1° dicembre 1976: davanti a una platea gremita di giornalisti, che aveva convocato lui stesso presso l’Ufficio Stampa della Palazzina di corso Marconi, senza svelarne i motivi, Gianni Agnelli colse tutti di sorpresa, dando una notizia fin lì coperta dal massimo riserbo. Nessuno aveva avuto modo di immaginare che proprio quel giorno l’Avvocato avrebbe annunciato l’ingresso del colonnello libico Gheddafi nel capitale azionario di Fiat, in qualità di socio.
Fiat: l’annuncio a sorpresa di Gianni Agnelli
Tra lo stupore dei presenti il numero uno della Casa automobilistica rese noti i termini di un’intesa a dir poco clamorosa. Lafico, l’ente addetto alle partecipazioni della Banca centrale libica in realtà estere, si era appena accaparrato il 9,1 per cento delle azioni ordinarie delle Fiat, a fronte di un investimento pari circa a 350 miliardi di lire. Il 18 gennaio successivo l’operazione verrà ratificata e due esponenti libici entreranno nel Cda del gruppo torinese. Nell’ottica del contratto sottoscritto, le parti chiamate in causa stabilirono l’edificazione di una fabbrica a Tripoli per la costruzione di veicoli industriali.
Allora Gianni Agnelli descrisse il patto come un mero canale per procurarsi denaro. Solamente qualche anno più tardi Romiti vuotò il sacco: la Fiat rischiava un collasso totale con un debito di 400 miliardi di lire e di enormi complicazioni sul fronte produttivo. Non per niente circolavano “sinistre” voci su una possibile cessione del settore auto all’IRI.
I negoziati ebbero luogo sottobanco, impedendo ai mezzi di informazione di immischiarsi nell’affaire fino ad accordo raggiunto, suggellato da Gianni Agnelli quel 1° dicembre 1976. La sinergia destò, ovviamente, notevole scalpore perché, nonostante non mancassero i precedenti (ad esempio l’ingresso del Kuwait nella Daimler-Benz), nessuno si era spinto a tanto.
Gli Stati Uniti non presero la decisione di buon grado. All’Avvocato toccò sfoderare le sue migliori doti diplomatiche per persuadere George Bush, allora numero uno della CIA, sul carattere esclusivamente finanziario della manovra appena andata in porto, priva di qualsivoglia intrusione nell’amministrazione della compagnia, una condizione esplicitamente accettata dai portavoce libici durante le trattative.
Dieci anni di cooperazione, fino al divorzio
L’esecutivo italiano rimase anch’esso all’oscuro delle manovre sino alla loro conclusione. Secondo la tesi più accreditata, però, il premier dell’epoca, Giulio Andreotti, e Aldo Moro, Presidente della DC, ne furono, invece, messi al corrente dati i rapporti con Gheddafi. Diversamente da qualsiasi altra compagnia petrolifera estera, l’Agip non venne, infatti, nazionalizzata dal rais dopo la sua ascesa al potere.
I dieci anni successivi racconteranno di una proficua collaborazione, fino al divorzio consumato nel 1986, quando a Torino stabilirono di riappropriarsi delle proprie quote per “esigenze diplomatiche”. Ambedue le parti ne trassero comunque giovamento: alla Lafico, che intanto aveva incrementato le sue partecipazioni, andarono oltre 3 miliardi di dollari (il prezzo corrente di Borsa), mentre la Fiat scongiurò sul nascere l’inimicizia dei potenti USA.