A metà degli Anni Cinquanta, dal momento in cui Alfredo Ferrari detto Dino propone al padre un interessante motore V6 con angolo tra le bancate di 65 gradi con doppio albero a camme in testa passa davvero troppo poco tempo dall’appuntamento con la morte che si porterà via il giovane Dino al quale era stata diagnosticata una maledetta distrofia muscolare.
Dino Ferrari se ne va nel 1956 ancora prima di vedere realizzata la sua ipotesi di motore poi progettata da Vittorio Jano. È così che Enzo Ferrari decide che da quel momento in poi le Ferrari motorizzate con propulsori V6 saranno denominate proprio col nome del figlio, Dino. Ma c’è da dire che solamente qualche anno dopo i motori denominati Dino faranno il loro ingresso nel mondo delle corse, sia in Formula 1 che in Formula 2 ma anche sulle vetture Sport.
Nel 1965 la FIA annunciava che i nuovi regolamenti relativi al campionato mondiale di Formula 2 sarebbero entrati in vigore a partire dal 1967. Il principale cambiamento regolamentare riguardava proprio i motori: ora i propulsori avrebbero dovuto rimanere entro il limite dei 1600 cc di cilindrata con un massimo di sei cilindri e un requisito minimo di produzione pari a 500 unità. I medesimi blocchi motore dovevano essere utilizzati su 500 vetture di produzione stradali, tutte costruite entro 12 mesi consecutivi.
I motori Dino in Formula 2
Enzo Ferrari intuisce le potenzialità del popolare campionato di Formula 2 tanto da voler promuovere proprio il marchio Dino all’interno della serie cadetta. La Formula 2 all’epoca offriva il palcoscenico ideale per costruttori che militavano già in Formula 1 e per piloti che avrebbero fatto il salto nella massima serie da lì a poco. L’esplosione di interesse poteva subire una netta crescita anche a seguito dei nuovi regolamenti in vigore dal 1967.
In casa Ferrari si aveva già a disposizione un propulsore V6 di 65° da 1,6 litri in fase di sviluppo poiché destinato alla Dino 166 P del 1965, che aveva corso nel Mondiale Sport Prototipi. Quel motore fu successivamente ampliato a 2 litri ottenendo un notevole successo nelle competizioni sia in pista che in salita.
Forte dei risultati ottenuti, Enzo Ferrari aveva cominciato a considerare il suo motore Dino V6 la base perfetta per un propulsore da Formula 2 con cilindrata di 1600 cc. Tuttavia, la Ferrari non disponeva della capacità produttiva utile a realizzare le 500 vetture stradali richieste in un periodo ristretto a soli 12 mesi. Di conseguenza, il Cavallino Rampante si rivolse alla Fiat e nel marzo del 1965 le due società firmarono un accordo che avrebbe visto la Fiat produrre il motore V6 in numero sufficiente per consentirne l’adozione in una nuova vettura Ferrari destinata alla Formula 2 con marchio Dino.
Uno dei prototipi del motore Dino era quindi stato inviato alla Fiat dove gli ingegneri del Lingotto avevano previsto un certosino smontaggio e una riconfigurazione completa che avrebbe adattato quel propulsore ai metodi della produzione di massa. Fiat e Ferrari iniziarono quindi a progettare nuove auto sulle quali installare proprio quel motore. La Fiat produce due varianti: la Dino Spider (con carrozzeria Pininfarina) e la Dino Coupe (con carrozzeria Bertone). La Ferrari invece da vita alla Dino GT progettata anche in questo caso da Pininfarina. Tutti e tre i modelli furono inizialmente costruiti attorno al V6 Dino portato a due litri di cilindrata.
Nasce la Dino 206 GT
La prima concept car destinata alla circolazione su strada a marchio Dino fu esposta al Salone di Parigi nell’ottobre del 1965. La vettura era basata sulla piattaforma della sportiva Dino 206 S; la splendida Ferrari Dino 206 Pininfarina Berlinetta Speciale costruita utilizzando il telaio 0840 presentava in anteprima una serie di spunti stilistici che sarebbero stati successivamente adottati da ulteriori vetture del Cavallino Rampante.
Il primo prototipo di una vera Dino GT di serie apparve invece al Salone dell’Auto di Torino nel novembre del 1966. La vettura stavolta era basata sul telaio 00106: la interessante berlinetta gialla suscitò subito molto interesse e nei 12 mesi successivi le sue caratteristiche furono gradualmente perfezionate.
Un altro prototipo fu esposto al Salone di Torino nel novembre del 1967 quando ormai l’impianto stilistico della Dino GT era prossimo alla produzione. Le consegne iniziarono nella primavera del 1968. La Dino 206 GT si unì a un set di vetture del Cavallino Rampante che comprendeva la 365 GT a quattro posti, la 330 GTC ovvero una coupé a due posti e la 275 GTB/4 (una berlinetta a due posti). Erano disponibili anche versioni aperte delle GTC e GTB/4: 330 GTS e 275 GTS/4.
La Dino 206 GT utilizzava un nuovissimo telaio tubolare in acciaio con passo di 2280 mm. I pannelli in lega venivano invece rivettati in posizione per creare efficacemente un telaio semi-monoscocca. Il motore V6 era montato trasversalmente, alle spalle dei sedili; la Dino 206 GT è stata la prima vettura di serie a motore centrale della Ferrari. La sospensione era completamente indipendente con bracci trasversali di lunghezza diversa, molle elicoidali e ammortizzatori Koni telescopici. Le barre antirollio erano installate alle due estremità. L’impianto frenante introduceva quattro freni a disco in accordo con cerchi in lega Cromodora da 14 pollici. Questi erano fissati in posizione con un singolo dado centrale a gallettone e originariamente venivano calzati con pneumatici Pirelli. Il serbatoio del carburante da 65 litri era posizionato contro il lato sinistro della paratia posteriore. La Dino 206 GT è stata inoltre la prima Ferrari a utilizzare lo sterzo a pignone e cremagliera.
Motori condivisi
La progettazione iniziale dei propulsori Dino fu affidata a Vittorio Jano mentre la sua conversione in unità di produzione di massa fu affidata a Aurelio Lampredi. Lo stesso motore utilizzato sulle Dino della Ferrari è stato montato anche sulle Dino a marchio Fiat, tutti fabbricati sulla stessa linea di produzione a Rivalta.
Il motore V6 di 65° con doppio albero a camme in testa per ogni bancata di cilindri Tipo 135 B 000 utilizzava un monoblocco e una testa in lega con i cilindri in ghisa, sedi delle valvole in ghisa e camere di combustione emisferiche. La cilindrata, come anticipato, era stata portata a 1987 cc grazie ad alesaggio e corsa rispettivamente di 86 mm e 57 mm. La compressione era invece fissata a 9,0:1 mentre i carburatori erano tre Weber 40 DCN. La lubrificazione è del tipo a carter umido e l’accensione è affidata ad una singola candela per cilindro. La potenza complessiva è pari a 160 cavalli a 7200 giri/min mentre la trasmissione era affidata ad un cambio manuale a cinque marce sincronizzato, frizione monodisco e differenziale a slittamento limitato. Come per tutti i modelli Ferrari di serie, a partire dal 1953, il contratto per la progettazione della carrozzeria era stato affidato alla Pininfarina. La fabbricazione vera e propria era invece affidata alla Scaglietti di Modena con largo uso di alluminio. La vettura aveva una linea bellissima con forme sinuose, fari incassati e delicati paraurti davanti e dietro. La presa d’aria primaria alimentava aria fresca per il radiatore mentre condotti circolari più piccoli erano ricavati dalla sezione anteriore per raffreddare i freni.
Due file di prese d’aria erano montate sul cofano anteriore che si sollevava per accedere alla ruota di scorta di dimensioni standard. La visibilità dall’abitacolo era eccellente grazie alle ampie superfici vetrate. Gli eleganti montanti posteriori scendevano fino alla coda con il parabrezza posteriore monoblocco delicatamente curvo, così come le prese d’aria di raffreddamento del motore scolpite su ciascun fianco. In origine non c’erano emblemi Ferrari in nessuna parte della Dino.
L’interno era altrettanto ben pensato
Tutta la strumentazione era contenuta in un elemento ovale con una semplice fascia in alluminio. Grandi indicatori per la velocità erano affiancati da un orologio e un amperometro. Tra il tachimetro e il contagiri c’erano quattro piccole letture per la temperatura dell’olio e dell’acqua, la pressione dell’olio e il carburante. Il cruscotto era rivestito con sottile tessuto grigio scuro per evitare i riflessi del parabrezza. Il volante aveva una tradizionale corona in legno e tre razze in lega. Le sezioni centrali dei sedili erano rivestiti con tessuto a coste in nero o rosso. Il vinile nero è stato utilizzato praticamente per tutto il resto.
I sedili fortemente inclinati potevano essere regolati, ma gli schienali erano fissati in posizione e i poggiatesta erano montati sulla sezione superiore imbottita della paratia posteriore. Gli extra opzionali includevano coperture dei fari in plexiglas e tappezzeria in vinile. Ferrari ha indicato un peso a secco di 900 chilogrammi, una velocità massima di circa 235 km/h e un tempo per lo 0-100 km/h di sette secondi. La produzione è iniziata quasi immediatamente dopo il Salone di Bruxelles del febbraio 1968 seguendo un ritmo di circa tre vetture complete alla settimana per 18 mesi. Nell’agosto del 1969 (dopo che 152 esemplari erano stati completati, tutti con guida a sinistra) la Ferrari abbandonò il modello per far posto a una versione da 2,4 litri con blocco motore in ghisa e telaio a passo lungo (la Dino 246 GT).
Sebbene la Ferrari non abbia mai sviluppato la Dino 206 GT come qualcosa di diverso da un modello di produzione stradale, la sua meravigliosa maneggevolezza e le sue prestazioni brillanti convinsero Luigi Chinetti a iscriverne una alla 12 Ore di Sebring il 22 marzo 1969. Chinetti era l’importatore Ferrari per gli Stati Uniti e il suo North American Racing Team (NART) aveva ricevuto per molti anni una valida assistenza dal Cavallino Rampante.
Il telaio 00306 è uscito dalla fabbrica come una Dino 206 GT standard verniciata in Blu Notte Metallizzato con coperture dei fari in plexiglas. Poiché la Dino non era stata omologata per la categoria GT, correva all’interno della categoria prototipi, era consentito un gran numero di modifiche come ruote e pneumatici più larghi, spoiler aggiuntivi e vari aggiornamenti destinati al propulsore. Tuttavia, a parte alcune dotazioni di sicurezza extra la vettura venne mantenuta praticamente in configurazione tendenzialmente standard. All’esterno la NART ha aggiunto una striscia centrale bianca e rossa. Sam Posey e Bob Dini riuscirono a qualificarsi al 29esimo posto assoluto, più avanti rispetto a qualsiasi altra vettura GT da due litri dato che confermava quanto la Dino sarebbe stata un’ottima vettura da competizione per la classe Gran Turismo. Purtroppo, problemi di raffreddamento hanno ostacolato il ritmo di gara della Dino costringendo la vettura per molto tempo ai box. Nonostante ciò, dopo 12 ore di gara la vettura era ancora in gara riuscendosi a classificare in 36esima posizione assoluta, ovvero decima nella classe prototipi da due litri.