 il propulsore sarà ulteriormente rimpolpato con cilindrata portata a 1286 cc e potenza pari a 76 cavalli. Per le famiglie, nel 1974 è il turno dell’Alfasud L che proponeva un allestimento più ricco, mentre la variante base viene ora denominata Alfasud N.

La Sprint nel 1976

Tre anni dopo l’arrivo dell’Alfasud Ti, che aveva fatto diventare realtà la volontà di ottenere una vettura sportiveggiante, arriva la Sprint nel 1976. Si tratta di una sportiva vera con un design fortemente ispirato a quello dell’Alfetta GT da cui Giugiaro aveva preso spunto. In quegli anni la moda delle coupé sportive volgeva quasi al termine, ma in casa Alfa Romeo non si fanno scrupoli. Con l’Alfasud Sprint introducono una coupé a quattro posti dotata di carrozzeria fastback e di un nuovo portellone posteriore. Si tratta forse della più riuscita e apprezzata variante sportiva dell’Alfasud. Il quattro cilindri Boxer, ora portato a 1286 cc di cilindrata e 76 cavalli di potenza risulta particolarmente pronto, sebbene fosse poco potente.

L’Alfasud Sprint

Il possibile successo venne tuttavia limitato dal prezzo non molto popolare. In ogni caso nel 1978 entrano in listino la Sprint Veloce 1.3 e la Veloce 1.5. Le due varianti possiedono rispettivamente il Boxer da 1.351 cc e da 1.490 cc con 86 e 95 cavalli. Nel secondo caso si arriva agevolmente oltre i 170 km/h di velocità massima! Entrambe le versioni adottano un bicarburatore che sancirà il successo della Veloce 1.5. Il 1983 porta in dote la seconda serie dell’Alfasud Sprint che prende il singolo nome di Sprint. Viene introdotta la variante Quadrifoglio Verde da 1.490 cc di cilindrata con due testate modificate e 105 cavalli di potenza, elementi che la conducano a quasi 180 km/h di velocità massima e rendono necessari soltanto 9,5 secondi per raggiungere i 100 km/h da fermo. La Quadrifoglio Verde si riconosceva per i filetti di colore verde sulle fasce laterali e sui paraurti, c’erano però anche sedili sportivi con poggiatesta forati.

La seconda serie

I tempi sono maturi per approntare la seconda serie dell’Alfasud, presentata nel 1977. A dire il vero dal punto di vista estetico i cambiamenti sono pochi; c’è una mascherina rivista, griglie di sfogo nere e paraurti con fascia in gomma. Viene introdotta l’Alfasud Super dotata di cambio a cinque rapporti e due nuove motorizzazioni che debuttano in questo frangente: la 1.2 da 63 cavalli e un 1.3 da 68 cavalli. Il successo non muta, anzi a Pomigliano D’Arco si incrementa la produzione.

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Allo stesso tempo la nuova impostazione stilistica coinvolge anche la Giardinetta che adottava anch’essa il nuovo propulsore 1.3 da 68 cavalli col cambio a cinque rapporti in abbinata. Si aggiorna anche la Ti con nuovi interni, nuova ala posteriore e codolini passaruota che diventano neri. Nel 1978 venne invece incrementata la cilindrata del 1.3 che ora da 1.286 cc passava a 1.351 cc con incremento di potenza che raggiungeva i 79 cavalli. Sulle Ti il 1.3 Boxer, portato a 1.490 cc, poteva contare su 84 cavalli di potenza.

La Giardinetta

La variante Giardinetta dell’Alfasud era stata voluta fortemente sia dal designer Giugiaro che dalla mente del progetto, ovvero l’ingegnere Rudolf Hruschka. La presentazione avvenne nel 1975; la vettura, dotata di tre porte, appare ben proporzionata e viene già introdotta col motore aggiornato e col nuovo cambio a cinque rapporti. Pensando che la vettura dovesse sostenere sforzi maggiori, dovuti alla crescente capacità di carico e quindi alla possibilità di introdurre carichi più elevati, la Giardinetta venne dotata di una nervatura di collegamento tra il pianale e i passaruota posteriori. L’elemento aumentava la rigidità torsionale della scocca in maniera eccellente.

Alfasud Giardinetta
L’Alfasud Giardinetta

Nel 1975, con l’Alfasud Giardinetta, compare proprio quella denominazione che era stata abbandonata e coniata dalla Carrozzeria Viotti nel 1945 per definire le vetture station wagon di Fiat e Lancia. Il disegno era di Aldo Mantovani ma la vettura non fu mai apprezzata dal pubblico italiano che in quel momento vedeva le station wagon come vetture dedite al lavoro e al carico di merci. Ebbe quindi un successo commerciale irrisorio. C’era però un bellissimo pianale di carico in compensato marino con elementi in metallo che facilitavano lo scorrimento. La Giardinetta e Giardinetta 5M venne prodotta in soli 3.799 esemplari dal ’75 al ’77 mentre la Giardinetta 1.3 seconda serie dal 1977 al 1980 in 2.100 esemplari. In ogni caso l’Alfasud possedeva una gamma completa come poche all’epoca.

Il vero aggiornamento nel 1980

Il 1980 è invece l’anno che coincide col vero restyling della gamma Alfasud. Viene rinnovato il frontale con l’introduzione di una nuova mascherina e di nuovi fari, cambia il posizionamento delle frecce e i fanali posteriori sono più estesi. La coda è differenti e i paraurti sono in plastica nera come vuole la moda del tempo. Rinnovati completamente anche gli interni. Cambiavano inoltre anche alcuni lamierati e la gamma era composta dalla 1.2 4M da 63 cavalli col vecchio cambio a quattro marce, c’era poi la 1.2 5M con 68 cavalli e cambio a cinque rapporti e la 1.3 da 79 cavalli a cui seguiva la 1.5 da 84 cavalli. Veniva esclusa dalla produzione la Giardinetta.

Alfasud Restyling

Si aggiorna anche la Ti e viene introdotto il bicarburatore che porta le potenze a 86 e 95 cavalli per il 1.351 cc e 1.490 cc. Un cambio decisivo nell’impostazione si ha nel 1981 quando le Ti vengono realizzate non più a 2 porte ma a 3 porte grazie al nuovo portellone posteriore tanto osannato dal pubblico. Di gran classe la variante 4p Valentino dotata di colorazione bordeaux e nera metallizzata, i cerchi sono in colore oro e gli interni in velluto nero mentre il volante è in legno.

Alfasud Restyling 2

Decisamente bella era la 1.5 Ti Quadrifoglio Verde del 1982; aveva cerchi in lega, bandelle sottoporta e sedili sportivi. Con l’intento di conquistare un pubblico più giovane ed economicamente non particolarmente avvezzo a spendere troppo, arriva anche la 4p Junior che possedeva una dotazione essenziale e il solo motore 1.2 da 68 cavalli di potenza. Sempre nel 1982 anche la quattro porte introduce il portellone e diventa 5 porte SC. Ma i costi di produzione erano troppo elevati e si rivelò avere una resistenza torsionale inferiore a quella della 4 porte. Al top però c’era la 1.5 5 porte Quadrifoglio Oro col 1.5 bicarburatore da 95 cavalli e finiture di tutto rispetto, compreso il volante in legno.

Ciò che comincia ha una fine

Ad un certo punto termina anche la storia dell’Alfa Romeo Alfasud. Tuttavia bisogna citare un interessante campionato monomarca che coinvolgeva le Alfa Romeo Alfasud, un prodotto che raccoglie moltissimi consensi che viene prima messo in pratica con le Ti e poi con le Sprint. Le stesse vetture vincono anche nei rally. C’è poi una vera e propria metamorfosi che coinvolge due esemplari della Sprint anno 1983. L’Autodelta aveva sperimentato due vetture dotandole del V6 Busso da 2.5 litri della GTV6 montandolo al posto del divano posteriore. C’erano nuovi paraurti, un nuovo spoiler dietro e passaruota più larghi. Inoltre veniva introdotta la trazione posteriore e il cambio a cinque rapporti con differenziale accoppiato. Ma rimase solo un prototipo, visto che il pensiero di portarle nei rally in Gruppo B rimane un miraggio.

Alfa Romeo Sprint 6C
L’Alfa Romeo Sprint 6C spinta dal V6 Busso con trazione posteriore

Nel 1982 l’Alfasud SpA muta nome in INCA Investimenti. È un chiaro segno. L’83 porta con sé la nuova Alfa Romeo 33 che sostituirà la berlina Alfasud nel 1984. La nuova 33 tuttavia adopererà la medesima impostazione meccanica dell’Alfasud, compresa la motorizzazione con schema Boxer. Si rivelerà apprezzatissima. Ma la Sprint continuò ad essere proposta fino al 1989, sebbene con una meccanica rinnovata con impianto frenante a disco davanti (ora posti sui mozzi ruota) e a tamburo dietro. Col nuovo 1.7 da 118 cavalli la Quadrifoglio Verde si avvicina facilmente ai 200 km/h.

Alfasud Interni
Gli interni di un’Alfasud Ti Quadrifoglio Verde

Il sogno dell’Alfasud se ne va per sempre dopo 1.017.387 esemplari venduti che ne certificano un successo smisurato, rimarrà lei l’Alfa Romeo più venduta di tutti i tempi. La corretta rivincita per una vettura che ha subito di tutto ma che ha saputo dare veramente tanto.

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