Stellantis in tutta Italia vive una situazione particolarmente delicata dal punto di vista aziendale, produttivo e lavorativo. Si, si parla di investimenti, di piani futuri, di riconversione elettrica e di programmi anche ambiziosi, ma è il presente che non piace.
Cassa integrazione in quasi tutti gli stabilimenti, fabbriche ferme per giorni e giorni, spesso al lavoro per 3 giorni a settimana se non di meno. Sono queste le cose che minano la stabilità di Stellantis. Da Mirafiori a Melfi, da Grugliasco ormai cessata alla Sevel di Atessa alle prese con una crisi mai vista prima. L’aria che tira non è certo delle migliori nell’universo di Stellantis.
La crisi dei microchip, la crisi del mercato, la pandemia e la transizione elettrica portano a questa fase di stallo che ormai in Italia si protrae da mesi.
I problemi di Stellantis in ogni stabilimento italiano
Il primo problema che balza all’occhio anche degli osservatori esterni è la carenza di semiconduttori. Più diventano tecnologiche le auto più c’è bisogno di questi piccoli microchip il cui approvvigionamento diventa sempre più difficile. Perfino i furgoni, i veicoli leggeri che per Stellantis, produce la Sevel di Atessa, hanno necessità di queste componenti.
La crisi dei microchip è globale, perché no riguarda soltanto il quarto produttore mondiale di auto, ma anche gli altri competitor e gli altri colossi dell’industria automobilistica. Resta il fatto che negli stabilimenti italiani di Stellantis questa carenza dei semiconduttori ha portato a periodi lunghissimi di cassa integrazione un po’ ovunque.
Il problema è che sono Paesi come la Cina, Taiwan, la Malesia o la Corea ad essere indietro nelle produzioni di questi microchip, il mondo dell’auto si approvvigiona da questi Paesi, dove anche la pandemia ha portato ad un rallentamento della produzione di questi componenti che per esempio servono anche i apparecchi tecnologici come Personal Computer, Smartphone e così via.
Naturalmente le auto, per dimensione, necessitano di un numero rilevante di questi prodotti, e così in assenza delle dovute scorte, le produzioni si fermano.
La transizione elettrica al momento porta a un calo dei regimi produttivi
Anche la transizione elettrica, pur se guardata con attenzione ed attesa con impazienza, resta oggi una palla al piede per le fabbriche italiane di Stellantis. Rispetto ai competitor, Fca era piuttosto indietro e adesso che la fusione con Psa ha dato i natali a Stellantis, la virata dell’azienda è decisamente verso le auto elettriche.
Ma se da un lato il processo di transizione è ancora allo stato embrionale, il fatto che Mirafiori sia (insieme a Modena), l’unico stabilimento che ha retto in termini di produzione lo deve alla Fiat 500 full electric, è lapalissiano sul fatto che la via intrapresa dall’azienda è questa.
A Melfi pare saranno prodotte dal 2024, 4 nuovi veicoli elettrici di altrettanti marchi di Stellantis, ma il progetto è ancora lontano nel tempo. C’è Lancia per esempio, che ormai non produce più auto, se si esclude la piccola Lancia Ypsilon.
L’Alfa Romeo che Stellantis vorrebbe tutta elettrica, ormai ha tutta la gamma dei suoi modelli a fine ciclo produttivo, con qualcuno, come per esempio la Giulietta che è già terminata. E senza auto da produrre, in attesa delle nuove motorizzazioni, inevitabile che negli stabilimenti si lavori a singhiozzo, con ripetute fermate.
Tagli di personale scongiurati, ma è davvero così?
La paura che si passi dalla Cig e dagli ammortizzatori sociali ai licenziamenti, anche se esiste tra gli operai, sembra scongiurata dalle parole dei vertici aziendali e dagli investimenti sull’elettrificazione che l’azienda continua a prevedere.
Ma come detto, investimenti e progetti sono per il futuro, ma è l’attualità che interessa lavoratori che per via delle fermate perdono reddito e perdono benefit come le maturazioni dei ratei. Anche l’altro importante progetto della Gigafactory di Termoli in Molise, è lontano nel tempo, previsto come è per il 2025.
Se i lavoratori interni di Stellantis possono stare tranquilli, non è lo stesso per l’indotto o per i somministrati. Per esempio per questi ultimi, le notizie che provengono da più stabilimenti mettono in risalto che, molti lavoratori delle agenzie di lavoro interinale, non hanno visto il loro contratto rinnovato.
Sono lavoratori in somministrazione che sono stati utilizzati molto diffusamente da Fca prima e pure da Stellantis, ma essendo di fatto precari, adesso che la produzione è calata, non servono più. L’indotto poi è formato da tante piccole realtà industriali che danno lavoro a tante persone e famiglie ma che operano pressoché unicamente con le commesse Stellantis. Fermando le attività si fermano anche le piccole aziende che non godono di tutele come l’azienda madre.
E sono a rischio molti posti di lavoro dell’indotto. Questo perché per esempio, se dove si producevano motori a combustione adesso si ferma l’attività visto il calo della richiesta di questi vecchi motori, è evidente che chi forniva i componenti, cioè l’indotto, va in sofferenza.
Stellantis e i contratti di espansione
Una misura previdenziale che il governo ha emanato e che sembra sul punto di potenziare con la prossima manovra di Bilancio è il contratto di espansione. Parliamo della misura che permette alle aziende sopra i 100 lavoratori in organico (ma sembra in procinto di passare la modifica che renderebbe la misura possibile anche nelle aziende sopra i 50 lavoratori in organico), di svecchiare il personale e pre-pensionare quelli più anziani.
La misura rientra in accordi di esodo incentivati, perché si collega anche al bonus che Stellantis ha deciso di avviare in diversi stabilimenti, per spingere chi vuole, a lasciare l’azienda dietro premio in denaro.
Il contratto di espansione invece riguarda i lavoratori che sono a 5 anni dalla pensione. Cinque anni dal completamento dell’età pensionabile per la pensione di vecchiaia, o dei contributi utili alla pensione anticipata. In pratica, chi ha almeno 62 anni e chi ha già 37,10 anni di contributi versati (per le donne 36,10) potrebbe godere di un assegno di accompagnamento alla pensione lasciando il posto di lavoro.
Il necessario accordo tra sindacati e azienda per l’attivazione del contratto di espansione è stato trovato in diverse Regioni d’Italia da parte di Stellantis. In altri termini l’azienda con la misura, si dichiara disposta a garantire un assegno pari alla pensione maturata (e anche i contributi previdenziali mancanti a chi si trova con 37,10 o 36,10 anni di contribuzione), per 5 anni.
I vantaggi che ha l’azienda nel sfruttare gli incentivi all’esodo
Il vantaggio per Stellantis è che può sfruttare la Naspi che sarebbe spettata ai lavoratori e che può svecchiare il personale e allo stesso tempo ridurlo, senza far passare questo come un taglio occupazionale. Inoltre è evidente che come CCNL prevede, un lavoratore anziano con gli scatti di anzianità della sua carriera, non può mai essere paragonato ad un lavoratore giovane come stipendio.
Infatti tra le righe del decreto c’è un dato incontestabile. SI tratta del fatto che, il decreto che ha istituito il contratto di espansione, prevede più licenziamenti che assunzioni. Infatti si legge che l’azienda attivando la misura, si obbliga a prevedere un piano di nuove assunzioni a fronte delle uscite. Il rapporto però deve essere di 3 a 1, ovvero, ogni tre pre-pensionati l’azienda è tenuta ad assumere un nuovo dipendente.
E se non è un taglio di personale questo, non vediamo cosa possa essere considerato tale. Nel frattempo si hanno notizie di stabilimenti chiusi (Grugliasco per esempio), di tagli delle linee produttive (Melfi con la Jeep Compass che adesso è prodotta sulla linea della Jeep Renegade e della Fiat 500 X) e di giovani che chiedono di andare via con gli incentivi.
Non certo il miglior periodo quindi per tanti stabilimenti Stellantis. Se i più anziani vanno via con i contratti di espansione, i giovani sembra siano attratti (da indiscrezioni che emergono da Melfi e da altri stabilimenti), ad accettare i soldi in pegno delle dimissioni volontarie.