Le Sport di casa Ferrari sono dei sogni ad occhi aperti. Alcuni modelli della specie sono entrati nella leggenda, per il fascino delle loro linee e per la qualità dei risultati messi a segno. Storie uniche, di corse, passione, successi e bellezza. In assoluto, il primato in termini di fascino spetta alla 330 P4, cui si ispira anche la recente Daytona SP3. Qui, però, abbiamo deciso di concentrare le nostre attenzioni sulle barchette Ferrari da corsa.
La strana denominazione “nautica” di questi modelli prese forma con la 166 MM del 1948, i cui lineamenti colpirono l’avvocato Gianni Agnelli che, notando la sua somiglianza con i piccoli motoscafi, le affibbio con affetto il grazioso nomignolo.
Oggi quell’appellativo continua ad essere riproposto, per identificare le spider senza capote per antonomasia. Negli anni romantici dell’automobilismo si trattava, il più delle volte, di vetture scoperte da corsa. Tra queste ne abbiamo scelte alcune che meritano una collocazione nella lista delle più belle interpretazioni della specie. Se lo gradite, seguiteci nel viaggio alla loro scoperta. Allacciate le cinture, perché sono dei modelli che spingono subito in alto le pulsazioni cardiache.
Ferrari 375 Plus
Questa vettura si presenta allo sguardo con un look muscoloso, che racconta la sua forza interiore. Grazie a lei, la casa del “cavallino rampante” mise a segno degli eccellenti risultati sportivi. Nata come sviluppo della 375 MM, la Ferrari 375 Plus prese forma nel 1954, in otto esemplari. Enzo Ferrari voleva vincere il Campionato del Mondo, per ripetere il successo raccolto nell’anno precedente dal suo marchio. L’obiettivo fu centrato, grazie al contributo di questa “rossa”, che si impose nella 1000 km di Buenos Aires, a Silverstone, alla 24 Ore di Le Mans, nella Carrera Panamericana e nel Gran Premio di Agadir.
A dominare la scheda tecnica della Ferrari 375 Plus ci pensava il motore V12 da 4954 centimetri cubi di cilindrata, che sviluppava una potenza massima di 330 cavalli a 6000 giri al minuto. Un cuore possente, dissetato da tre carburatori Weber, che gli fornivano l’energia vitale. Arduo il compito assegnato ai quattro freni a tamburo, chiamati a un lavoro straordinario per smorzare le danze di questa belva da gara. Il pilota gestiva la grande potenza attraverso un cambio manuale a cinque rapporti.
Un traliccio in tubi di acciaio dava forma al telaio, che accoglieva una carrozzeria i cui lineamenti non esprimono una bellezza raffinata, ma sono permeanti per la sublime forza dialettica, che interpreta correttamente la tempra caratteriale del modello. La missione della Ferrari 375 Plus era quella di vincere. Con i tifosi del “cavallino rampante” non fu avara su questo fronte.
Vigorosa ed efficace
Dei fogli d’alluminio fasciano la nobile meccanica della vettura, con un occhio di riguardo per gli aspetti funzionali. Una riprova giunge dal massiccio rigonfiamento alle spalle dell’abitacolo, dovuto alla nuova collocazione del serbatoio e della ruota di scorta. Splendida la protuberanza alle spalle del posto guida, che raccorda l’abitacolo col resto della carrozzeria. Sembra la pinna di uno squalo vorace, pronto ad aggredire le prede. Questa soluzione, in tempi recenti, è stata ripresa da due hypercar della serie Icona: la Monza SP1 e la Monza SP2.
Il motore, nel corso della stagione, fu sottoposto a qualche intervento vitaminico, che elevò ulteriormente la potenza massima, portandola addirittura a quota 347 cavalli. Una cifra impressionante, che tirava il carro con forza esplosiva, accompagnando l’azione con musicalità meccaniche entrate nel cuore di chi ne ha goduto. La Ferrari 375 Plus era un purosangue di razza. Memorabili le tracce di gomma lasciate sull’asfalto da Mike Hawthorn durante i suoi allenamenti a Maranello.
A rendere ancora più incisivo il bagaglio energetico ci pensava il peso, nell’ordine dei 900 chilogrammi. Quest’auto di Maranello sfoggiava delle ottime credenziali, tradotte in risultati di grande spessore. Si affezionò presto al gradino più alto del podio. Il 1954 fu proprio una buona annata per la Ferrari 375 Plus, modello che ha ben meritato il “cavallino rampante” incassato sul cofano, conquistato a suon di galloni sui campi di gara. Un’altra felice parentesi della storia della casa di Maranello si è scritta grazie a lei.
Ferrari 500 TR e TRC
La Ferrari 500 TR prese il posto della 500 Mondial, rispetto alla quale segnava uno step evolutivo. Questa vettura fece il suo debutto in società nel 1956, con una chiara missione: vincere in gara, nella sua categoria. Per riuscire nell’impresa faceva appello ad una versione affinata del motore da 2 litri di cilindrata della già citata Mondial. Importanti le modifiche eseguite. Per segnalarle visivamente, sulla Ferrari 500 TR i coperchi delle punterie furono dipinti di rosso. Ecco il perché della sigla Testa Rossa.
La potenza massima era di 180 cavalli a 7400 giri al minuto. Questa scuderia di purosangue emiliani non faceva fatica a spingere una massa di soli 680 chilogrammi a vuoto. Ad alimentare il cuore della piccola barchetta del “cavallino rampante” provvedevano due carburatori doppio corpo della Weber. Un telaio in traliccio di tubi d’acciaio faceva da culla all’unità propulsiva ed ospitava la filante carrozzeria in alluminio. Il cambio era disposto anteriormente in blocco col motore.
Lo chassis venne modificato nell’evoluzione della vettura, denominata 500 TRC. Il cuore era identico a quello della versione precedente, ma il telaio risultava modificato, avendo subito 10 centimetri di incremento nella misura del passo, per una maggiore stabilità nelle curve a grande raggio. La scelta consentì una diversa disposizione di sospensioni e motore, con vantaggi in termini di baricentro e guidabilità.
Linee scorrevoli
Il posizionamento più basso del corpo propulsivo si traduceva in un’estetica ancora più filante e gradevole. La lettera finale aggiunta alla sigla testimoniava l’adesione all’allegato C del Codice Sportivo Internazionale, che impose le modifiche. In totale la Ferrari di cui ci stiamo occupando prese forma in diciassette esemplari: quindici 500 TR e due 500 TRC.
Il merito dello stile piacevole ed equilibrato di questa barchetta è di Pinin Farina, che ha tracciato le sue linee con estrema grazia. A Scaglietti il compito di tradurre in materia gli ottimi slanci creativi del carrozziere piemontese. Pur essendo un bolide da corsa, questa creatura del “cavallino rampante” non teme le passerelle dei concorsi di eleganza. Il suo look è impeccabile. Molto riuscita anche la protuberanza alle spalle del pilota, che raccorda armonicamente il posto guida al volume posteriore. Le ruote a raggi Borrani sigillano degnamente il pacchetto estetico, come tocco finale di un fantastico quadro.
L’esordio in gara della Ferrari 500 TR prese forma con un successo, nella categoria 2 litri, al Gran Premio del Senegal, con Jacques Swaters al volante. Fu il primo di una lunga scia di risultati luminosi. Addirittura questa “rossa”, al Gran Premio Supercortemaggiore di Monza del 1956, mise a segno la vittoria assoluta, con Peter Collins e Mike Hawthorn al volante. Nonostante l’impegno in gara in forma non ufficiale, anche la Ferrari 500 TRC vinse a iosa. L’ennesima conferma della qualità di un progetto impeccabile su tutti i fronti.
Ferrari 250 Testa Rossa
Questa barchetta del “cavallino rampante” è un’auto davvero leggendaria. Una delle più iconiche di sempre della casa di Maranello. Una pietra miliare della storia del marchio. La Ferrari 250 Testa Rossa è un bolide da gara con la gentilezza stilistica dei modelli da museo di bellezza. Nata per vincere nell’universo agonistico, ha svolto nel migliore dei modi il suo compito. I tre titoli mondiali marche messi a segno nel 1958, 1960 e 1961 stanno a testimoniarlo con grande efficacia. Impossibile narrare la lunga scia di successi guadagnati da questa opera d’arte italiana.
Quasi sempre gli avversari vedevano solo da dietro la bellissima carrozzeria in alluminio del modello, plasmata da Scaglietti a Modena. Il celebre battilastra emiliano vestiva il telaio tubolare in acciaio con fogli di alluminio ai quali dava una grazia stilistica davvero unica. Suo il fascinoso design della prima serie della Ferrari 250 Testa Rossa. Quella, per intenderci, con le profonde feritoie di raffreddamento dei tamburi, che davano una forte caratterizzazione al muso, conferendogli una personalità unica e distintiva.
Gli 800 chilogrammi di peso venivano lanciati alle velocità più elevate da un robusto motore a 12 cilindri, da 3 litri di cilindrata, che erogava una potenza massima di 300 cavalli a 7200 giri al minuto. Un cuore generoso e robusto, dissetato da 6 carburatori Weber doppio corpo. Le sue alchimie meccaniche trovavano degno accompagnamento nel sound celestiale liberato dagli scarichi, per scariche di adrenalina senza paragoni.
Auto vittoriosa e affascinante
Nata per aderire alle nuove disposizioni regolamentari dell’autorità sportiva internazionale, che limitavano la cilindrata massima delle Sport, la Ferrari 250 Testa Rossa si dimostrò subito molto efficace. Il suo debutto agonistico, in un campionato pieno, avvenne nel gennaio del 1958, alla 1000 km di Buenos Aires. Qui Hill e Collins giunsero primi sulla linea del traguardo, con Von Trips, Gendebien e Musso alle loro spalle. Fu una magnifica doppietta nel segno del “cavallino rampante”. La scia vincente sembrava inarrestabile. I successi si inseguivano a ritmo vorticoso, nella gare più disparate.
La Ferrari 250 Testa Rossa era un vero rullo compressore. Appuntamenti prestigiosi come quelli di Sebring, Targa Florio e Le Mans divennero territori di facile conquista. Nel 1959 l’auto ricevette i freni a disco. Alcune modifiche messe in campo dai progettisti ridussero il peso di 50 chilogrammi. La carrozzeria, realizzata da Fantuzzi, fu rimessa alle mani del maestro Pinin Farina, che la rese più aerodinamica e raccordata, anche se meno bella e seducente di quella delle origini. Sparirono le profonde feritoie di raffreddamento dei tamburi, che tanto carattere davano al modello.
Su alcuni esemplari spuntò un cupolino trasparente in plexiglas nel cofano motore, che lasciava ben in vista i tromboncini di aspirazione. Poi fu il turno della nuova TRI del 1960 che, dopo un anno a vuoto, riportò il titolo a Maranello. Ora il motore da 3 litri era dotato di iniezione. Grande l’evoluzione stilistica segnata dalla versione 1961, molto più attenta all’aerodinamica. Anche se questo rendeva più sbilenche le sue linee, i risultati premiarono l’ardimento creativo, con un nuovo successo mondiale.