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La Ferrari Purosangue e le altre “rosse” eretiche

Un SUV Ferrari è una cosa che prende a sberle la tradizione del marchio. Ecco le altre “rosse” strane.

Ferrari Purosangue
Ferrari Purosangue

L’imminente arrivo in società della Ferrari Purosangue sta gettando nello sconforto gli appassionati storici della casa del “cavallino rampante”. Quanti sono cresciuti a pane e Ferrari non riescono a digerire una proposta del genere, che rompe di netto con la tradizione, per inseguire nuovi clienti ed altri gusti. Basta leggere i commenti sugli articoli relativi a questa nuova proposta per avere il termometro del malcontento tra i fedelissimi del marchio emiliano.

Certo, nessuno mette in dubbio il successo di mercato del modello, ma lo zoccolo duro dei ferraristi non condivide la scelta. Anch’io, per quel po’ che può contare, appartengo al gruppo, preferendo delle “rosse” innovative nella tecnologia, ma più tradizionali nello spirito e nelle architetture. Per un doveroso omaggio alla storia e alla vera passione.

Il SUV Purosangue non è, tuttavia, la prima Ferrari “strana”. Nel corso degli anni, infatti, si sono viste altre opere stravaganti col “cavallino rampante” sul cofano. Talvolta sono nate da iniziative private, a volte da progetti scomunicati; altre volte si è trattato di esperimenti genetici, privi di sbocchi produttivi. In altri casi sono state delle concept car a mettere a rischio il cuore degli appassionati. Oggi ho scelto per voi le due vetture di Maranello che possono accompagnare il SUV Purosangue nella lista odierna. Per fortuna si tratta di auto da salone, una delle quali anche molto bella, pur se a quattro posti.

Ferrari Purosangue: la novità clamorosa

Ferrari Purosangue

Questa è la “rossa” più irrituale di sempre. Non si tratta di un vero e proprio SUV, ma di qualcosa che somiglia maggiormente a un crossover: una sorta di GTC4 Lusso a ruote alte. Ecco perché a Maranello preferiscono parlare di FUV. Stiamo parlando di un modello particolare, diverso nelle architetture rispetto alla Lamborghini Urus. Come già scritto in un’altra circostanza, l’impressione è che gli uomini del “cavallino rampante” abbiano cercato di definire un nuovo segmento di mercato, guardando ai SUV, senza però volersi discostare troppo dalle ultime 2+2 del marchio.

Negli scatti rubati dentro lo stabilimento Ferrari, si notano diversi elementi che creano una connessione visiva con altri modelli del listino. Un modo per cercare di tenere comunque un certo livello di family feeling, pur se in un quadro volumetrico completamente diverso rispetto alla “rosse” viste fino ad oggi. Il look sembra muscolare ma estremamente elegante se paragonato a quello delle principali concorrenti.

La Ferrari Purosangue è una vettura snella e filante nello specifico ambito, anche se le “rosse” del cuore sono tutta un’altra cosa. Rispetto alle auto a ruote alte in commercio, garantirà un livello maggiore di coinvolgimento emotivo. Del resto, con un rombante V12 sotto il cofano, è impossibile che le corde emotive non vibrino.

Questo sarà, forse, il primo motore a spingere il modello, anche se aleggia un grande mistero sul fronte propulsivo. La Ferrari Purosangue dovrebbe essere disponibile pure con frazionamenti diversi, come il V6 sovralimentato ed ibrido della 296 GTB, ma solo al momento della presentazione ufficiale del modello avremo un quadro chiaro sui cuori di cui sarà dotato. Pare che questo il SUV (o FUV) del “cavallino rampante” sia stato pensato con le porte posteriori con apertura controvento, per contenere le loro dimensioni e dare l’immagine di una coupé, pur se a un livello da terra maggiore rispetto alle vetture di quella categoria.

Pinin: la prima quattro porte di Maranello

Un’altra “rossa” insolita è la Ferrari Pinin del 1980. In realtà non si tratta di un modello di serie, ma di una semplice concept car, frutto dell’estro creativo di Pininfarina. Può essere vista come un esperimento genetico o come una creatura nata per sondare il campo. Enzo Ferrari, però, non la volle come prodotto di serie. Scelta saggia, perché altrimenti la gamma della casa di Maranello avrebbe potuto prendere un’altra piega. Qui, infatti, abbiamo a che fare con un prodotto di rottura: una quattro porte, la prima della storia del “cavallino rampante”.

Nel nome del modello si coglie l’omaggio a Battista Farina, detto Pinin, fatto in occasione del mezzo secolo di vita della prestigiosa carrozzeria da lui messa in piedi. Autore dello stile fu Diego Ottina, sotto la direzione di Leonardo Fioravanti. La carrozzeria si presenta con un design fluido e moderno. Anche se le sue linee sono diverse rispetto alle Ferrari convenzionali, si coglie il legame con le origini, non solo per la vistosa griglia frontale.

Improntato al lusso è l’abitacolo, che offre comoda accoglienza ai quattro passeggeri, stretti nell’abbraccio profumato delle ampie distese di pelle Connolly di colore beige. C’è pure la regolazione elettrica dei sedili. Un secondo impianto stereo con cuffie concede i suoi servizi ai passeggeri posteriori. Questa vettura fu presentata senza motore, come un semplice modello di stile. Oggi la si chiamerebbe maquette.

In tempi più recenti è stata equipaggiata con il 12 cilindri a V di 180 gradi della Ferrari 512 BB. Ai nostri giorni è un’auto completa e perfettamente funzionante, ma non viene ricordata per la sua tela dinamica. Qui tutto ruota attorno al concetto delle quattro porte ed è per la forza di impatto di questa soluzione che è entrata nella storia, come prima ed unica Ferrari con un’architettura del genere. Ora sarà la Ferrari Purosangue a sposare la stessa soluzione, diventando la prima “rossa” di serie a quattro porte.

Ferrari Rainbow: stile insolito

Questa è un’altra opera stravagante col “cavallino rampante” sul cofano, ma si tratta di una concept car, sbocciata in esemplare unico. Non è un’auto di rottura come il SUV Purosangue. Basta poco, tuttavia, a rendersi conto di quanto sia fuori dai canoni stilistici rituali della casa di Maranello. Qui trovare delle connessioni con il resto della produzione del marchio emiliano è impossibile, almeno sul piano del design. Nessun fil rouge, quindi, con le altre opere del mito.

La nascita della Ferrari Rainbow risale al 1976, quando fece il suo debutto in società, al Salone dell’Auto di Torino. Bertone, che ne firmò lo stile, non si illudeva sull’eventualità di una messa a listino del modello. Enzo Ferrari, probabilmente, avrebbe bocciato una proposta del genere, col suo look lontano dalla tradizione.

Ecco perché il carrozziere piemontese la interpretò come uno slancio creativo, di forte impatto, votato all’originalità. Una base, insomma, da cui poter trarre qualche spunto utile per altre proposte future del “cavallino rampante”. Un po’ come accade sulle passerelle dell’alta moda, per alcuni abiti sopra le righe. Qui le linee non sono malvagie, il problema è che si coniugano male con lo spirito Ferrari. Con altri loghi, l’auto sportiva di cui ci stiamo occupando avrebbe guadagnato un giudizio nettamente migliore. Del resto, i suoi volumi sono anche puliti sul piano espressivo.

Fra le peculiarità della Ferrari Rainbow va segnalata la presenza di un tetto retrattile che, una volta aperto, trova spazio dietro i due sedili. Una soluzione che, in qualche modo, ha fatto scuola, per il suo meccanismo. Il telaio era quello della 308 GT4, ma con passo accorciato di 10 centimetri. Anche il motore aveva la stessa provenienza: sotto il cofano posteriore c’era infatti il classico V8 da 3.0 litri, con 255 cavalli di potenza massima. Il vigore prestazionale era quindi assicurato.

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