Una rivoluzione costosa, quella dell’auto elettrica e in generale la transizione energetica, detta anche decarbonizzazione: il passaggio dal carbone all’elettrico. Per il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, la transizione energetica costerà all’Italia 650 miliardi di euro da qui al 2030, come ha detto all’assemblea annuale dell’associazione svoltasi a Roma.
In teoria, il Governo Draghi ha messo a disposizione soldi col Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, preparato dall’Italia per rilanciare la fase post pandemia). Sentiamo però Bonomi: per quanto importanti siano i fondi che il Pnrr dedica alla transizione energetica, sono solo il 6% del totale necessario. Morale: il 94% lo devono investire le imprese. “Ma se al contempo devono fronteggiare gli spiazzamenti tecnologici e di produzione: tutto diventa difficilmente realizzabile”.
Quindi, quale soluzione? Per Bonomi, la rivoluzione verde va accompagnata sul fronte nazionale da misure che sostengano investimenti qualificati, nazionali ed esteri. Come quelli in ricerca e sviluppo e in digitale. Obiettivo, evitare che tra i nostri stessi partner l’industria italiana resti ai margini. Un po’ come chiede la filiera auto italiana al Governo Draghi in fatto di incentivi, sconti fiscali, colonnine per le vetture elettriche da ricaricare.
Attenzione: la proposta di aumenti fiscali domestici e internazionali alla frontiera del CO2 nasconde rischi temibilissimi. Insomma, non è che aumentando le tasse il problema si risolva.
Sulla carta, al 2030, ci sono target precisi. Tuttavia, sarebbe opportuno un cronoprogramma, per avere tutti le idee più chiare su come arrivare all’obiettivo.
Vediamo i numeri, snocciolati da Bonomi. “Attualmente, uno sviluppo della capacità delle fonti rinnovabili di 8 GW all’anno, come indicato dal ministro Cingolani, sarebbe velleitaria. Significherebbe raddoppiare nei prossimi dieci anni la capacità di rinnovabili installata negli ultimi 20 anni. Risultato impossibile da raggiungere senza un cambio radicale del meccanismo autorizzativo”. Insomma, burocrazia più snella.
Secondo: l’Ue spinge per il verde, ma il resto del pianeta che fa? Occorre uno sforzo avvenga in un quadro mondiale di reale cooperazione. Da sola, l’Europa emette solo l’8% dei gas climalteranti: la CO2, l’anidride carbonica.
Confindustria: riferimento preciso all’auto elettrica
Occhio a un passaggio chiave di Bonomi. Ci sono parti fondamentali della nostra industria che resterebbero altrimenti esposte a rischi di chiusura o delocalizzazione.
Ecco l’esempio del numero uno di Confindustria: “I big player tedeschi dell’auto, dopo i colpi severi del dieselgate, hanno comunque risorse finanziarie tali da aver potuto annunciare nuovi modelli elettrici con investimenti complessivi per oltre 70 miliardi di euro. Ma le migliaia di piccole e piccolissime imprese italiane fornitrici di componentistica meccanica, parti di scocche e telai, si trovano ad affrontare la transizione senza adeguato supporto per i necessari investimenti”.