Era marzo 2016 quando il Governo Renzi, tramite annunci pomposi, introdusse il reato di omicidio stradale. In origine, doveva essere una rivoluzione. Doveva essere doloso, un omicidio volontario. Da parte di chi guida ubriaco o drogato e uccide il prossimo. Poi divenne colposo, annacquato: per colpa, per imperizia, imprudenza, con pene molto meno dire rispetto al doloso. A cinque anni da questo importante cambiamento del Codice Penale, ci si interroga sugli effetti. Asaps (Associazione Amici Polstrada) esprime dubbi sul reato di omicidio stradale: utile per la sicurezza la legge 41/2016?
Le condanne tornano spesso ad essere miti, i controlli rari, come la giustizia per le vittime: questo l’allarme Asaps in merito al reato di omicidio stradale.
La normativa prevede una impennata nelle pene edittali da 8 a 12 anni per chi uccide ubriaco o drogato (fino a 18 nei casi di omicidio plurimo o con altri feriti). E da 5 a 10 anni per gli altri casi di omicidio connesso con violazioni di particolare gravità. Lo stesso per le lesioni. La revoca della patente può arrivare oggi anche a 15 anni e fino a 30 nei casi più gravi di recidiva.
Orecchie aperte sui numeri, gelidi. Nel complesso, il reato di omicidio stradale ha dato i risultati che alcuni si attendevano? Certamente no, risponde al volo l’Asaps. Perché la legge non è stata poi così fortemente dissuasiva? Forse anche perché ancora molti conducenti non conoscevano e non conoscono le gravi conseguenze che possono seguire ai loro comportamenti.
Poi l’affondo dell’Asaps: “Abbiamo visto che le pene inflitte nei casi di omicidio stradale anche più gravi, hanno cominciato di nuovo ad abbassarsi, sfiorando o addirittura ricalcando in diversi episodi tragici le stesse pene antecedenti alla invocata legge 41”.
Non è questione di essere forcaioli. Ma un conto è una multa per eccesso di velocità a 60 km/h su una strada deserta; un conto è un ubriaco o drogato che ammazza. Ben sapendo di correre il rischio di ammazzare.