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Alfa Romeo Sprint: 3 auto del “biscione” di questa specie

Ecco alcuni modelli della casa automobilistica milanese che non possono mancare in una collezione del marchio.

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La Giulietta Sprint di Piero Pelù (Screen shot da video FCA Heritage)

Alfa Romeo ha una lunga tradizione di auto sportive o di taglio sportivo. Quelle con la parola Sprint nella sigla appartengono alla specie. Oggi abbiamo selezionato alcune vetture di questa famiglia, che potrebbero impreziosire qualsiasi collezione dedicata al marchio milanese. Volete scoprire di quali modelli si tratta? Bene, non vi resta che seguirci nel viaggio alla loro scoperta. Allacciate le cinture di sicurezza: si parte!

Alfa Romeo Giulietta Sprint

Questa vettura era molto amata ai suoi tempi. Continua ad esserlo ancora oggi. Il suo ciclo produttivo andò avanti dal 1954 al 1956. Subito dopo il suo debutto giunse in società anche la Giulietta, che raccolse un grande successo di mercato, rivelandosi salvifica per la casa del “biscione”, perché irrobustì le sue finanze in una fase congiunturale delicata della sua storia. Poi fu il turno della Giulia del 1962, anch’essa premiata dai numeri commerciali.

L’Alfa Romeo Giulietta Sprint non faticò ad entrare nel cuore della gente, perché metteva a frutto la preziosa eredità storica aziendale. Il design fascinoso e ricco di carattere le conferiva una spiccata personalità. Grazie a lei si riaccese il fuoco della passione per il marchio milanese, dopo alcuni momenti soporiferi.

Strana la tempistica del suo sbarco in società, perché questa coupé sportiva, per una inconsueta dinamica dei fatti, giunse in listino prima della versione berlina da cui derivava. Un ruolino di marcia irrituale, a parti invertite, che poco interessa agli appassionati.

L’Alfa Romeo Giulietta Sprint, poi rinominata “Giulia Sprint”, porta la firma di Bertone, che partorì l’idea stilistica, nata da un apporto di squadra. Il vernissage di questo modello avvenne il 19 marzo 1954, quando il prototipo si offrì agli occhi del pubblico sulle pedane del Salone dell’Auto di Torino. Fu amore a prima vista.

Domanda sostenuta

Le prenotazioni fioccarono numerose, sin da subito, anticipando un trend che portò verso numeri commerciali ben superiori a quelli preventivati. Un fatto naturale per un’auto con le sue credenziali. Ad animare le danze della vettura provvedeva un motore a 4 cilindri in linea da 1290 centimetri cubi di cilindrata, dotato di due alberi a camme in testa e di un carburatore a doppio corpo. La sua potenza massima era di 65 cavalli a 6000 giri al minuto, su un peso di 880 chilogrammi.

I dati prestazionali non era da auto da corsa, ma le emozioni di guida si allineavano alle aspettative. Per coprire il chilometro con partenza da fermo, l’Alfa Romeo Giulietta Sprint aveva bisogno di 37 secondi, mentre la velocità massima toccava quota 160 km/h. Piacevole lo sterzo, ma anche il cambio a 4 marce offriva una bella manovrabilità. Ai freni a tamburo il compito di rallentarne le danze.

Nel 1956, al modello che vi abbiamo brevemente descritto si affiancò una versione più pepata, contraddistinta dalla sigla Veloce. Qui la potenza del motore, ora dotato di due carburatori Weber doppio corpo, si spinse verso la soglia dei 90 cavalli, con chiari benefici sul profilo prestazionale. Emblematica dei progressi la velocità massima, cresciuta a 180 km/h, ma i passi in avanti più graditi furono sul fonte della tempra caratteriale, con un’accelerazione e una ripresa decisamente più incisive, grazie anche ai numerosi alleggerimenti messi in campo dai progettisti. Questo allestimento trovò impiego nelle corse, dove si mise in buona luce.

Alfa Romeo Alfasud Sprint

Questa vettura non è certo entrata nella leggenda, ma si è ritagliata uno spazio nel cuore di alcuni appassionati, per la sua leggerezza stilistica, che la rende snella e filante. Inizialmente nota come Alfa Romeo Alfasud Sprint, ha poi perso l’appellativo Alfasud, nel cambio di sigla del 1983. Il ciclo produttivo andò avanti fino al 1989 e fu abbastanza lungo, perché il modello fece il suo debutto in listino già nel 1976, come erede ideale della GT Junior.

La firma dello stile è quella di uno dei più grandi designer automobilistici italiani: Giorgetto Giugiaro. Guardando i lineamenti si coglie una vaga parentela stilistica con l’Alfetta GT, ma qui la composizione è più snella ed armonica, anche se meno densa di personalità, pur in un quadro immediatamente distinguibile da tutte le altre proposte a quattro ruote sbocciate prima e dopo di lei.

L’Alfa Romeo Alfasud Sprint prese forma in 116.552 esemplari. Questa coupé compatta non ha segnato un primato di vendite, ma è riuscita comunque a guadagnare la sua schiera di ammiratori. Il suo look non insegue solo il tema della piacevolezza, ma coniuga quest’ultimo alla praticità.

Una rappresentazione plastica dell’assunto giunge dalla presenza dei finestrini posteriori abbassabili e dai 325 decimetri cubi di capienza del bagagliaio. Difficile fare meglio su una vettura di taglio sportivo, con dimensioni esterne contenute. Il tutto dando la giusta priorità alla capienza dell’abitacolo, che garantisce spazi adeguati anche ai passeggeri posteriori. Qui la maestria dell’autore si coglie in pieno. Del resto, non si diventa dei fuoriclasse per caso.

Diverse versioni

L’Alfa Romeo Alfasud Sprint ebbe diverse serie speciali, destinate ad accarezzare i gusti della clientela estera. Cuore pulsante del modello, nella sua prima veste, era un motore a quattro cilindri boxer da 1286 centimetri cubi di cilindrata, che esprimeva una potenza massima di 76 cavalli a 6000 giri al minuto. Nel 1978 giunsero due nuove unità propulsive da 1351 e 1490 centimetri cubi, con 79 e 84 cavalli all’attivo, per una tempra prestazionale più incisiva.

L’anno dopo fu il turno della Sprint Veloce che, grazie al rapporto di compressione più alto, spostò la cavalleria dei due motori prima menzionati a quota 86 e 95. Al conducente il piacere di gestire le dinamiche dell’auto giovandosi della buona manovrabilità di un cambio manuale a cinque marce. Nel 1983 giunse la 1.5 Quadrifoglio Verde, con 105 cavalli al servizio del piacere e delle prestazioni. La maggiore foga di questo propulsore veniva rallentata dai nuovi dischi anteriori ventilati.

Alcuni dettagli estetici consentivano una facile identificazione di questo allestimento. L’assetto fu calibrato in modo da assecondare al meglio il nuovo quadro energetico. Una versione ancora più vigorosa fece il suo debutto in società nel 1987. A spingerla ci pensava un cuore da 1712 centimetri cubi, in grado di erogare la ragguardevole potenza di 118 cavalli a 5.800 giri al minuto. Fu una specie di canto del cigno.

Alfa Romeo SZ

Si concede alla vista con linee da dura, ma il suo motore non esprime una potenza mostruosa. L’handling è però eccellente. Questa coupé, prodotta dal 1989 al 1991 in poco più di un migliaio di esemplari, sfoggia delle dimensioni particolarmente compatte: 4059 millimetri di lunghezza, 1730 millimetri di larghezza, 1311 millimetri di altezza. Facile intuire come nei percorsi più sinuosi questo dia una marcia in più.

Lo stile, firmato da Robert Opron per Zagato, è molto ricco di personalità. Non esiste, nemmeno minimamente, il rischio di confonderla con altre opere della galassia automobilistica. Qualcuno si starà chiedendo perché l’abbiamo inserita in questa lista, dal momento che nella sigla non è espressamente presente la dicitura Sprint. SZ, però, significa proprio Sprint Zagato, di cui è un acronimo. Quindi la pertinenza col tema del post c’è tutta.

L’auto di cui ci stiamo occupando è pure nota come ES-30 (Experimental Sportscar 3.0 litri). Nata in un numero ridotto di esemplari, questa creatura fu declinata anche in versione aperta, con il nome di battesimo RZ. Qui ci occupiamo della coupé, per una doverosa sintonia con il taglio dell’articolo.

Arrogante e sfrontata nei lineamenti, l’Alfa Romeo SZ sconosce l’eleganza. Sembra il guanto di un pugile, pronto a colpire gli avversari sul ring dell’asfalto. La parte più bella, dal mio punto di vista, è quella frontale e del 3/4 anteriore. Dietro, invece, prende forma la sezione meno riuscita del suo stile, con uno specchio di coda pesante come un macigno, che si fatica digerire. Il profilo laterale si concede alla vista fra alti e bassi.

Brutta ma distintiva

Una cosa è certa: anche se il look non convince in pieno, l’esuberante personalità espressiva di questa vettura è uno dei suoi punti di forza, perché soddisfa il desiderio di quanti vogliono distinguersi dalla massa con un prodotto dai lineamenti davvero unici, senza scadere nelle licenze dei tuning meno raffinati.

Ad alimentare l’Alfa Romeo SZ ci pensa un motore V6 “Busso” da 2959 centimetri cubi di cilindrata, che mette sul piatto una potenza massima di 210 cavalli. Guardando i tratti espressivi della carrozzeria ci si sarebbe aspettati qualcosa in più, ma questa è stata la scelta dei vertici aziendali. Non ci resta che prenderne atto.

Sul piano prestazionale, ciò si traduce in un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 7 secondi netti e in una velocità massima di 245 km/h. L’energia viene scaricata al suolo sulle ruote posteriori, come da nobile tradizione. Questa vettura sposa lo schema transaxle, per un migliore bilanciamento dei pesi. All’efficacia, molto alta, delle sue dinamiche concorrono le sospensioni, messe a punto dal grande Giorgio Pianta.

Il comportamento stradale, in qualche modo, è assimilabile a quello di certe auto da gara. Piacevole da guidare, l’Alfa Romeo SZ non ha sfondato sul mercato. Forse perché il suo prezzo di listino e il suo look hanno indotto molti potenziali clienti a rivolgere altrove il loro sguardo. Resta il fatto che questa vettura è inconfondibile e attira gli sguardi come una calamita, anche se non per la bellezza (che manca).

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