Si aggrava la crisi dei chip. Ora, la società di consulenza AlixPartners calcola che il crollo dei ricavi sarà il doppio di quanto pronosticato a maggio: 180 miliardi di euro bruciati. Tutto nasce in pandemia con Taiwan che vende chip solo a giganti dell’elettronica: il settore automotive, paralizzato dal Covid, non chiedeva microprocessori. Con la ripresa, però, le case auto tornano a domandare i chip: da Taiwan un no netto, in quanto rifornisce solo i big elettronici, che fanno affari d’oro in pandemia vendendo computer e smartphone.
Mancherà all’appello il 7,5% dei 2.755 miliardi incassati nel 2020 (fonte McKinsey). Soldi pesanti, specia oggi che l’automotive deve investire in modo massiccio nell’auto elettrica e connessa. Con la pressione dell’Ue: se non fai le elettriche, becchi multe fortissime.
L’automotive in Europa e USA (e in parte in Giappone) paga a carissimo prezzo un vizio: delocalizzare sempre tutto, per risparmiare. Dipendi da Taiwan per i chip: se questi non arrivano, sei spacciato. Ora, i gruppi auto si stanno riorganizzando per fa da sé, ma serve tempo e lavoro. Intanto, molti clienti che ordinano in concessionaria un’auto su misura, devono aspettare parecchio: la vettura è quasi pronta, ma spoglia di chip.
Ma in termini di vendite, quante auto in meno verranno immatricolate? Il 2021 si chiuderà con la drammatica perdita di 7,7 milioni di veicoli. Attenzione perché tutto questo si somma ai tagli occupazionali dovuti alle elettriche: una miscela potenzialmente esplosiva, della quale la politica dovrà prima o poi tenere conto, visto che l’auto è un pilastro dell’economia mondiale da sempre.
Solo per fare un esempio: Toyota è stata molto resiliente. Aveva scorte di semiconduttori. Addirittura, però, il colosso nipponico ha annunciato una riduzione del 40% dei volumi a settembre 2021.
Crisi dei chip: e di materie prime, resine speciali, acciaio…
Sentiamo Mark Wakefield, corresponsabile del settore automobilistico di AlixPartners: tutto è stato ulteriormente aggravato dal lockdown per il coronavirus in Malesia. E piove sul bagnato: c’è fame di materie prime, resine speciali, acciaio, manodopera. Servirebbero ammortizzatori sociali: il fatto è che molti sono già stati utilizzati a inizio pandemia.
Per il managing partner Dan Hearsch, qualsiasi carenza o interruzione della produzione in qualsiasi parte del mondo colpisce le aziende di tutto il mondo e gli impatti sono ora amplificati da tutte le altre carenze.
Situazione delicatissima per l’automotive, con le mille incognite dell’auto elettrica, delle colonnine di ricarica, del potere di acquisto nel mondo.