Ferrari e Lamborghini sono due marchi automobilistici che fanno sognare gli appassionati, a tutte le latitudini. La loro storia è in parte intrecciata. Si narra che l’origine della casa del “toro” sia legata ad uno screzio tra Ferruccio Lamborghini ed Enzo Ferrari. Entrambi avevano un carattere forte. Il primo dei due, che si occupava di costruire trattori, era un cliente del “cavallino rampante”, deluso dalla frizione cedevole della sua 250 GT 2+2.
Nel 1962 si recò a Maranello, per riferire il suo disappunto direttamente al Commendatore, che non gradì. Per quest’ultimo il problema era il guidatore. Pronta la risposta di Lamborghini:
“Caro Ingegnere, non comprerò più le sue macchine. Da ora in poi le auto me le faccio io, così sono sicuro che andranno come piace a me”.
In poco tempo nacque l’azienda di Sant’Agata Bolognese che, con la Miura, mise un po’ d’ansia al grande uomo modenese. La scocca della 250 GT 2+2 di colore rosso incriminata è stata esposta all’interno del museo del “toro”. In fondo, quella vettura è all’origine delle sue vicende. Lecito, a questo punto, chiedersi quali siano state le Ferrari entrate nel garage di Ferruccio Lamborghini. Se lo gradite, seguiteci nel nostro viaggio alla loro scoperta.
Ferrari 250 GT Coupé Pininfarina
La Ferrari 250 GT Coupé prese forma in due serie e segnò il passaggio, per la casa di Maranello, dalla produzione artigianale ad una di matrice più industriale. Ad ospitare il vernissage del modello fu il Salone dell’Auto di Parigi del 1954. La sua permanenza sul mercato andò avanti fino al 1960, dopo circa 400 esemplari prodotti, 80 dei quali della prima serie.
Questa creatura, come riporta il sito ufficiale del “cavallino rampante” rappresentò il primo tentativo di creare uno standard per le vetture destinate alla normale clientela. Sua base di sviluppo fu la 250 Europa, rispetto alla quale segnava un salto di specie. Ferruccio Lamborghini possedeva un esemplare della seconda serie, il cui look, firmato Pininfarina, era molto più raffinato ed elegante.
La sua presentazione avvenne nel 1958 a Milano, città dove raccolse molti clienti. Questa granturismo piaceva ai VIP e alle teste coronate, per il fascino delle sue linee, snelle e pulite, e per la tempra del suo carattere, molto vigoroso.
Dodici cilindri per sognare
Il motore V12 accolto sotto il cofano anteriore era un valore aggiunto formidabile, in termini di grinta e sonorità meccaniche. Si trattava di un 3 litri alimentato da 3 carburatori Weber 36 DCZ/3, con 240 cavalli di potenza massima a 7000 giri al minuto.
L’energia veniva scaricata a terra con l’ausilio di un cambio manuale a 4 rapporti. Notevoli le prestazioni, in termini di accelerazione e ripresa. La velocità massima sfiorava i 250 km/h. Per il telaio si puntò su un classico traliccio in tubi d’acciaio, come da tradizione del marchio. A rallentarne la marcia provvedevano dei freni a tamburo, che si sforzavano di fare al meglio il loro lavoro. Nel 1960 giunsero i freni a disco, più intonati al suo spirito.
Valido l’assetto, per la particolare tipologia di prodotto. Qui la precisione di guida si doveva miscelare al comfort. A Maranello furono bravi ad interpretare il tema. Le sospensioni anteriori erano indipendenti, mentre dietro c’era un ponte rigido. Ecco le dimensioni della Ferrari 250 GT Coupé: 4700 mm di lunghezza, 1725 mm di larghezza, 1330 mm di altezza, 2600 mm di passo. Splendida la carrozzeria a tre volumi di questa vettura, dotata di un bel lunotto panoramico. Dopo di lei giunse l’ancora più affascinante 250 GTL.
Ferrari 250 GT 2+2 Pininfarina
Ecco la “rossa” all’origine dell’acceso confronto di opinioni tra Ferruccio Lamborghini ed Enzo Ferrari. Oggetto del contendere, la tenuta della sua frizione. Se la casa del “toro” oggi esiste, lo si deve a questa creatura. La Ferrari 250 GT 2+2 (nota come GTE nel mercato USA) fu la prima automobile a quattro posti del “cavallino rampante” prodotta in larga scala. Maestosa e immediatamente riconoscibile, aveva nella classe uno dei suoi punti di forza.
Base di lavoro fu la 250 GT Coupé, ma rispetto ad essa crebbero la lunghezza e la larghezza. Pininfarina svolse un ottimo lavoro non solo sul fronte dall’armonia stilistica, ma anche dell’ottimale sfruttamento dei volumi, per garantire ai passeggeri posteriori uno spazio decente. Questa granturismo faceva meglio delle precedenti “rosse” di matrice “familiare”.
Ad agevolare il compito del carrozziere piemontese ci pensò un intervento tecnico di grande efficacia: lo spostamento in avanti del gruppo propulsivo. Questo layout non era il massimo in termini di dinamiche, ma sul piano della crescita dimensionale dell’abitacolo faceva la differenza.
Auto elegante ma graffiante
La carrozzeria della Ferrari 250 GT 2+2, oltre che bella, era anche efficiente sul piano aerodinamico. Gli studi condotti in galleria del vento, anche se lontani dalla precisione dei nostri giorni, servirono a gestire meglio i flussi. Stupisce il fatto che, pur essendo più grande della donatrice d’organi, rispetto alla quale aveva due posti in più, non accusasse alla bilancia un gap eccessivo. Il peso cresceva infatti di soli 80 chilogrammi. L’accurata progettazione consentì di raggiungere questo traguardo.
Come riferito in altre occasioni, la spinta della Ferrari 250 GT 2+2, nella stragrande maggioranza degli esemplari, era garantita da un motore a 12 cilindri, con angolo di 60 gradi fra le bancate, da 2953 centimetri cubi di cilindrata, per 240 cavalli di potenza massima a 7000 giri al minuto. Ad alimentarne la sete provvedevano tre carburatori Weber a doppio corpo. Trattandosi di Ferrari, le note regalate all’apparato uditivo non potevano che essere deliziose. Facile abbandonarsi alla piacevolezza del suo sound.
Questa coupé a 2+2 posti, con telaio tubolare in acciaio, era dotata di un cambio a quattro rapporti sincronizzati, più overdrive sulla quarta marcia. La velocità massima varcava la soglia dei 230 km/h, in piena sicurezza. Il compito di smorzarne le danze era affidato a quattro freni a disco. Da segnalare come gli ultimi cinquanta esemplari montassero il V12 da quattro litri della 330 America, ma Ferruccio Lamborghini aveva l’altra versione, quella più classica ed amata.
Ferrari 250 GT Berlinetta passo corto
Quando si parla di auto come la Ferrari 250 GT Berlinetta passo corto, nota a tutti come SWB (acronimo di Short Wheel Base), le emozioni vanno alle stelle. Impossibile non esaltarsi al cospetto di un gioiello di tale rango, che ha scritto uno dei capitoli più belli della storia del “cavallino rampante”. Definirla un’opera d’arte è quasi riduttivo. Qui si è al cospetto di un capolavoro assoluto, che incarna lo spirito più nobile delle creature di Maranello. A suo agio sia in strade che in pista, poteva danzare con armonia fra i cordoli di Silverstone e tra le boutique di via Veneto a Roma.
Il suo stile sublime ne faceva (e ne fa) una stella dei concorsi d’eleganza più esclusivi del pianeta. Nella sua carrozzeria si compie una sintesi perfetta fra eleganza e sportività. La Ferrari 250 GT Berlinetta passo corto è stata anche l’unica “rossa” condotta in pista da Stirling Moss. Impossibile fare in poche righe un elenco dei suoi tantissimi successi.
Negli anni sessanta i suoi piazzamenti sul gradino più alto del podio erano la norma, tanto con i piloti ufficiali della casa di Maranello quanto coi gentleman drivers. Fra le vittorie, meritano di essere segnalate quelle al Tour de France, alla Coppa Intereuropa e al Tourist Trophy. Di straordinario pregio i sigilli di classe conseguiti dalla 24 Ore di Le Mans, alla 1000 Km di Monthlery e alla Targa Florio, ma questo elenco non rende giustizia alle doti del modello, i cui trionfi meriterebbero molto più spazio.
Un cuore magico e prezioso
La spinta faceva capo ad un motore V12 da 3 litri di cilindrata, che rombava con sublimi musicalità meccaniche sotto il cofano anteriore. Al suo attivo 240 cavalli di razza nella versione stradale. La scuderia cresceva a 280 cavalli nella versione Competizione. Il cambio sincronizzato a quattro rapporti offriva a ciascun cliente la possibilità di avere una rapportatura cucita sugli specifici bisogni. Ottime le doti del telaio, che sposava il consueto schema del traliccio di tubi in acciaio.
Nel nome è riportato il passo corto rispetto alla 250 Tour de France. Qui, infatti, l’interasse scendeva da 2600 mm a 2400 mm. Il beneficio? Una superiore maneggevolezza. Buono il mordente dei quattro freni a disco della Dunlop. L’eccellenza della SWB è ascrivibile alle doti progettuali di Mauro Forghieri, Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini: tre nomi mitici dell’automobilismo.
Il suo debutto in società avvenne al Salone di Parigi, nel mese di ottobre del 1959. Una data che si è fissata nella storia, perché ha svelato al mondo uno dei più grandi gioielli del genio umano. Oggi la Ferrari 250 GT Berlinetta passo corto (SWB) è in cima ai sogni degli appassionati ed è fra le regine delle aste internazionali, dove i collezionisti se la contendono a suon di milioni di euro, di sterline o di dollari.